Continua la stagione di prosa “Rivelazioni” al Politeama Siracusa di Reggio Calabria. Questa volta ad andare in scena è stato il monologo Ricordi con guerra, di e con Stefano Cipiciani, lo scorso sabato 10 maggio. La pièce, prodotta dalla compagnia “Fontemaggiore, teatro stabile di innovazione” di Perugia, con la sua tematica bellica si ricollega idealmente a due drammi di grande successo rappresentati, sempre al Siracusa, lo scorso aprile: L’ultimo inganno – un’altra Iliade di Salvatore Arena e Radio Argo di Igor Esposito e Peppino Mazzotta; anche queste, opere che si interrogano sull’insensatezza di ogni guerra.
Il testo riprende un personaggio protagonista di due spettacoli risalenti ad oltre una ventina di anni fa: Corvi di luna e D’acqua la luna, diretti entrambi da Marco Baliani. Le due opere affrontavano la Resistenza, ispirandosi ai testi di Calvino e Fenoglio.
Anche in Ricordi con guerra si parla della Resistenza, anche qui c’è tutto l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, ma forse per la prima volta il teatro abbraccia il punto di vista di uno sconfitto, un fascista illuso che, anche sotto le bombe, non smentisce la sua ideologia sfiorando il puro delirio.
La trama è ambientata a Perugia negli ultimi anni di guerra; i bombardamenti degli alleati proseguono a tappeto e le popolazioni sono costrette a rintanarsi nei rifugi. In mezzo a loro vi è anche un omuncolo infantile, fedele al fascio anche tra i disperati, talmente fedele da non distinguere più la realtà dall’immaginazione, e che racconta la sua storia agli altri compagni (e agli stessi spettatori). La follia è presente sin dall’inizio: il protagonista irrompe in platea muovendosi vorticosamente e enunciando discorsi insensati, dando l’impressione di star semplicemente provando il suo personaggio, finché sale sul palco. Sembra quasi che l’intero teatro sia il rifugio di guerra, come suggerito dai rombi di motore e dalle esplosioni dei bombardamenti, mentre gli spettatori sono degli sfollati che condividono la paura e i racconti del protagonista.
Cipiciani, che interpreta questo Candide idiota, sale su una scena nulla, vuota e angosciata, illuminata ogni tanto da due fari. Il buio del terrore fa sembrare il nostro dimesso amico un punto luminoso nell’oscurità; la sua memoria intrisa di fascismo stride con il ricordo che ogni italiano ha della Resistenza, dal dopoguerra a oggi. Egli inizia a raccontare un’infanzia povera e dura, tristi ricordi di guerra inframmezzati da suoni di combattimenti ed esplosioni, in cui la luce irrompe improvvisa; lui è uno sfollato come tutti gli altri, eppure nei suoi ricordi sembra aver attraversato un’epopea fantastica. Ma nel suo fantasticare, lo sguardo obiettivo dello spettatore intuisce un’esistenza ai margini, cui l’adesione al fascismo sembra aver fomentato una qualche forma blanda di forza d’animo; persino l’amore è solo un pallido e doloroso ricordo.
Il nostro antieroe cerca in tutti modi di attrarre l’attenzione, ammicca di continuo al pubblico e persino ai tecnici di scena, risucchia tutti nel suo vortice di esaltazione. E’ così illuso dal fascismo da diventare un’allegoria dell’Italietta di allora, ma anche di adesso, chiusa nei suoi provinciali sogni di grandezza e chiusura mentale, troppo spesso alimentati dal Potere e dai governanti, ma che dietro la pomposità dimostra la sua parallela inesistenza ideologica, come fa lo stesso protagonista che alla fine resta nudo in scena, senza più scusanti, senza più convinzioni belliche.
Filippo Mammì
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