AL CINEMA CON MONDOSPETTACOLO: ANT-MAN

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Scott Lang, abile ladro appena uscito di prigione, viene ingaggiato dallo scienziato Hank Pym, il primo Ant Man, e da sua figlia Hope Van Dyne, per ostacolare i piani malvagi del suo ex pupillo Darren Cross, che vuole sfruttare per scopi militari la formula segreta inventata da Pym per miniaturizzare cose e persone. Lang, per riscattarsi, si improvviserà eroe e diventerà il nuovo Ant Man.

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Un cinema di grandi dimensioni ma, al suo cuore, piccolo.
Il film di Ant Man è la più grande scommessa vinta dalla Marvel. Per trasporre al cinema L’Uomo Formica creato da Stan Lee e Jack Kirby e apparso per la prima volta nel 1962, era stato chiamato Edgar Wright (L’Alba dei morti dementi, Hot Fuzz), un regista dal taglio decisamente comico e personale, proprio per creare qualcosa di unico e mai visto all’interno dell’ormai saturo panorama dei film supereroistici. Nonostante l’allontanamento da parte di Wright dal progetto che lui stesso aveva inseguito per anni, qualcosa di fondamentale è rimasto della prima stesura della sceneggiatura di Wright e Joe Cornish: il taglio fortemente ironico della pellicola e il rapporto mentore/allievo tra Hank Pym e Scott Lang, che ha poi fornito le basi agli sceneggiatori Adam McKay, Paul Rudd stesso, protagonista del film, e al regista Peyton Reed di impostare quello che sarebbe stato il nucleo della pellicola: sotto il vestito di un roboante film su tizi in tute colorate che cercano di salvare il mondo con geniali piani di furti, si trova una storia di padri falliti e figli delusi, incentrata sul riscatto per salvare il proprio piccolo mondo, quello dei legami familiari. Pertanto tutto ciò che è microcosmo si fa macrocosmo, che si tratti di vasche da bagno, formiche o trenini giocattolo. E’ questo, ancor più della volontà di non prendersi mai troppo sul serio, a rendere un film su un supereroe in tutti i sensi minore come Ant Man (più che altro per il grande pubblico, digiuno di fumetti Marvel) credibile e appassionante, ben più innovativo e coraggioso di altri suoi “fratelli maggiori”, nel cui universo comunque si inserisce (numerosi i riferimenti al mondo Avengers). Tanta di questa credibilità è proprio dovuta all’interpretazione convincente del cast, a partire dall’attore protagonista Paul Rudd, prestato dalle commedie, che rappresenta un loser in cerca di redenzione a cui è impossibile non affezionarsi; Michael Douglas e Evangeline Lilly (Lost, Lo Hobbit) hanno un alchimia splendida e ci regalano i momenti più intensi del film, prontamente stemperati; Corey Stoll ritrae un villan ben caratterizzato e con la necessaria profondità, infine Michael Pena fa al meglio ciò che una spalla comica deve fare. Il resto è intrattenimento puro, con la macchina da presa virtuale che si muove con destrezza in ambienti ricostruiti in CGI. Ci sta pure una quasi citazione di “2001: Odissea nello Spazio” per un viaggio quantico che lascia a bocca aperta.
Aspettiamo solo di ritrovare il nostro Scott Lang nel prossimo “Captain America: Civil War”.

 Matteo Santoni