Anna Macrì ci racconta il suo “Malamore”

Al salone del libro di Torino incontro per la prima volta Anna Macrì, non lei in persona ma il suo libro “Malamore”.
E leggo: “quando il male marchia il ventre delle donne”. Parole forti, non tutti possono comprendere la parola “marchiare”, è qualcosa che ti porti dentro e che cresce insieme a te. E se tu non fermi e spezzi quelle catene che per anni ti hanno accompagnata, il marchio cresce e si prende il tuo corpo oltre la tua anima. Tutte noi abbiamo un marchio, la nostra società patriarcale ci ha marchiate col sangue mischiato al sudore. La nostra bellezza e il nostro amore per la vita fa paura e l’uomo non è ancora pronto a prenderci per mano ed amarci. Io e Anna comunicammo quello stesso giorno. Il mio e Vostro direttore Alessandro Cunsolo (lui così discusso e nello stesso tempo amato) ci ha messo in contatto e ci ha dato un tempo in cui noi donne di Mondospettacolo ci siamo incontrate, amate e onorate. La nostra telefonata fu gioiosa, ironica, assetata; le nostre parole aleggiarono nell’aria primaverile, profumate e cinguettanti. Non parlammo del libro, era sospeso tra me e lei. Passò il tempo e noi, amiche su Facebook, ci divertivamo a seguirci, sempre sulla battuta, sempre pronte a sfidare gli stereotipi di questa società bigotta e medioevale. Arrivando a ieri, quando la sua intervista su la C news 24 l’ha proiettata nelle prime file nel mondo dei media. Una donna come lei che ha sempre lavorato duramente per raggiungere i suoi obiettivi, si trova oggi a dover affrontare una realtà a lei sconosciuta, dove tutti parlano di se stessi in modo narcisistico . Lei NO, non vuole, non ci sta! Lei vuole parlare di noi donne, di noi bambine, di noi mamme, di noi nonne… solo ed esclusivamente di noi. Ed è così che voglio presentarvi Anna Macrì.

Com’era Anna da bambina e cosa di lei c’è in te oggi?

Sono sempre stata una bambina solitaria che preferiva rinchiudersi nel suo mondo ovattato fatto di libri, marmellata d’arance e dita macchiate d’inchiostro, ma sono stata anche una bambina che, in compagnia, era l’anima della festa, sempre allegra, gioiosa, dalla risata forte e dalla fantasia sfrenata. Duale, ecco, ero duale, umorale. E affamata sempre, curiosa di sapere tutto. Una piccola peste stile Pippi Calzelunghe, come mi definiva mia madre. Beh, sono rimasta uguale, quella Anna bambina non è mai morta in me, convive perfettamente con la donna che sono diventata, ed è la suggeritrice dell’ispirazione artistica che muove la mia vita e me la fa amare tanto.

Quali erano i tuoi sogni?

Esattamente quelli che ho realizzato: recitare e scrivere. A dieci anni me ne stavo appollaiata sugli ulivi della campagna di mio nonno e leggevo: Apuleio, Pirandello, Euripide, Mann, Tennyson. Ero una lettrice affamata e rubavo i libri a mio papà. Leggevo di tutto, persino le enciclopedie che mio padre collezionava. A sette anni scrissi il mio primo racconto e una marea di poesie. Da allora non ho più smesso. A scuola primeggiavo per le mie interpretazioni teatrali appassionate, ero un’esibizionista sfacciata. Sognavo di vedere i miei libri in libreria e di calcare palcoscenici immensi, vestita come le damine dell’800, mi sognavo tutto questo di notte.

Hai sempre scritto?

Da che mi ricordi, sì. La mia maestra delle elementari era disperata perché seguivo l’estro della scrittura anche durante le mie lezioni. Qualche compagna di scuola lo ricorda ancora, ridendo alla mia sicumera di fronte ai rimproveri dell’insegnante. Dolce, cara e stimolante maestra Bianca Bonacci. E’ grazie a lei e alle sue parole di incoraggiamento che ho creduto nelle mie potenzialità.

Com’è nato Malamore?

Come oramai sanno in molti, ho vissuto, 17 anni fa, una storia terribile di violenza psicologica e fisica. Ma essendo una donna forte e difficile da manipolare, ne sono uscita forte e più coraggiosa. Questa esperienza mi ha spinta a studiare il fenomeno della violenza di genere, scavando nelle motivazioni antropologiche, sociologiche e storiche, fino ad arrivare a condurre una ricerca etnografica, attraverso l’osservazione partecipante, in un centro antiviolenza. Sono approdata ad Astarte per caso, chiamata ad un convegno come attrice, per poi frequentarla per un anno. Attraverso l’osservazione partecipante, cioè ascoltare, frequentare, osservare, intervistare le donne che frequentavano l’Associazione o si rivolgevano ad essa per soccorso, ho raccolto tante storie che poi sono diventate, dieci di queste, Malamore. E’ stata un’esperienza fortissima, l’empatia che mi caratterizza, unita alla sorellanza nel dolore, mi ha cambiato la vita e la visione del mondo, ancora una volta. Rafforzando la mia volontà di impegno nel sociale.

Quali sono le donne che ti contattano?

Dopo aver scritto Malamore, sono tante le donne che mi hanno scritto, incoraggiandomi, ringraziandomi, sfogandosi attraverso il racconto delle loro vicende terribili. Sono donne impaurite, devastate, dolcissime e bellissime nel loro dolore. Soprattutto, sono donne che portano il peso dell’abbandono sociale, convinte che non vi sia riscatto poiché lasciate sole da una comunità indifferente e bigotta che le relega nel ruolo di vittime, le costringe ad essere latitanti nel dolore, come fossero loro le colpevoli. Le obbliga a nascondersi come criminali. E’ frustrante.

Come la società dovrebbe porsi nei confronti delle donne?

Innanzitutto, la società dovrebbe conoscere il fenomeno della violenza di genere, non si può scardinare una consuetudine sociale così radicata nel tempo senza conoscerla a fondo. Poi, adottare misure preventive con concreta informazione nei luoghi preposti, e attivare servizi concreti per l’intera comunità. Ad esempio ridare potere ai consultori, depauperati della loro missione. I consultori potrebbero ritornare ad essere un’arma di prevenzione e soccorso per le famiglie, aiutando le coppie e le famiglie ad adottare tutte le espressioni più giuste verso una relazionalità di genere più sana e rispettosa, una genitorialità consapevole. Potrebbero fare prevenzione fra i giovani, essere mediatori familiari, un faro, insomma, nella comunità. Questo, giusto per dirne una. Poi, la società, dovrebbe attivarsi alla riabilitazione delle vittime che, destrutturate per anni da continue manipolazioni e violenze psicologiche e fisiche, hanno un’autostima pari allo zero, nonché nodi di dolore incancreniti che le portano a colpevolizzarsi e, di conseguenza, accettare il giogo della sofferenza. Centri adatti a questo scopo, con personale esperto, sarebbero la speranza concreta per queste donne che, spesso, sanno con certezza, e come dar loro torto, di essere abbandonate a se stesse in balia del dolore. Infine, cosa importantissima per l’epifania della rinascita, è il reinserimento di queste donne nella comunità attiva. Una donna che ripercorre la strada della consapevolezza e della libertà personale, ha bisogno di sentirsi partecipe della vita sociale attraverso il lavoro. Molto spesso le donne vittime di violenza dipendono economicamente dal carnefice, e questo è una forte limitazione a rompere la catena. Quando ce la fanno, restano comunque dipendenti dalla carità di famiglie, Stato, amici, quando, addirittura, senza nulla di tutto ciò. E hanno figli, il più delle volte, non dimentichiamolo. Bambini che sono le vere vittime di questa perversa consuetudine a considerarci esseri inferiori ad uso e consumo del maschio. Ergo, la società deve necessariamente farsi carico del reinserimento lavorativo della donna. Una donna che lavora e basta a se stessa e ai propri figli, sarà una donna consapevole, sana e guarirà le ferite. E’ una vergogna che venga abbandonata come un paria, una vergogna per tutti noi. Nessuno è innocente in questo omicidio della persona.

Cosa si è fatto per le donne e cosa si dovrebbe ancora fare?

Il paradosso di questa società è che si sbandierano tanto i diritti delle donne, regalando loro becere e vergognose, insultanti, privilegi come le quote rosa, come fossimo delle idiote che hanno bisogno del vantaggio di genere, e poi ti misurano l’orlo della gonna ogni qual volta esci di casa, sei sottopagata rispetto agli uomini e non puoi ricoprire ruoli importanti a meno che tu non lecchi il culo al maschio di turno. Tutto ciò che si è fatto finora per le donne viene continuamente messo in discussione. In un perverso gioco delle parti falsato, interscambiabile a seconda delle motivazioni, degli obiettivi, delle circostanze. E’ una struttura simile ad un castello di carte, instabile, pericolante e sfiancante. L’unico modo per uscirne fuori, ricostruire su fondamenta forti, è una rivoluzione culturale che ha la sua origine in quanto detto sopra. E deve essere condotta dalle donne ma anche dagli uomini. Perché solo rivalutare le posizioni di entrambi in questo mondo e i meccanismi virtuosi delle relazioni tra i generi, il rispetto dei diritti di entrambi e dei doveri, può dare frutti positivi.

Come si pone la Calabria nella violenza di genere?

La Calabria è una terra strana, matrigna e indolente, stretta nella morsa di una mafiosità intrinseca nei suoi figli che li porta a stare sempre indietro rispetto ad altre regioni del paese. Vuoi perché è abbandonata e bistrattata, vuoi perché non vi è unione tra i calabresi, vuoi perché mettiamo sempre al potere degli incapaci e inetti, quale che sia l’origine di tutti i mali della mia terra, sta di fatto che in Calabria, se dovessi farti una statistica, darti una percentuale sulla violenza di genere, non potrei. Perché, in questa amatissima mia terra, non si è mai avviata una ricerca che potesse darci dati concreti. Quelli che si posseggono, arrivano parziali, dati forniti dai centri antiviolenza, associazioni, etc., ma che sono solo numeri di donne violate e abusate. Una ricerca sociologica potrebbe chiarire il fenomeno, torniamo a quello che ti ho detto prima, conoscere il fenomeno per combatterlo efficacemente, e dirci, ad esempio, che fascia d’età interessa, quali i luoghi più a rischio, che tipo di violenza si attua, quanta ve ne sia sommersa (perché molti tacciono, non dicono, nascondono con la complicità di tutti), e tanto altro. Ma così non è, purtroppo. Ed è anche difficile scardinare un sistema di omertà e di subordinazione femminile, dove ancora si generano pregiudizi e si impongono ruoli. Sai perché qui da noi i casi di femminicidio sono bassissimi rispetto al Nord? Perché qui, una donna su dieci si emancipa. Ergo, se una donna accetta il ruolo datogli dal maschio, è più facile che subisca violenza di genere che arrivare ad un punto di rottura tale da sfociare in un femminicidio. E questo, la dice lunga sulla situazione.

Quando un uomo tradisce gli si perdona tutto, se è la donna e messa al bando cosa ne pensi?

Non mi stupisco, da secoli è radicata convinzione che la donna, in quanto subordinata all’uomo, se sgarra dev’essere lapidata. Anche la Bibbia, il libro più sessista che abbia mai letto, lo afferma. E si sa, la religione svolge un ruolo fondamentale nella costruzione della società, purtroppo. Viviamo in una società che determina due pesi e due misure, ecco perché continuo a sostenere che una rivoluzione culturale e di costume possa rimescolare le carte di questo distorto e decadente gioco di ruolo.

Pensi che potremmo ancora vedere una società dove le donne si tengano per mano?

Allora, io credo molto nella sorellanza e non nel femminismo oltranzista. Sarò impopolare, e poco me ne frega, ma rifuggo dalle femministe di oggi, pur amandone i concetti e le finalità, trovo che il fondamentalismo delle femministe sia anacronistico e settoriale. Non si puo’ pretendere una parità attaccando l’universo maschile, con tutte le colpe ancestrali che questo ha. Non si possono fare le lotte solitarie e ad oltranza, da catrpillar, abbiamo bisogno di comprendere che, pur essendo, uomini e donne, due mondi diversi, senza l’unione tra maschio e femmina l’equilibrio è impossibile. C’è troppa rabbia, comprensibile, ma che si deve superare, una rabbia poco canalizzata ed efficace, che porta all’indisponenza di chi, invece, potrebbe supportarle e, magari, affiancarle, uomini e donne. Magari mi sbaglio, non essendo attivamente coinvolta, e non intendo vanificare le cose buone che ha prodotto e che produce. Semplicemente, mi piacerebbe che andassero oltre. Perché le donne, femministe e non, iniziano ad unirsi e far fronte comune, e questo mi fa ben sperare per il futuro.

Nei paesi anglosassoni tutto è diverso, mi spieghi il perché?

Guarda, in realtà la violenza di genere è un fenomeno mondiale, poiché affonda le radici nella lotta e abbattimento del matriarcato, all’annichilimento dell’eterno femminino che era il fondamento della religione pagana. E’ un passaggio storico-culturale molto forte che ha dato la stura al percorso che ci ha portate alla sovrastruttura societaria di oggi. Detto questo, il fenomeno si sviluppa a seconda della cultura di un territorio ed è più o meno manifesto, più o meno preponderante, a secondo, appunto, dell’evoluzione di quel paese.

Perché la donna ha perso la sua femminilità e la sua integrità, perché non siamo riuscite a portare avanti gli ideali del 68?

E’ meraviglioso ciò che è stato fatto dalle donne, e, sai, non è stata mica la prima volta che le donne hanno rivendicato la loro identità di fronte al maschilismo dominante! Storicamente, fin dai tempi antichi, ciclicamente, le donne sono riuscite a far cambiare la rotta culturale e di costume. Il problema è che se lotti in un mondo di maschi, comandato dai maschi, è difficile, difficilissimo ottenere tutto e subito. Per tornare alla nostra storia recente, pensa ai diritti acquisiti, alle lotte femminili: in buona sostanza è difficile mettere in pratica quei diritti. Le due grandi guerre hanno aperto alle donne il mondo del lavoro, contribuendo alla parità tra i sessi, dando loro il diritto di voto e, in seguito, l’opportunità di partecipare alla vita politica del paese. Dal 1960 alle donne è consentito rivestire tutte le cariche pubbliche. Nel 1962 le lavoratrici hanno raggiunto la piena parità dei diritti rispetto ai lavoratori, sicché alla donna italiana vengono riconosciute le medesime capacità dell’uomo nell’ambito del diritto privato. Ma è stato il movimento di liberazione della donna, negli ultimi decenni del XX secolo, a dar voce al femminismo riformista che ha rivendicato ed ottenuto il rinnovamento del diritto di famiglia, la libertà di aborto, la possibilità di divorziare. Un’altra legge, nel 1977, ha sancito l’assoluta parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, vietando qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, vietando una disparità di retribuzione, la discriminazione nell’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e della progressione di carriera. In realtà questo però non viene applicato nella realtà: le donne con famiglia riescono difficilmente a far carriera, poiché la loro prima occupazione è rivolta ai figli, al marito, alla cura dei genitori anziani e alla casa. Il datore di lavoro preferirà dunque promuovere un uomo, che garantirà una presenza costante, invece che ad una donna. Quindi, nonostante si sia raggiunta la parità giuridica, nella vita quotidiana questa rimane ancora lontana.

Avevamo tolto i reggiseni ed oggi siamo chiuse in corsetti anni 50, perché?

Oddio, io penso che non sia proprio così, benché la società giochi con una confusione di costume mirata, per meglio consolidare quel famoso concetto del gioco delle parti, funzionali ad una società consumistica. Io penso che, se da una parte vivacchia una fetta di moralismo anacronistico, dall’altra non i può paragonare la donna moderna a quella che, per esempio, veniva pubblicizzata negli anni 50, madre, casalinga e sposa perfetta, che andava in brodo di giuggiole di fronte ad un elettrodomestico o che si inginocchiava ai piedi del marito stanco dal lavoro, curata e carina e, soprattutto, serva. Oggi le donne rivendicano ancora il loro posto al sole, in ogni forma e modo possibile, con grande difficoltà ma strenuamente. A volte fanno bene, altre meno, ma non accettano più ruoli di subordinazione. Io li vedo i primi sintomi di quella tanto agognata rivoluzione culturale femminile, a partire dal ruolo di moglie, quando non decidi di restare single, di madre, di lavoratrice, di persona sociale. E profondamente godo di questo.

Pensi che si possa raccontare una violenza a distanza di anni, dopo aver sotterrato i nostri demoni?

Sì, è un obbligo morale, verso se stesse e gli altri, uomini e donne. Se io ho parlato dopo 17 anni, a viso scoperto, è stato non per vendetta o spettacolarizzazione ma per mandare un forte messaggio ad uomini e donne. Tanto per cominciare, che non ci si deve vergognare di aver subito violenza, la latitanza regaliamola senza sconti al carnefice, per amor di Dio! E il peso della vergogna. Poi, farlo a viso scoperto ché siamo bellissime anche con le nostre cicatrici, e per dare coraggio a chi, ancora, teme quelle pietre con cui gli uomini, e a volte anche una buona parte di donne, ci lapidano. Infine, parlare con coraggio aiuta a liberarsi dai demoni del ricordo ed essere d’aiuto alle altre. E mostrare agli uomini che siamo una forza della natura, dunque o cambiano o peggio per loro.

Anna com’è il tuo rapporto con gli uomini?

Con gli uomini, favoloso, con i maschi, è una rovina… per loro, ovviamente. Ho moltissimi amici uomini che stimo profondamente e con i quali ho rapporti di amicizia molto profonda. Uomini dalla bella mente con i quali mi confronto su più livelli. Con i maschi… uhm, temo di andarci giù pesante, diciamo. Se non uso le mie doti attoriali, sbeffeggiandoli fino al ridicolo, li attacco in campo aperto e ci vado giù pesante. Ma lo meritano, se pensi che alzarsi e ritrovarsi un messaggio becero, volgare e insultante, al mattino, non avendo ancora preso il primo caffè, risveglia in me l’istinto calabrese di accettarlo e darlo in pasto ai cani

Oggi Anna ha un amore?

No. Sono diventata molto disincantata e selettiva, sono un guerriero stanco che ha sentito troppe parole, da farci un libro e venderlo nelle migliori bancarelle del paese. Non ho mai amato le cose eclatanti in amore, e ne ho avute per tre vite, credimi. Piuttosto, ho ricercato sempre un amore che se ne va nudo a testa bassa e si costruisce pian piano, con piccole cose che per me sono fondamentali. Un amore che non dice ti amo ma lo fa. Sono una donna impegnativa, voglio un uomo impegnativo. Sono una dolcissima rompipalle, voglio un uomo che mi tenga testa. Sono una donna indipendente, voglio un uomo indipendente. Sono una che si dedica anima e corpo ad ogni cosa che fa, voglio un uomo che mi tenga dentro come un perno ovunque sia. Con queste premesse, in un mondo dove si smerciano solo sentimenti da discount, è difficile relazionarsi.

Anna mamma?

Ho insegnato una sola regola ai miei figli: il senso di responsabilità. Essere consapevoli della responsabilità delle loro scelte, anche le più sciocche, perché saranno loro, un giorno, a condurre il gioco e mi spaventa fortemente che tipo di uomini saranno senza la comprensione che tutto ciò che decideranno peserà sulle loro vite, in bene o in male. Se sarò sta una buona madre, vedremo. Semino, per ora, tutto ciò che ritengo sia giusto per la loro felicità e crescita interiore. Vedremo. A parte questo, sono ancora quella che chiama “il mio piccolo pupetto” il mio ragazzone diciottenne, e morde, dopo il bagnetto, le tenere carni degli altri due terroristi che si spacciano per figli miei, ahahahahahah. Se non urlo per le loro marachelle, ovviamente, usando il metodo Montessori della ciabatta volante che gira anche l’angolo, sai?

Il libro che non hai scritto e che vorresti scrivere?

Lo sto scrivendo, una lunga lettera d’amore a mio figlio Claudio, il 18enne. Un lungo racconto che parla non solo di me ma delle donne della mia famiglia, delle persone che ho incontrato e hanno cambiato la mia vita, di noi due come madre e figlio. Un lungo canto d’amore per la vita, la mia tenera e pazza famiglia, per lui che è stata la Via. Ed è anche il percorso catartico della mia rinascita e della mia affermazione come donna e persona.

Corinna Ivaldi