Blue kids: l’insolito esordio alla regia dell’assistente di Matteo Garrone

Blue kids è la storia di un rapporto morboso e indissolubile di un fratello (Fabrizio Falco) e una sorella (Agnese Claisse) senza passato. Il racconto di una solitudine profonda e del bisogno di vendetta. Poco più che adolescenti, dopo aver perso la madre i due ragazzi sperano nella cospicua eredità materna. Il notaio smonta presto i loro sogni. I soldi restano al padre (Lorenzo Gioielli) e alla sua nuova moglie. Allora, per ottenere qualcosa, toccherebbe impugnare il testamento. Ma sarebbe una strada troppo lunga per i due fratelli e la via resta una sola: eliminare ogni figura ostile che si oppone tra loro e i sogni di gloria.

Non c’è nulla di buono nei due protagonisti. Non soffrono per la perdita della madre, rubano in chiesa, compiono azioni senza scrupoli con la leggerezza di un gioco e si dimostrano incapaci di esprimere anche un solo impercettibile sentimento. Eppure, è impossibile staccare gli occhi da queste due figure esili e vestite di nero che accentrano su di sé l’intero significato dell’opera prima di Andrea Tagliaferri, in passato assistente alla regia di Matteo Garrone. Il rapporto quasi incestuoso tra fratello e sorella è il vero e solo protagonista del film. Un rapporto strettissimo e, al tempo stesso, emblema di una solitudine profonda e irriconciliabile. I ragazzi sono e vogliono essere soli. Permettono che di tanto in tanto qualcuno, un complice (Giustiniano Alpi) o una seducente cameriera (Matilde Gioli), orbiti nel loro mondo ma non lasciano mai davvero aperta la porta di ingresso.

E questo loro essere isolati fa sì che non percepiscano davvero la gravità delle azioni compiute.

Statico e lineare, Blue kids racconta la violenza senza far vedere mai davvero la violenza. Scarno nella trama in soli settantacinque minuti, disegna una storia senza raccontarne le cause. Non dice ma lascia percepire dalle immagini, dagli sguardi complici, dai corpi e da un paesaggio che, freddo e nebbioso, acuisce il senso di vuoto assoluto che traspare da ogni scena. È come se tutto, nel racconto, fosse vago, accennato, ma mai svelato. Eppure questo senso di nebulosità e indeterminatezza lascia spaesati ma incollati allo schermo fino alla fine.

 

 

Valeria Gaetano