COME DOVEVANO ESSERE E COME SONO DIVENTATI: QUANDO IL CINEMA ALTERA L’IMMAGINAZIONE LETTERARIA (E LA SUPERA)

Quando un film è tratto da un libro, si verifica regolarmente un particolare evento: chi ha prima letto il libro resta deluso dal film, o viceversa.
Questo perché letteratura e cinema usano linguaggi diversi, e il cinema spesso più che replicare o tradurre fedelmente un libro lo deve “interpretare” per renderlo adatto alla visione sullo schermo.
Ma ci sono alcuni casi in cui il cinema ha dato una “interpretazione” così forte da condizionare l’immaginario anche di chi prima o dopo ha letto i corrispondenti libri.
Sto parlando di alcuni personaggi famosi dei libri, che al cinema hanno avuto una caratterizzazione così forte (grazie a truccatori e costumisti) che non possiamo più immaginarceli in altro modo… anche se i rispettivi creatori non li avevano mai descritti così.


Polifemo (“Odissea” di Omero). Nel suo genere uno dei primi romanzi avventurosi di sempre, l’Odissea di Omero. E il protagonista di uno degli episodi più famosi, il Ciclope Polifemo, antropofago e spietato, ma sconfitto, come molti altri prima e dopo di lui, dall’astuzia di Ulisse. Non so chi lo abbia raffigurato per primo, comunque al cinema e in TV (realizzato anche dal grande Carlo Rambaldi insieme a Mario Bava in una famosa versione) lo abbiamo sempre visto in un solo modo: un gigante vestito di pelli di pecora, con un solo occhio in mezzo alla fronte. Ma… chi lo ha detto? Sicuramente non Omero! Cito, al riguardo, il sempre ottimo Luciano De Crescenzo, grande intenditore di mitologia, filosofia e cose greche in generale: “Tutti diamo per scontato che avesse un occhio solo, ma in realtà il poeta non lo dice mai. In nessuno dei versi dell’Odissea si fa riferimento all’unico occhio del Ciclope. Diciamo piuttosto che lo si deduce: se accecandogli un occhio resta cieco, vuol dire che di occhi ne doveva avere uno solo. Che poi quest’occhio fosse situato giusto al centro della fronte per ragioni di simmetria, o che invece il mostro fosse orbo di nascita, questo non si sa. Omero non lo dice.” (Luciano De Crescenzo, “Nessuno – l’Odissea raccontata ai lettori di oggi”).


Il mostro di Frankenstein (“Frankenstein, o il moderno Prometeo” di Mary Shelley). Un’altra figura ben nota nell’immaginario collettivo è il mostro di Frankenstein (o, per alcuni, semplicemente Frankenstein). Difficile immaginarlo diverso da come apparve nel celebre film interpretato da Boris Karloff, il cui trucco (peraltro anche doloroso) richiedeva ore ed ore: da allora chiunque abbia voluto raffigurare il mostro ha sempre fatto riferimento al famoso trucco di Karloff (dovuto a Jack Pierce, un vero mago del genere), con la fronte piatta e alta, i punti metallici sulle tempie e tutto il resto. Anche parodie come “Frankenstein junior” e le serie televisive “La famiglia Addams” e “I Mostri” hanno inevitabilmente citato il film di James Whale del 1931. Ma anche in questo caso, Mary Shelley non ha mai descritto nulla del genere. La descrizione parla solo di una creatura gigantesca, con la pelle e gli occhi giallognoli, mostruosa e informe, ma nulla di più. Non a caso il colto e raffinato Kenneth Branagh, nella sua versione cinematografica del romanzo, ha voluto essere fedele all’opera originale e si è tenuto ben alla larga dalla creatura di Pierce!! Ma è servito a poco: ormai, quando si parla di Frankenstein, viene spontaneo pensare all’interpretazione di Boris Karloff o a qualcosa di simile, alla faccia di un “mostro” (per altre ragioni..) come Robert De Niro (il mostro nel film di Branagh).


Sherlock Holmes (dai racconti e romanzi di Sir Arthur Conan Doyle). Anche qui una icona molto caratteristica. Quando si pensa a Sherlock Holmes è inevitabile pensare al berretto e alla mantellina verdi a quadretti, che tecnicamente sarebbero un abbigliamento da “cacciatore di cervi”, ma sono talmente collegati al personaggio che viene più facile dire “il cappello alla Sherlock Holmes”. Oltre ai numerosi film sul personaggio, vanno citati anche molti altri film, telefilm o fumetti (generalmente umoristici) dove appare qualcuno che vuole fare il detective (per gioco o sul serio) e indossa il tipico cappello. Esiste anche un personaggio disneyano, l’agente segreto Shamrock Bondes (incrocio tra Sherlock Homes e James Bond) creato da Paul Murry negli anni ’50, che appare a fianco di Topolino e Pippo in numerose storie a fumetti, e indossa anche lui il regolare berretto verde con la mantellina. Ma anche qui, Conan Doyle non c’entra nulla… Questo caratteristico look è stato invece creato per il più celebre interprete del personaggio, Basil Rathbone (apparso in una celebre serie di ben 14 film sul celebre investigatore, più una serie radiofonica), che a causa dell’enorme successo non riuscì più ad interpretare altri personaggi al cinema… E anche questa volta, quando nel suo “Sherlock Holmes” Robert Downey jr. indossa tutti altri abiti e non vediamo mai apparire il tipico cappello verde, restiamo un po’ perplessi… e invece è forse più fedele il suo look al romanzo di Conan Doyle. Ma anche in questo caso, la tenuta da cacciatore di cervi resterà per sempre “il vestito di Sherlock Holmes”.


Zorro (da “La maledizione di Capistrano” e altri romanzi di Johnston McCulley). A dire la verità, non so quanti abbiano mai letto anche uno solo dei romanzi originali sulle avventure di Zorro (io l’ho fatto). A differenza delle opere precedentemente citate, i romanzi di Zorro erano romanzi d’appendice per un pubblico di lettori con poche pretese, con un valore letterario tutto sommato modesto. La fortuna di Zorro è dovuta essenzialmente al cinema, in quanto era un personaggio perfetto per questa nuova arte che era agli albori proprio mentre McCulley iniziava a pubblicare i suoi romanzi a puntate sui giornali, nel 1919. Alzi la mano chi non ha mai visto un film di Zorro o un episodio della ormai leggendaria serie della Disney: se escludiamo qualche film a puntate degli anni ’30 e ’40 (tipo “La Frusta Nera di Zorro”, dove l’eroe mascherato era addirittura… una donna!) fin dall’inizio il costume di Zorro è stato sempre lo stesso. Ovvero: pantaloni e camicia nera, stivali, guanti, cappello, mantello e mascherina sugli occhi (il particolare più inverosimile: impossibile mascherarsi con quella sottile mascherina senza essere mai riconosciuti da amici e parenti…). E anche qui, siamo molto lontani dalla descrizione, oltretutto molto accurata, di McCulley. Nel libro infatti si parla di un bandito messicano con abiti messicani (peraltro neri), il tipico sombrero, il bandana a coprire bocca e naso (decisamente più efficace) e il famoso mantello… il costume che tutti conosciamo venne creato per il primissimo film con Douglas Fairbanks, “Il segno di Zorro” del 1920. Serviva un costume più attillato che esaltasse le qualità acrobatiche di Fairbanks (specialista di film di cappa e spada), e la mascherina sugli occhi al posto del bandana consentiva un effetto “ti vedo-non ti vedo” fondamentale: nella “finzione” il personaggio era mascherato, ma nella realtà lo spettatore poteva riconoscerlo benissimo e apprezzarne la mimica facciale in un caso estremo di trasposizione della realtà (o simile) nel linguaggio cinematografico. A proposito ancora della mascherina, va detto che il problema si è posto recentemente (e in modo decisamente più drammatico) in alcuni recenti film di supereroi (tipo “Spider-man” e “Iron man”) dove, per poter mostrare il viso dell’attore (anche per vincoli contrattuali), il supereroe perdeva spesso la maschera e combatteva a viso scoperto (e, questo sì, aveva veramente poco senso)…
Concludendo, anche il primo super eroe della storia (a lui si è ispirato anche Batman) era completamente diverso da come è stato poi reso al cinema… ma il cinema lo ha reso così bene da codificarne per sempre l’aspetto esteriore (fino ai recentissimi film con Antonio Banderas).

Giuseppe Massari