GLORIA CAMPANER, OVVERO LA RAFFINATEZZA

Un programma raffinato e di grande estro che ci ha trasportato attraverso  quasi un secolo di musica tra le pagine più coinvolgenti di Schumann, Rachmaninov e Skrjabin. Un’interprete bella e raffinata, Gloria Campaner, avvolta in un elegante vestito da sera nero, lungo fino a terra. Sto parlando del concerto tenutosi venerdì 17 aprile al teatro Rossini, penultimo evento della 55a stagione organizzata dall’Ente Concerti ed il Comune di Pesaro.

La serata é iniziata con le Scene infantili (Kinderszenen) di Robert Schumann (Zwickau, 1810-Bonn, 1856) ovvero “reminiscenze per adulti da parte di un adulto” (non musica per bambini ma sui bambini), come l’autore le definì, per approdare ad “Humoreske” op. 20 (1838-39), tra le più affascinanti e complesse opere del musicista tedesco, anche se  tra le meno eseguite : un caleidoscopio variegatissimo di immagini musicali inserito in un’ampia struttura che abbraccia un arco temporale di circa trenta minuti. 

Si é poi passati a Morceaux de fantasie op. 3 di Sergej Rachmaninov (Velikij Novgorod, 1873- Beverly Hills, 1943), raccolta di cinque pezzi scritta  dopo il diploma al Conservatorio di Mosca, quando il Compositore era povero, depresso e in pessima salute (fu eseguita per la prima volta alla Moscow Electrical Exposition il 26 settembre dello stesso anno).

Ma é con Aleksandr Nikolaeviˇc Skrjabin (Mosca, 1872-1915) che il concerto é entrato nel clou: Étude in do diesis min. (op. 2 n. 1) é una delle prime composizioni dell’autore: come tale risente fortemente dell’influenza di Chopin ed utilizza tutti gli strumenti che quest’ultimo utilizzava (studio, preludio, mazurka). La musica di Skrjabin si evolse gradualmente lungo tutta la sua esistenza: le sue opere appaiono fortemente originali impiegando armonie e tessiture piuttosto inusuali. Verso la fine della vita, l’autore si avvicinò sempre di più al misticismo: sosteneva infatti che un giorno il calore avrebbe distrutto la terra. Su questa teoria si basa l’ultima opera presentata dalla Campaner, Vers la flamme (verso la fiamma), op.72, in cui un calore sempre più spaventoso distrugge ogni sorta di riferimento armonico e tonale. Una teoria sostenuta dal Compositore  poneva in stretta relazione i colori alle note musicali: lui stesso suonava su una tastiera per luce con i tasti opportunamente colorati di tinte diverse, intrecciando melodie al di fuori del senso comune, lasciandosi trascinare da questo o quel colore e non dalla nota in sé.

Nata a Jesolo nel 1986, Gloria Campaner si è accostata al pianoforte a soli quattro anni. Allieva di Bruno Mezzena, ha visto i suoi interessi oscillare dall’agguerrita rock band della prima gioventù fino alla danza contemporanea e al jazz, per approdare al concertismo e alla musica da camera. Tra i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti, si annovera il trionfo all’International Ibla Grand Prize 2009 (Top Winner e Premio Prokofiev), vittoria che le ha assicurato- oltre ad una una tournée negli Usa- il debutto alla prestigiosa Carnegie Hall di New York. Dedita sia al repertorio classico che contemporaneo, svolge regolare attività concertistica come solista, in formazioni da camera e con orchestra. Ha tenuto numerosi concerti in Europa, Cina, Giappone, Israele, Stati Uniti e Sud America, riscuotendo sempre ottimi apprezzamenti dal pubblico e dalla critica. Dal 2008  è artista ufficiale Steinway & Sons. E’ stata nominata  “Ambasciatore europeo della cultura”  per gli anni 2010‐2011.

“Schumann é il mio compositore preferito- ha raccontato più volte alla stampa-  Mi è particolarmente caro …forse per questo suo ‘musicare’ sostando in un limbo tra poesia e follia, per la sua struttura compositiva così ricca, complessa ma allo stesso tempo intima, struggente di dolore, di difficoltà, immersa nel mistero”.

La pianista si prepara molto seriamente ai concerti:Dedico, come tutti, molto tempo allo studio, a volte in modo così profondo, che mi ritrovo ad immaginare -o addirittura sognare- di fare quattro chiacchiere con alcuni di questi compositori, fare due passi assieme o prendere un tè. Noi siamo soltanto degli esecutori, per cui ci ritroviamo ad interpretare un pezzo di cui abbiamo solo lo spartito, perché l’autore, molto spesso, non c’è più. Non sempre é facile”.

La cosa più interessante secondo lei, è avvicinarsi al pensiero dei compositori nel momento in cui li trasformavano in musica: “È divertente ricordarsi del  periodo storico, di quando sono vissuti, anche per avvicinarsi ad uno stile diverso… È anche divertente approcciarsi ad un brano famoso e conosciuto, fingendo di non conoscerlo affatto, così da conservare un certo grado di freschezza che poi dovrebbe sempre trasparire in un’ esecuzione”.

“Penso che a musica classica si sta allontanando sempre di più dai giovani, per approdare ad un pubblico di nicchia – ha sostenuto – ma alla fine quello che conta è la comunicazione, é arrivare oltre il palco, arrivare a qualcuno, arrivare dentro i cuori e se questo viene fatto con una canzone popolare piuttosto che un preludio di Chopin o con un brano di “Drum & Bass”, non ha alcuna importanza.

La cosa a cui tiene di più é il rapporto emotivo col pubblico: “Quando suono in pubblico sono convinta che si crei qualcosa di veramente speciale tra me e il mio uditorio e questa esperienza quasi trascendentale è anche uno dei tanti motivi del perché continuo a fare quello che faccio… Sono immersa in questa grandissima energia, la percepisco proprio e mi sento un po’ portavoce di un privilegio e di un messaggio che voglio comunicare. Sento che ho molto da dire in quel momento, anche di me stessa: é come se usassi la musica come strumento di comunicazione invece che la parola.”

Sottile e profonda é stata la comunicazione con gran parte del pubblico che l’ha a lungo applaudita. Con me sicuramente. Ricorderò questo concerto per la sua raffinatezza.

Paola Cecchini