Hotel Gagarin: finché c’è guerra c’è speranza

Ricordate Noi e la Giulia di Edoardo Leo, che, tratto nel 2015 dal libro Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei, raccontò di cinque spiantati italiani che decidevano di rimettere a nuovo un fatiscente casale di campagna per ricavarvi un agriturismo aiutati da un bracciante ghanese?

Estraetene dal cast Luca Argentero e Claudio Amendola e, sostituito Stefano Fresi con un Giuseppe Battiston insegnante di storia, affiancate tutti e tre a Barbora Bobulova, la Silvia D’Amico di Non essere cattivo e Caterina Shulha per calarli in una situazione analoga.

Perché anche in Hotel Gagarin sono abitanti dello stivale tricolore versanti in poco confortanti condizioni economiche e che si trovano a dover affrontarle, però, dopo essersi imbattuti in una singolare situazione: approdati in Armenia in quanto convinti a girarvi un film, non solo apprendono che nel posto è scoppiata la guerra, ma anche che il sedicente produttore – dalle fattezze di Tommaso Ragno – è sparito con tutti i soldi.

E, isolato nei boschi e circondato dalla neve, è l’albergo del titolo ad ospitarli; man mano che trovano modo di inventarsi un’originale occasione di felicità consistente nel realizzare i sogni della gente locale utilizzando il materiale (soprattutto scenografico) che avevano a disposizione per realizzare la pellicola.

Un aspetto che richiama in un certo senso alla memoria il plot di Be kind rewind – Gli acchiappafilm di Michel Gondry, accomunabile al primo lungometraggio diretto da Simone Spada anche a causa della scelta di mettere in piedi una storia a base di sogni, cinema e incontri.

Una storia di speranza che, tra una ballata sulle note della vecchioniana Samarcanda e un paio di esilaranti equivoci dovuti al fatto che Battiston non sappia che la D’Amico svolga la professione di prostituta, non manca di lasciar emergere più di una falla.

A partire dal fatto che un personaggio incarnato dal veterano Philippe Leroy scompaia improvvisamente senza spiegazioni, accentuando la fragilità di uno script tutt’altro che coinvolgente e posto al servizio di un’operazione difficilmente capace di strappare risate e il cui cast non può fare a meno di risultare sprecato.

 

 

Francesco Lomuscio