IL VINCITORE DEL PREMIO BERKLEE UMBRIA JAZZ “DARIO CHIAZZOLINO” INTERVISTATO DALLA NOSTRA SARA VIVIAN

Amici di Mondospettacolo eccomi di nuovo qui per voi con una delle mie interviste a uno di quegli artisti italiani che non potete proprio permettervi di ignorare. Questa volta ho il piacere di conoscere Dario Chiazzolino, jazzista torinese di appena 30 anni con una storia, un background musicale e culturale di un certo spessore. Il ragazzo che sto per intervistare è il vincitore del premio Berklee Umbria Jazz Award come miglior chitarrista e che nel 2012 è stato reputato il miglior Artista dell’anno dalla rivista Dmagazine. Insomma non fatevi ingannare dal bel viso e dalla giovane età, perché Dario rivela un mondo interiore molto più immenso di quello che potreste immaginarvi. Quindi andiamo a intervistarlo per farvelo conoscere un po’ meglio.

Suoni sin da quando sei giovane e pur avendo appena compiuto 30 anni si può tranquillamente affermare che hai “portato a casa” più di un successo: cosa si prova ad arrivare a certi livelli così giovani?

Mi ritengo molto fortunato innanzitutto per aver incontrato la musica molto presto. Ho iniziato a suonare la chitarra ad undici anni ma in effetti ascolto la musica da molto prima.

Non ricordo di aver trascorso un periodo della mia vita senza la presenza della musica a sonorizzare le mie giornate. La chitarra in particolare è stata la chiave d’accesso a questo meraviglioso mondo.

Per quanto riguarda la carriera, se ho raggiunto dei traguardi lo devo alla mia passione. E’ lei a guidarmi.

Data la tua giovane età, come ti sei appassionato alla musica jazz?

La passione per il jazz è arrivata durante gli anni del liceo. Inizialmente ad attrarmi è stato quel suo alone misterioso e la sua trama complessa, apparentemente e a tratti indecifrabile.

All’epoca ascoltavo i grandi maestri del jazz, quello anni 40, 50…ricordo che rimanevo tanto affascinato quanto disorientato. E’ una musica da un fortissimo potere evocativo che va ascoltata con grande attenzione per poter coglierne la vera essenza. Ogni musicista di jazz porta con se un suo mondo, una sua visione ed un particolare approccio con il proprio strumento. Ciò che più mi colpiva del jazz era la possibilità che ogni artista potesse avere uno spazio in cui esprimere la sua sensibilità musicale attraverso l’improvvisazione, elemento cardine e ispiratore del jazz, sin dai suoi esordi.

Cosa pensi di poter esprimere meglio grazie al jazz rispetto ad altri generi musicali?

Ciò che mi ha connesso in maniera così profonda a questo genere è proprio l’improvvisazione. Amavo improvvisare ancor prima di incontrare il jazz durante la mia formazione artistica. Quando poi ho iniziato a suonarlo il jazz, i miei orizzonti musicali si sono allargati in maniera esponenziale.

Probabilmente è questione di feeling ed ogni musicista segue un suo percorso, personalmente ho trovato il mio ambiente ideale. Il luogo dove meglio riesco e posso esprimere me stesso.

Oggi il jazz è un contenitore molto grande, che ingloba diverse tendenze e stili musicali. E’ un linguaggio che pur evolvendosi in cento anni di vita ha mantenuto una costante fondamentale, cioè la sua irripetibilità. Poiché il jazz si fonda sull’improvvisazione, dunque creazione spontanea di un pensiero musicale che avviene in un preciso momento, una stessa canzone jazz, ogni volta che viene suonata ed interpretata da uno stesso o da un altro musicista, sarà nuova e diversa.

Hai preso parte anche a produzioni cinematografiche sempre come musicista, esibendoti all’interno di queste produzioni. Descrivici questa esperienza

L’esperienza del cinema è stata molto interessante. In particolare è stato entusiasmante il poter mettere la propria musica a servizio di una forma d’arte diversa ma allo stesso tempo in stretta connessione con la musica.
In particolare posso citare l’esperienza del film sul trio Lescano “Le ragazze dello swing” con regia di Maurizio Zaccaro, in onda su Rai1. In quell’occasione, venivo chiamato ad accompagnare il “Trio Lescano”, impersonificato dalle attrici Andrea Osvart, Lotte Verbeek e Elise Schaap.

Nel film mi sono esibito insieme a loro in diverse location proprio nella città di Torino, luogo in cui è stato girata l’intera pellicola.

Qual è stata l’esperienza musicale che ti ha formato e segnato di più?

Premesso che a mio parere ogni esperienza, anche la più piccola può realmente regalarti ed insegnarti qualcosa di prezioso, penso che in assoluto sia stato per me importante iniziare ad esibirmi dal vivo sin da quando ero ragazzino.

Come ogni cosa, suonare necessita di grande pratica e di esercizio. Posso dire di aver imparato in fretta a stare su un palcoscenico e a suonare di fronte ad un pubblico.

Nel corso della mia carriera invece la mia più grande soddisfazione è stata quella di condividere il palco con la leggendaria band di jazz – fusion Yellow Jackets.

Qual è, invece, l’esperienza che vorresti ancora fare?

Ciò che vorrei continuare a fare è scrivere musica e suonare con i musicisti che amo, che è pressoché ciò che sto già facendo. Ciò a cui miro è portare la mia musica ad un pubblico sempre più vasto.

Parliamo del tuo nuovo disco: come nasce e cosa ti ha ispirato?

Ho scritto le canzoni del mio nuovo disco circa un anno fa. Alcuni critici hanno ascoltato l’anteprima e lo hanno definito un Concept Album. Ho composto ed arrangiato otto brani per quartetto, basso, batteria, chitarra e pianoforte.

Un solo brano è stato composto solo per chitarra, senza l’accompagnamento del gruppo. E’ un album dinamico e variegato, a tratti esplosivo, a tratti rarefatto, che si ispira al “cielo”. il titolo è Red Cloud.  Se dovessi pensare ad un sottotitolo direi, Passaggi sonori tra quiete e tempesta.

Ho registrato il disco in collaborazione con dei musicisti davvero eccezionali; mi riferisco al bassista francese Dominique Di Piazza, al batterista Manhu Roche e al pianista Antonio Faraò.

Quando è prevista l’uscita? C’è già un tour pronto?

L’uscita è prevista per settembre / ottobre 2015.

Ci sarà un lungo tour, con tappa nei principali festival e jazz club in Europa e America.

Cosa vuoi comunicare e trasmettere al pubblico con questo nuovo disco?

Credo che per un musicista realizzare un disco sia raccontare se stesso ed esprimere la propria visione musicale maturata fino a quel momento.

Ogni disco in qualche maniera rappresenta sia un traguardo raggiunto sia l’inizio di un nuovo percorso; una sorta di spartiacque tra il nuovo e il vecchio, ovviamente in riferimento al proprio percorso artistico.

Con Red Cloud credo di aver rimarcato i miei tratti musicali più estremi. La melodia in contrasto con la parte più impulsiva e aggressiva del mio modo di suonare.

La musica conduce lontano, sia fisicamente che emotivamente, dove speri che ti porti la tua musica ora? In sostanza: quali sono i tuoi progetti futuri?

La musica mi ha sempre regalato molte sorprese, mi ha condotto in posti molto lontani e mi ha permesso di incontrare e di suonare con musicisti incredibili.

Il miglior “augurio” che posso fare a me stesso è di proseguire su questa strada, continuare a comporre musica e suonare ovunque la musica mi porti.

In un futuro abbastanza imminente invece vorrei trasgredire le regole e costituire una formazione un po’ anomala rispetto al panorama jazzistico più ortodosso; un nuovo ensemble col quale suonare ed arrangiare la mia musica in chiave cameristica. Vorrei creare un trio costituito da chitarra, violoncello e percussioni.

Quindi direi di considerare questa intervista anche come valido appello a tutti gli amici musicisti , suonare con Dario è sicuramente una di quelle esperienze che cambiano la vita e fanno uscire con il cuore e l’anima più ricchi, come in tutti i casi in cui la musica la fa da padrona.

Come di consueto vi lascio i link dove potete trovare e seguire Dario Chiazzolino.

Vi saluto e vi do appuntamento alla prossima intervista.

http://www.dariochiazzolino.com/
https://www.youtube.com/channel/UCcsRBRSzg-Vd0b74eCSZcXw
https://twitter.com/dariorainote

http://it.wikipedia.org/wiki/Dario_Chiazzolino
http://en.wikipedia.org/wiki/Dario_Chiazzolino

Sara Vivian