INTERVISTA ALLO SCRITTORE YOUNIS TAWFIK, DOCENTE UNIVERSITARIO E PRESIDENTE DEL CENTRO ITALO-ARABO DI TORINO, DAR AL HIKMA.

A una settimana dal massacro di Parigi ,  cosa pensa un intellettuale che vive in Italia di quanto è successo e se l’Occidente ha sottovalutato il pericolo già da tempo annunciato? 

Non c’è dubbio che l’atto terroristico contro il giornale Charlie, è un attacco alla libertà, ma è anche un attacco contro l’umanità intera visto i danni che ha causato. Nulla giustifica l’atrocità che si è consumata a Parigi e nessuna offesa dovrebbe mai provocare una reazione del genere. L’azione ha tutto l’aspetto di un attacco politico-terroristico per mettere in pratica minacce da tempo lanciate contro l’Occidente, ma mai prese in considerazione. Le immagini di quell’attacco rimarranno impresse a lungo nella nostra mente come un monito che ci ricorda quanto siamo stati indulgenti e permissivi nei confronti di un pericolo annunciato già da tempo.

Un giornale satirico può  scatenare un’azione terroristica di tale portata o è frutto di una strategia del terrore ben organizzata?

Mettere in discussione una fede alla quale aderiscono più di un miliardo e mezzo di persone non è la cosa più giusta da fare. E’ inammissibile cercare giustificazioni all’azione terroristica ma è anche assurdo agire nel nome della libertà contro i simboli e i credi degli altri. Io penso che la mia libertà debba fermarsi dove inizia quella degli altri. Cercare di offendere chi non può difendersi, in querela e denunce, come Dio e i suoi profeti, non è arte né libera espressione, ma è una denigrazione che non tutti possono tollerare o accettare.

Quindi è frutto di un fanatismo religioso e di una temporanea loro debolezza, tanto da distrarre l’opinione pubblica mondiale con un atto terroristico?

L’Islam non aveva mai conosciuto forme di fanatismo terroristico tanto violente nate su basi interpretative errate e una manipolata politica come sta accadendo adesso. L’Islam politicizzato sta diventando una ideologia fanatica che sta creando dei danni alla fede stessa. I musulmani sono loro la prima vittima di questo fanatismo accecato che non risparmia nessuno.

I musulmani moderati sono i primi a pagare  questa  strategia del terrore, come sta accadendo in Irak, in Siria, in Nigeria e in molti Paesi Arabi?

La cronaca ci segnala tutti i giorni i Cristiani iracheni e siriani cacciati dalla loro terra senza pietà e che si trovano nei campi profughi, centinaia di yazidi sepolti vivi con assurda crudeltà mentre le loro donne sono state violentate e vendute come schiave, curdi uccisi combattendo, un numero impreciso di musulmani sciiti o sunniti che siano sono stati giustiziati e persino crocifissi per le strade: un campionario di atrocità, che però non sono mai diventate icone di dolori da portare nelle piazze del mondo. Il silenzio e la sottovalutazione con cui è stato trattato finora il cancro del terrorismo hanno incoraggiato i fanatici e gli hanno quasi aperto le porte.

Si parla di nuovi atti terroristici che riguardano  anche l’Italia, Roma in particolare, secondo te sono notizie attendibili?

I guerrieri islamisti che si sono impossessati della rivolta popolare siriana contro la dittatura di Assad, anche per la colpevole inerzia delle democrazie occidentali che non hanno sostenuto per tempo le sacrosante istanze di libertà della primavera araba, manovrano cinicamente la leva del terrore.

Questi esaltati hanno diffuso video crudeli di esecuzioni sommarie e crocifissioni, prima di questa vergognosa schedatura delle case. Ma non è certo la fede religiosa a muoverli. Sono miserabili saccheggiatori e violentatori di donne. La loro propaganda contempla remote minacce di sottomettere Roma, ma la loro strategia mira alla conquista delle capitali arabe, a cominciare da Bagdad e Damasco, scommettendo che subito dopo possano cadere nelle loro mani anche la fragile Giordania e la moderna Beirut.

Si può delineare il vero disegno dei terroristi?

Il loro obiettivo è di portare a termine il disegno egemonico in cui ha fallito al-Qaida. Sono crudeli ma realisti: la sfida a Israele non rientra nei loro piani immediati di conquista del mondo arabo.
Così la sfida lanciata contro le comunità cristiane dell’Iraq, costrette a una tragica fuga con cui viene recisa una convivenza millenaria, diviene il simbolo della volontà iconoclasta di fare tabula rasa della storia e della civiltà della regione.

L’avanzata degli uomini in nero se non venisse fermata in tempo, infine marcerebbe sulla Mecca e magari su Teheran, il loro impero provvede ulteriori espansioni. In un assetto mondiale sempre più pluralista e cosmopolita, l’ISIS che perseguita i cristiani sembra rappresentare un anacronismo. Ma è invece il frutto avvelenato della fragilità delle democrazie, incapaci di presentarsi come modello realizzabile anche sulla sponda sud del Mediterraneo.

Cosa gioca a loro favore?

Gioca a loro favore il sostegno di cui troppo a lungo hanno goduto dittature spietate, proprio ora che, dopo il fallimento delle rivolte arabe, serpeggia fra gli Stati Uniti e l’Europa il miraggio della restaurazione, ovvero sarebbe l’idea di affidare di nuovo ai rais, come il generale egiziano al-Sisi, la compromessa stabilità di tutta l’area.
Oggi il marchio Nun impresso sulle case dei cristiani offende la nostra coscienza e ci impone di non ignorare più a lungo il pericolo immanente. Sta già toccando anche a noi.

Come stanno facendo anche tanti altri musulmani che, da quando iniziata la cacciata dei cristiani da Nineve, a Baghdad hanno lanciato la campagna «Io sono iracheno, io sono cristiano» come risposta alle lettere N.

Segnali contro corrente che non fermano la follia dei fondamentalisti dello Stato islamico. Così sono andati avanti con il loro proposito di pulizia etnica, diffondendo le tariffe della jizya, la tassa islamica “di protezione” che dovrebbero pagare tutti i non musulmani che volessero restare o tornare a Mosul.

L’Occidente corre seri pericoli?

Il pericolo da cui guardarci non è insito in una fede religiosa, ma nell’esasperazione di un sentimento religioso che finisce per annientare la ragione, anziché armonizzarsi con essa. E che vede come “nemici” alcune conquiste che l’Europa ha saputo coniugare con la sua storia, come la laicità, la libertà e la democrazia.

Il conflitto oggi è tra i valori e non tra le civiltà. Da una parte i valori moderni nati in Occidente che sono simboli della civiltà moderna come la libertà e la democrazia, pur essendo in crisi, sta cercando di difendersi. Dall’altra i valori antichi, considerati da qualcuno come “conservatori”, dell’Islam tra cui il rispetto del sacro e difesa della spiritualità che agisce per non morire. Una riconciliazione tra di loro potrebbe essere, forse, la salvezza di entrambi.

Enrico Cocciulillo