MONDOSPETTACOLO MUSICA: MONOLITH – L’INTERVISTA

Il grunge di Seattle si è scrollato un po’ di polvere di dosso ed è andato a fare visita a Pavullo, piccolo centro sull’Appennino Tosco-Emiliano, dove vivono i Monolith. Dall’incontro è nato “Even More”, primo album della band modenese, che ce lo ha raccontato.

“Even More” mostra la vostra appartenenza al panorama nazionale senza escludere però elementi evidentemente esterofili. Come si è costituita la formazione e cosa vi ha indotto a scegliere il genere rock?

La line-up definitiva, cioè quella che comprende rispettivamente Riccardo alla batteria e Enrico al basso, è abbastanza recente, settembre 2013. Max e Andrea, rispettivamente chitarra e voce, suonavano insieme già da anni. Ciò che ci ha unito sono stati gli ascolti comuni e la voglia di comporre musica. Fare rock non è stata una scelta ma una conseguenza di ciò che siamo interiormente.

Quali sono le principali differenze tra il nuovo album ed il precedente EP Louder, uscito lo scorso anno?

“Louder” è stato scritto da Andrea, ma con arrangiamenti di musicisti che non sono più nella band. Sicuramente alcune dinamiche e qualche costruzione risultano leggermente diversi da “Even More”, che invece è più ponderato come disco. Quello che ha caratterizzato maggiormente la stesura di “Even More” è stata la scrematura di tantissime idee accumulate nel corso di un anno circa, parliamo di riff, tempi etc, il che ha reso il disco abbastanza diverso nel suo insieme.

I gruppi che avete ascoltato e che vi hanno maggiormente influenzato per la stesura di “Even More”?

Per tutti quanti ci sono gli ascolti della vita: il grunge di Seattle, il rock anni 70, dischi come Badmotorfinger, Dirt, Vs., Paranoid sono all’ordine del giorno. Le maggiori influenze che a nostro parere si possono incontrare nel disco sono sicuramente Alice in Chains e Soundgarden, qualche spolverate di Black Sabbath e un po’ di Pearl Jam qua e là.

Parliamo della title track: di cosa tratta questo brano?

“Even More” è la diretta conseguenza al titolo del precedente Ep. Parla di uno stato d’animo, una condizione di una persona che non vuole assolutamente accontentarsi di ciò che la vita gli porrà di fronte durante il cammino.

La scelta del primo singolo ricade, però, su “Overload”. Perché? Diteci di più..

Abbiamo scelto “Overload” perché è stato il primo brano composto appositamente per essere colonna portante dell’album. Main riff mastodontico, lento, storto ma d’impatto, abbiamo pensato che questi elementi potessero caratterizzare maggiormente quello che in generale vogliamo esprimere con il nostro sound.

Il panorama rock italiano, ma anche quello internazionale, è notevolmente più intasato di gruppi rispetto al passato. Quali sono le principali difficoltà che si incontrano quando si decide di voler pubblicare un disco nel nostro Paese?

 Le difficoltà ci sono, ma derivano più che altro dall’editoria. Come dici tu, c’è sovraffollamento di band e di conseguenza c’è sovraffollamento di etichette, di studi, di uffici stampa… insomma, di persone pronte, dietro lauto compenso, a spianarti la via della pubblicazione. C’è da stare attenti. Bisogna decidere se fidarsi dei passaparola oppure no. Bisogna leggere attentamente ogni foglio che si firma. Bisogna scendere a compromessi (che è un modo carino per dire che si fa quello che pare a loro) con la SIAE. Finisci per diventare un impiegato. Poi quando è tutto finito sei di nuovo un artista, orgoglioso di essere stato un impiegato per un mese o due. Se non uccide, fortifica.

Da dove nasce la scelta di cantare in inglese?

È sempre stata una mossa ponderata fin dagli esordi o avete deciso di imboccare tale strada dopo aver tentato anche con il nostro idioma? Andrea, voce chitarra e compositore del gruppo, ha sempre cantato e composto in inglese. Per il tipo di canto, molto trascinato e tagliato e per le sonorità utilizzate, la fonetica inglese è molto più adatta.

O scorso 4 aprile avete presentato il disco @ Mattatoio di Carpi, quindi giocavate in casa (più o meno). Che tipo di accoglienza c’è stata e in generale come stanno andando i nuovi live?

La release al Mattatoio è stata un successo. Non suonavamo live da parecchi mesi e quindi si era creata un po’ di aspettativa, la gente ha risposto alla grande. Il locale era pieno, il concerto è filato per due ore e siamo rimasti veramente molto soddisfatti. Cogliamo l’occasione per ringraziare la nostra “ciurma” di fedeli che per le occasioni importanti è sempre presente (30 sbandati pavullesi che ci seguono con una molestia da vero rock and roll). I nuovi live proseguono bene, impariamo a gestire meglio le nuove tracce del disco che non avevamo mai suonato da vivo e il riscontro della gente, almeno a livello locale, è buono. Stiamo suonando molto nel reggiano da un annetto a questa parte, evidentemente amano la buona musica.

Siete di Modena e provincia. In base a ciò, cosa potete dirci della situazione musicale underground della vostra zona?

Band, cantautori e artisti non mancano dalle nostre parti. Solo a Pavullo, il nostro paesotto di 15.000 abitanti, si contano più o meno una dozzina di band. Abbiamo una fantastica accademia musicale, il Music Factory e svariati progetti nascono e muoiono in continuazione. La situazione sembrerebbe rosea ma la verità è che ovviamente tutta quest’arte che i giovani vogliono esprimere trova sporadicamente zero appoggio dagli enti più importanti e da quelli che avrebbero le possibilità di promuovere e incentivare locali ed attività musicali, vedi il nostro comune.

Ogni band vive le proprie prove musicali in modo molto differente. Per alcuni è un momento speciale, per altri addirittura quasi un rito, un momento prezioso di aggregazione, e c’è poi chi vive le prove malissimo, quasi come un mini-parto o, più freddamente, come un vero e proprio lavoro. Per voi cosa significa fare le prove insieme?

Per noi provare è una cosa veramente normale: se vuoi suonare e suonare bene devi provare, se vuoi scrivere canzoni devi provare. Noi quattro ci conosciamo da una vita ormai, la sala prove diventa anche sala pizza, sala sigarette e sala giochi. Nella sala prove nasce tutto, progetti e musica. La sala prove è come humus per una band che vuole veramente fare qualcosa di importante.

E’ possibile creare un disco speciale senza una solida amicizia alle spalle o, quantomeno, si necessità di bisogni, scopi o disagi comuni?

E’ una domanda alla quale non sappiamo rispondere. La nostra realtà (Pavullo) ci impone di conoscere praticamente tutti in ambito musicale. Chiaramente uno scopo comune nella band ci deve essere altrimenti se si seguono obiettivi diversi prima o poi ci si sfalda. Onestamente, crediamo sia possibile creare un disco tra musicisti non amici da anni, se quello che li accomuna è la passione per quella che è la musica che poi dovranno suonare.

Grazie per questa intervista! Prima di salutarci potete dirci come trovare i Monolith sul web?

Grazie a voi! Potete trovarci su Facebook: /Monolithrock e sul nostro blog, monolithrock.tumblr.com; Potete ascoltare il nostro Even More su iTunes, Spotify e Bandcamp!

A presto!
Andrea, Max, Enrico e Riccardo

Frank Lavorino