Morto Pino Pelosi, unico condannato per assassinio di Pasolini

Pino Pelosi

E’ morto Pino Pelosi, unico condannato per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Era l’ultimo in vita a conoscere la verità su quella notte del 1975 all’Idroscalo.

Pino Pelosi è morto la scorsa notte in ospedale a Roma. Il 58enne Pelosi era malato da tempo di tumore ed era ricoverato al Gemelli. Fu condannato con sentenza definitiva come unico colpevole dell’omicidio dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, ucciso nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia. Pelosi fu fermato la notte stessa alla guida dell’auto di Pasolini e confessò il delitto.

L’omicidio e la prima versione del delitto

Il 1º novembre 1975 alle ore 22.30 di fronte alla stazione Termini, in Piazza dei Cinquecento, Pelosi è assieme ad alcuni amici, tra i quali Claudio Seminara e Adolfo De Stefanis. Si avvicina a loro un’auto, un’Alfa Romeo GT 2000 grigio metallizzata, targata Roma K69996, guidata da Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore invita Adolfo a “fare un giretto”. Adolfo rifiuta e Pasolini si rivolge allora a Pino che accetta. Alle ore 23.00 Pasolini porta Pelosi a mangiare alla trattoria Al biondo Tevere spaghetti aglio, olio e peperoncino, e poi un petto di pollo, questo perché appena salito in auto il giovane avrebbe riferito allo scrittore di essere affamato. Mentre Pelosi mangia, Pasolini sorseggia una birra. I due parlano fitto, ma in modo tranquillo. Alle 23.30 i due lasciano la trattoria e si recano a Ostia nei pressi dell’Idroscalo del Lido di Roma in uno sterrato accanto a un campetto di calcio, fermandosi durante il tragitto a fare benzina presso un self service. Alle ore 1.30 del 2 novembre 1975 il giovane venne fermato sul Lungomare Duilio di Ostia alla guida dell’Alfa di Pasolini, mentre guidava contromano a folle velocità davanti a una pattuglia dei carabinieri in servizio. Inizialmente accusato solo di furto d’auto, al primo interrogatorio, Pelosi confessa di avere rubato la vettura nei dintorni del cinema Argo, nel quartiere Tiburtino, ma più che dell’accusa di furto, Pelosi sembra preoccupato che venga ritrovato all’interno dell’abitacolo un anello che sostiene di aver perso, un grosso anello con la scritta United States Army. I carabinieri cercano ma l’anello nell’auto non si trova: verrà successivamente rinvenuto a fianco al corpo di Pasolini. Ci sono però tutti i documenti da cui risulta che l’auto rubata appartiene allo scrittore. L’auto argentata viene portata in un’autorimessa e i carabinieri sul sedile posteriore trovano un vecchio pullover verde consumato, assieme al giubbotto e al maglione di Pelosi. Trovano anche un plantare per una scarpa destra numero 41. Pelosi viene trasferito nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove al compagno di cella confessa: «Ho ammazzato Pasolini». Pelosi, nel verbale vergato a mano dei carabinieri che l’hanno fermato quella sera, afferma che l’anello perduto glielo avrebbe donato un certo Johnny. “Johnny lo Zingaro” è il soprannome di un criminale di nome Giuseppe Mastini, reo confesso di un altro delitto, commesso nello stesso periodo a Roma. Mastini è nel carcere minorile di Casal del Marmo nello stesso periodo di Pelosi, ma nega di esserne amico. Il 5 novembre 1975 Pino Pelosi viene interrogato. Il ragazzo descrive come sarebbe stato “agganciato” da Pasolini alla Stazione Termini e di come all’Idroscalo il loro incontro sarebbe degenerato. Sarebbe sorto un duro alterco per una prestazione sessuale non gradita, sfociato in una feroce colluttazione. Pelosi sostiene anche che lo scrittore l’avrebbe colpito per primo con un bastone, e che lui si sarebbe difeso colpendolo a sua volta con una tavola di legno (un’insegna che indica scritta a mano il nome della via, “via dell’Idroscalo n.93”) e poi, lasciatolo a terra, sarebbe fuggito. La morte di Pasolini sarebbe stata involontaria in quanto provocata dal fatto che l’Alfa ha investito il poeta durante la fuga di Pelosi schiacciandogli il torace e rompendogli il cuore. Pelosi sostiene anche che non vi fossero altre persone sul luogo del delitto. Il 10 dicembre 1975 Pelosi fu rinviato a giudizio al tribunale dei minori per omicidio volontario, furto d’auto e atti osceni in luogo pubblico. Il processo a Pelosi imputato di «omicidio nella persona di Pier Paolo Pasolini» si apre il 2 febbraio 1976 al Tribunale per i minorenni di Roma. La famiglia Pasolini si costituì parte civile difesa dagli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita. Il giudice Carlo Alfredo Moro (fratello di Aldo Moro) respinse la perizia del Professor Aldo Semerari (criminologo legato agli ambienti della destra eversiva) che giudicava Pelosi incapace di intendere e di volere, avanzata dalla difesa del ragazzo. Al processo che si concluse il 26 aprile 1976, il pubblico ministero Giuseppe Santarsiero chiese una condanna a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione. La corte decise di condannare Pelosi a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni, e a 30.000 lire di multa per atti osceni, furto aggravato e «omicidio volontario in concorso con ignoti». Più precisamente Moro scrisse: «Ritiene il collegio che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». Il giovane omicida era reo confesso, ma per omicidio colposo. Il processo di appello richiesto dall’imputato e dal procuratore generale fu celebrato dal 1º al 4 dicembre 1976 dalla sezione per i minorenni della Corte di Appello di Roma e vide Pelosi assolto dai reati di atti osceni e furto, ma venne confermata la condanna di omicidio. Riesaminati tutti gli elementi però la Corte ritenne «estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici». Un omicidio esito di una classica lite tra omosessuali e prostituti. La sentenza divenne definitiva per volontà della Corte di Cassazione il 26 aprile 1979 che confermò la sentenza. Rinchiuso a Civitavecchia, Pelosi il 26 novembre 1982 otterrà la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata. L’11 gennaio 1984 viene arrestato nuovamente con l’accusa di aver rapinato un furgone postale nel luglio precedente, ma sei mesi dopo verrà assolto per insufficienza di prove. Nell’agosto 1984 viene sorpreso a svaligiare un appartamento, mentre il 7 dicembre 1985 viene nuovamente arrestato con altri per tentata rapina. Continuerà a delinquere fino ad una rapina commessa il 1º settembre 2000.

Omicidio Pasolini
Il corpo di Pier Paolo Pasolini rinvenuto all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975

Le varie ritrattazioni della confessione

Pino Pelosi, dopo trent’anni di silenzio, tornerà a far parlare di sé ritrattando più volte e in modo a volte contraddittorio la propria versione dei fatti riguardo alla notte della morte dello scrittore. Il 7 maggio 2005 Pelosi affermò nella trasmissione televisiva della Rai Ombre sul giallo, in contraddizione con la sua confessione in fase processuale, di non aver partecipato di persona all’aggressione di Pasolini, ma che questa fu effettuata da tre persone, a lui sconosciute, che parlavano con accento siciliano e che si sarebbero accanite con bastoni e catene contro il poeta, dopo averlo malmenato e terrorizzato tanto da impedirgli di prestare soccorso al Pasolini. L’avvocato Marazzita, presente alla trasmissione, chiederà poi formalmente la riapertura del caso alla Procura di Roma come “atto dovuto”, ma il caso riaperto verrà subito riarchiviato perché si scoprirà che Pelosi fu pagato per andare alla trasmissione. Nel settembre 2011, nella sua autobiografia appena pubblicata, Pelosi racconta di non aver incontrato per la prima volta Pasolini la sera del 1º novembre 1975 in Piazza dei Cinquecento, ma ammette di aver conosciuto il poeta all’inizio dell’estate e di averlo frequentato con una certa assiduità. Pino nel libro parla in termini completamente diversi di Pier Paolo Pasolini, nelle sue descrizioni Paolo non è più quella belva feroce affamata di sesso che lo voleva picchiare, sodomizzare e forse uccidere, ma lo definisce “un galantuomo”. A giustificazione della sua reticenza e dell’essersi accollato la responsabilità dell’omicidio, Pelosi affermò di essere stato minacciato di morte assieme ai suoi genitori da parte di uno degli aggressori, e di aver pertanto atteso fino alla morte (per cause naturali) di questi ultimi, prima di iniziare a parlare. Nella nuova versione infatti, Pelosi parla di due giovani “dall’accento siciliano”, indicazione che con altre sembra collimare con le prime ipotesi degli inquirenti, i quali attribuivano complicità nel delitto ai fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, criminali comuni di origini siciliane e noti, nel mondo della malavita, come “Braciola” e “Bracioletta”, dediti al traffico di stupefacenti, militanti nell’MSI con simpatie politiche di estrema destra e morti di AIDS negli anni novanta. Effettivamente, i giovani si erano vantati con un “camerata” (in realtà, un agente di polizia che operava sotto copertura nel corso di un’indagine sulla malavita romana) già pochi mesi dopo il delitto di aver preso parte al massacro ed il loro alibi per quella notte risultò inconsistente; tuttavia, davanti al magistrato entrambi negarono ogni addebito, sostenendo di aver inventato il tutto per conquistarsi una reputazione di “duri”. Dopo essere stato nuovamente arrestato per spaccio di droga nel 2005, Pelosi è stato affidato ai servizi sociali e ha svolto il lavoro di netturbino per il comune di Roma. In un’intervista rilasciata al blog di Beppe Grillo nel giugno 2009 (che potete vedere qui sotto), Pelosi afferma l’estraneità del criminale ergastolano Giuseppe Mastini, noto alla cronaca come Johnny lo Zingaro, che fu suo amico, poi compagno di prigione nel 1976 e più volte sospettato come quarto uomo nel delitto Pasolini. Il 23 settembre 2009 Pelosi è tornato libero dopo l’espiazione della pena.

(fonte: Wikipedia)