One plus one/Sympathy for the Devil di Jean-Luc Godard per la prima volta in alta definizione

“Quello che mi interessava era proprio questo: dividere in due. Mi ricordo che così era in tutti i film che tentavo di fare a quell’epoca e di cui solo questo è stato finito… Il soggetto era questo: da un lato c’era One – cioè i Rolling Stones – e di fronte c’ero io. Questo faceva dunque One plus One. Uno più uno, che era un modo per cercare di fare due. Ma poi mi sono accorto, dopo, che fra due cose ci deve essere sempre un’altra cosa, cioè quel più o quel meno. Non è mai solo due; è tre o… È sempre tre. E proprio per questo il film che facevo non era un film, era solo one più one, diciamo così. E non arrivava ad essere una parità, quel più che mi escludeva non diventava… Cioè, in quel film non ci pensavo. Erano solo, appunto, alcuni elementi”. (Jean-Luc Godard).

Non è mai solo due; è tre… È  sempre tre: diceva Godard. Ma potrebbe essere anche molto di più, chi lo sa. D’altronde, i pezzi, i frammenti, circolano gioiosamente, fluttuano all’interno di una temporalità definitivamente slegata dallo scialbo nesso di causalità che concatena i fenomeni: è come se, posti di fronte all’orizzonte del mare, osservassimo gli innumerevoli vettori delle onde che si infrangono senza sosta in una risacca in cui s’insinua indiscutibilmente quell’indiscernibilità che contesta la scansione cronologica degli eventi (Italo Calvino descrisse in maniera impareggiabile questa situazione).

Le pietre rotolano, senza approdare in alcun luogo. È il movimento l’unica cosa interessante, anche se difficilissimo da filmare: bisogna essere funambolici, mettere continuamente in discussione ciò che si fa, deformare, trasfigurare, ri-simbolizzare. Insomma, un’impresa titanica, che Godard, col piglio del ricercatore accanito, compie eroicamente, interrompendo, guastando, intervallando e chiosando senza sosta la sessione di registrazione del celebre brano dei Rolling Stones Sympathy for the Devil: “Ero piazzato nei dintorni di San Pietroburgo/Quando vidi che era giunto il tempo per il cambiamento/Uccisi lo zar e i suoi ministri”.

Troppo complesso un regista come Godard per accontentarsi dell’angusta dialettica tra Freudemocracy e Cinemarxism: c’è un tre, che non è, si badi bene, il termine risultante dall’esito del conflitto, ma quell’alterità costitutiva che impedisce di congelare i rapporti in un’insufficiente dicotomia.

Black Panther, Socialismo, donne bianche, il nazismo dell’editoria e dell’intrattenimento del capitale, il blues, il be bop (usurpato dai bianchi con il cool), la democrazia liberale (?) con Anne Wiazemsky che risponde solo sì o no; e poi Mick Jagger e Keith Richards; i quali, a rivederli in uno studio di registrazione, dopo quarant’anni, colti nell’imbarazzante, ignobile, esasperante momento del compimento del gesto creativo, fanno – diciamolo pure, senza paura di profanare il mito – tenerezza, risultano patetici, narcisisti fino alla nausea, costantemente intenti ad assumere pose e atteggiamenti da artisti non curanti dello star system, in cui, invece, hanno sempre sguazzato (tutt’ora più che mai), simulando disinteresse per lo sguardo “panoramico” di Godard.

Il chitarrista della band inglese definì il film “un cumulo di stronzate” nella sua autobiografia del 2010, Life. Godard e Mick Jagger arrivarono anche a scontrarsi a distanza sulla stampa. Il cantante disse di non avere idea di cosa significasse il film. Forse sarebbero stati più opportuni i Beatles.
Ma è andata così. 1+1 non fa 2. Non c’è verso.

Sequenza Finale. Under the Stone there is the sand: non è due il risultato, ma molto, molto di più. È incalcolabile. Godard entra in campo, cosparge Anne Wiazemsky/democrazia liberale (?)/donna bianca di sangue (anzi di rosso). Esce dall’inquadratura. Il corpo della donna viene posto sul carrello in cui è posizionata la macchina da presa. Il corpo-macchina è pronto a eseguire un movimento planare con un maestoso dolly, la cui ariosità basta ad emozionare uno sguardo che abbia mantenuto un minimo di purezza. Ai lati, due bandiere, una rossa, una nera. Socialismo, Rivoluzione Nera (?).
1+1 non fa 2. Non c’è verso.

E il diavolo comincia ad esserci simpatico.

“Era un momento in cui ero abbastanza… ero, credo, sempre più sperduto. E cercavo di incollare dei pezzi, di trovare altri pezzi, cominciavo a filmare delle cose in modo separato. E, visto che in giro c’era della musica, questo poteva offrirmi l’occasione per..” (JLG).

Koch Media, oltre a mettere per la prima volta a disposizione un’edizione in alta definizione del celebre film, con notevole rigore filologico ne fornisce le due versioni conosciute: quella originale, voluta da Godard, One plus one, e quella ritoccata dai produttori, Sympathy for the devil, laddove Iain Quarrier cambiò il titolo senza alcuna autorizzazione per sfruttare l’appeal commerciale che la presenza nel cast dei Rolling Stones avrebbe garantito, enfatizzando la loro partecipazione alla pellicola. In entrambi i dischi è inoltre presente il documentario Voices (1968) di Richard Mourdant, della durata di quarantacinque minuti, che fornisce una preziosa testimonianza sul lavoro del regista francese svolto in terra anglosassone.
Da non perdere.

Luca Biscontini