Peggio per me: ieri, oggi e… romani

Il fatto che la casa di produzione si chiami McFly non può suggerire altro che un omaggio al giovane protagonista del classico degli anni Ottanta Ritorno al futuro… e, non a caso, è proprio nel 1986 che prende avvio Peggio per me, scritto e diretto a budget quasi zero dal Riccardo Camilli che ne è anche interprete insieme al fratello Claudio.

Un 1986 in cui troviamo in casa i dodicenni compagni di scuola Francesco e Carlo che, anziché dedicarsi ai compiti, si divertono a creare tramite l’uso di mangianastri alcuni audio-remix di televendite e film hard; fino a quando la madre del secondo li separa bruscamente.

Perché è ai giorni nostri che si svolge la quasi ora e cinquanta di visione, con Claudio e Riccardo Camilli rispettivamente nei panni di Carlo e Francesco quarantenni: il primo che, depresso da anni, vive barricato nella casa materna, il secondo mollato dalla moglie, licenziato dall’incarico di insegnante di sostegno, visto come un perdente dalla figlia dodicenne e, di conseguenza, pronto a gettarsi da un ponte in campagna.

Una tragica situazione destinata a cambiare proprio a causa di quella voce di bambino registrata nelle ritrovate audiocassette che torna a farsi viva; man mano che una certa nostalgia per il già citato decennio reaganiano e la passione nei confronti del genere si lasciano intravedere attraverso magliette di Hurricane Polimar, la fugace apparizione del mitico fumetto Splatter e locandine e gadget legati a cult del calibro di Creepshow, Hellraiser e Venerdì 13.

Un decennio sempre più lontano, soprattutto se si pensa che lo spesso poco confortante stato umano attuale sia dovuto nella maggior parte dei casi a cassintegrazione e curriculum inviati senza avere risposta, ma che Peggio per me non tira in ballo per farne un manifesto elogiativo, bensì si limita ad utilizzarlo quale metro per misurare la distanza da ieri alla crescita, con la quale, oltretutto, si perde la capacità di dare affetto.

E, mentre Angelo Orlando – autore, tra l’altro, di L’anno prossimo… vado a letto alle dieci – ricopre il breve ruolo di uno zio, è l’esilarante romanità sfoggiata dal personaggio di Carlo a caratterizzare buona parte dell’ironia presente (il momento del dialogo a tavola è il più divertente) in una atipica commedia che, vagamente morettiana, sembra guardare soprattutto al cinema di Francesco Nuti.

Peccato, però, che, pur rimanendo nel complesso gradevole pecchi in parte in lentezza di svolgimento e, soprattutto, trasmetta l’impressione che l’originale materiale di partenza non venga sviluppato a dovere, tanto che il senso dell’operazione finisce per sfuggire.

 

 

Francesco Lomuscio