Peppe Millanta: una vita nuova in questo esordio letterario

Si intitola “Vinpeel degli orizzonti” questo primo grande romanzo di Peppe Millanta. Edito da NEO Edizioni, già vincitore del Premio Alda Merini, già forte di un bellissimo riscontro di pubblico e di critica, questo è un romanzo che il musicista e cantautore abruzzese anche diplomato alla Silvio D’Amico in Drammaturgia e Sceneggiatura scrive come fosse un sogno, un immagine, una fantasia. Fantasia appunto: un parola chiave per leggere il libro. Una vicenda si surreale nel pieno sfogo della fantasia ma allo stesso tempo davvero reale e quotidiana, tra personaggi “capitanati” dal piccolo Vinpeel e un luogo, uno soltanto che forse esiste dentro ognuno di noi e che l’autore chiama Dinterbild. La fuga da questo paese come fosse una fuga da noi stessi per raggiungere “l’altrove”. E poi alcune parentesi che escono dalla narrazione e poi un finale che un poco anticipa la copertina e un poco lo vorremmo tutti, fin dalla prima pagina. Incontriamo Peppe Millanta e vi invitiamo alla lettura di questa prima bellissima prova da scrittore:

La bellezza della vita di oggi sembra offuscata, in qualche misura sembra confondersi nell’omologazione industriale. A me arriva questo come significato portante del romanzo. Cosa ne pensi?
Sicuramente siamo di fronte ad una omologazione pressoché totale, che sta riguardando tutti gli aspetti in quasi ogni parte del pianeta. Mangiamo gli stessi cibi, guardiamo gli stessi film, coltiviamo gli stessi miti, e ci rincoglioniamo con gli stessi video virali. Anche il concetto di bellezza si sta quindi via via uniformando, e soprattutto torcendo sotto criteri prettamente industriali. Non so se sia un bene o un male. Di certo è un fenomeno che c’è sempre stato, sin da quando l’arte – e la bellezza – sono esistiti. Molte delle opere migliori che ci sono state tramandate sono state scritte su commissione. Spesso tra colleghi scrittori e musicisti ci si ingolfa in questo ragionamento, che credo però sia già del tutto superato. L’omologazione “industriale” della bellezza non è né bene né male. Semplicemente E’. E dobbiamo prenderlo come un dato di fatto.

Un romanzo per adulti questo tuo primo libro. Ma in qualche modo cerca anche un linguaggio con i più piccoli?
Mi piace definirla una “Favola per adulti”, che cerca di spiegare cose “da grandi” con un linguaggio “da piccoli”. Volevo creare una storia che potesse operare su più livelli, permettendo al lettore di immergersi fin dove voleva. C’è un primo livello di trama vera e propria, e poi più si scende più si scoprono connessioni e metafore. Una storia a cipolla potremmo dire, quindi adatta ad ogni stagione, sperando che non faccia piangere troppo man mano che la si sbuccia! Comunque sì, sicuramente cerca un linguaggio con i più piccoli, ma soprattutto tenta di rubare loro il linguaggio per spiegare meglio ai grandi.

Senza svelare troppo la trama vorrei chiederti il significato di alcune simbologie: perché le mongolfiere, le conchiglie… perché una gamba di legno?
Di simbolismi coscienti in realtà ce ne sono pochi. Ho utilizzato elementi che fossero capaci di farmi sognare, di proiettarmi in una realtà parallela dove la fantasia fosse completamente innervata nel suo tessuto. Si tratta di tutti elementi a mio avviso “visionari”, e quindi capaci di portarmi “altrove”, che è proprio lì dove volevo stare mentre scrivevo.

Provenendo dal mondo della musica e dal teatro: quanto tutto questo ha contaminato la stesura del libro?
Credo tanto, anche se non era nelle mie intenzioni. Ci sono moltissime parti dialogiche, piccoli sketch che ricalcano la rapidità necessaria in teatro per portare avanti la storia. E poi c’è un ritmo narrativo che ruba molto alla musica, molto regolare. Quindi la contaminazione c’è stata su entrambi i fronti. Facendo sia la musica che il teatro parte del mio bagaglio, mi ci sono appoggiato per darmi un po’ di slancio quando ce n’era bisogno.

Col senno di poi: “Vinpeel degli orizzonti” è un libro nato dal bisogno o dalla fantasia? In altre parole è un libro che doveva appagarti o che doveva piacere?
È un libro che nasce da un bisogno di fantasia. Si dice che gli scrittori siano mossi da una sorta di insoddisfazione verso la realtà, e che le loro storie servano a colmare questa distanza, e a plasmare così il mondo torcendolo verso un qualcosa di gradevole: questo “bisogno di fantasia” è il mio modo di torcere la realtà. Sicuramente avevo in mente un qualcosa che si muovesse verso entrambe le direzioni, sia quella dell’appagamento personale – perché senza di questo scrivere si fa davvero difficile – sia cercando di piacere. E’ impossibile scrivere qualcosa che non ci piaccia e in cui non mettiamo il cuore, perché il lettore se ne accorge e ti molla dopo poche pagine. Al contempo però la musica, il teatro, mi hanno sempre costretto a confrontarmi in maniera immediata con un pubblico, a doverlo continuamente analizzare, comprendere, e in qualche modo appagare.