Pitch perfect 3: l’ultima sfida delle Barden Bellas?

È a bordo di un’imbarcazione da qualche parte al largo della costa francese che, con una spruzzata di spettacolarità, ricominciano le avventure del gruppo vocale delle Barden Bellas, con le quali avevamo fatto conoscenza nel 2013 in Voices di Jason Moore, tratto dal romanzo Pitch perfect: The quest for collegiate a cappella glory di Mickey Rapkin, e che hanno fatto il loro ritorno sullo schermo, due anni più tardi, in Pitch perfect 2.

Un sequel che vide al timone di regia la stessa produttrice Elizabeth Banks, anche presente nei panni della presentatrice del Campionato Internazionale dei cori a-cappella destinata a tornare ancora una volta in scena in Pitch perfect 3, dietro la cui macchina da presa si trova la Trish Sie autrice di Step up all in.

Un terzo capitolo che, considerata la tutt’altro che esaltante vita toccata dopo il college alle protagoniste, costrette a lavori frustranti e lontane da contratti discografici pronti per essere firmati, le propone pronte a cercare di riunire la squadra partendo per un tour oltreoceano in cui esibirsi di fronte alle truppe americane sparse per il mondo.

Il pretesto per mostrarcele alle prese con sfidanti che imbracciano veri strumenti musicali e il cui gruppo porta il nome di Sempre umide (!!!), alimentando il comparto di battutine idiote a doppio senso probabilmente mirato a replicare l’atipico e azzeccato ricorso a parentesi trash che aveva caratterizzato l’apprezzabile capostipite ma che era andato perso nel tassello successivo, maggiormente rientrante nei comuni binari della tipica commedia musicale per ragazze.

Un tassello al cui confronto, forse, questo terzo appare leggermente superiore, fallendo, però, proprio nella scelta di spingere ancor di più sul pedale dell’umorismo, con una Ciccia Amy alias Rebel Wilson che arriva stavolta addirittura a fare in maniera chiara il verso al Liam Neeson di Io vi troverò durante una conversazione telefonica ed a cimentarsi in una scazzottata mentre in tv viene trasmesso un film interpretato da Burt Reynolds.

Senza contare lo scontro in cucina che, come pure le due già citate situazioni, trascina evidentemente l’insieme nel qui del tutto fuori luogo ambito della parodia da action movie, con il veterano John Lithgow a fare da sprecato cattivo.

Quindi, tra un imprevisto con fuoco e api e il concetto di famiglia più o meno posto a fare da sfondo, l’unica cosa che rimane da fare è ascoltare le immancabili rivisitazioni di successi in note, da Call me dei Blondie a You really got me dei Kinks, passando per Zombie dei Cranberries.

Perché, per il resto, fino alle ultime scene collocate durante lo scorrimento dei titoli di coda la terza riunione in fotogrammi di Anna Kendrick, Brittany Snow e compagne di imprese canore si alterna di continuo tra sensazione di martellamento e stanchezza generale maldestramente camuffata.

 

 

Francesco Lomuscio