Corpo e anima. Titolo e insieme perfetta espressione dell’antitesi che pervade il nuovo lavoro della regista ungherese Ildikò Enyedi. La pellicola, che si è già guadagnata l’Orso d’Oro per il miglior film al Festival internazionale del cinema di Berlino 2017 e la candidatura agli Oscar 2018 nella categoria miglior film in lingua non inglese, è il racconto delicato e onirico di una storia d’amore surreale che si muove tra i limiti perfettamente bilanciati di sogno e realtà. Sogno, rappresentato da un favolistico bosco innevato in cui una coppia di cervi si sposta indolente, e realtà, brutalmente concretizzata dagli spazi di un mattatoio insanguinato. In mezzo a questo universo, alieni, si muovono Endre (Morcsányi Géza), solitario direttore amministrativo con il suo braccio paralizzato, e Maria (Alexandra Borbély), schiva e scrupolosa responsabile del controllo qualità.
Contornati da tante figure che rimangono sullo sfondo, i due protagonisti rivendicano la totalità della scena, oscillando costantemente tra sonno e veglia, tra realtà e fantasia, tra costrizione e libertà. Vengono fuori pian piano, attraverso un sogno che quasi inverosimilmente condividono ogni notte, attraverso gesti inconsueti che li rendono diversi dagli altri e attraverso i pensieri raccontanti ad alta voce perché lo spettatore possa percepirli.
Superando insieme i propri retaggi personali, Endree e Maria affrontano un percorso, a suo modo doloroso, che porta i due dalla solitudine alla via della condivisione, per sfociare in un amore che dà finalmente corpo ai sogni e anima alla realtà.
Tutto nella storia scorre lento. La Enyedi, supportata dalla fotografia di Máté Herbai, si sofferma in maniera maniacale e meditativa sui dettagli di ogni spazio e ogni corpo, proponendone prospettive insolite e procedendo per antitesi. Così, per tutto il film, le immagini eteree dei cervi si intersecano con la dura macellazione del mattatoio, il sogno si contrappone alla realtà, la libertà alla costrizione, il sesso alla complicità della mente, la psiche alla carne, la serenità del sogno alla fastidiosa crudezza del reale. Senza, però, che il racconto si sbilanci mai in una direzione o nell’altra. Le antitesi convivono e si sostengono in un’armonia che appare quasi sconcertante nella sua perfezione.
Ne viene fuori un’opera curiosa, in cui una comune love story diventa simbolo di una riflessione più intima sull’uomo, sulla sofferenza, sui sentimenti, sulla lotta tra ciò che si è e ciò che si sogna di essere, sul bisogno infinito di amore. Un’opera che usa il sogno per squarciare il velo della realtà e che può essere considerata un piccolo gioiello del cinema contemporaneo.
Valeria Gaetano
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