Recensione: Made in Italy, la rivoluzione di Luciano Ligabue

Ligabue (foto Toni Thorimbert)

E’ uscito il nuovo album di Ligabue, si intitola Made in Italy ed è un concept album. E già su queste tre affermazioni si potrebbe scrivere un intero articolo.

Ma non basta, perché Made in Italy è un disco che va ascoltato molto attentamente. Eh sì, la rivoluzione sonora di Ligabue parte proprio da un progetto per lui inedito e molto atteso. Già le anteprime che abbiamo avuto modo di ascoltare negli scorsi mesi – il primo singolo G come giungla, le tre canzoni eseguite dal vivo durante i concerti settembrini di Monza (La vita facile, Ho fatto in tempo ad avere un futuro e Dottoressa) e la title track ora in rotazione radiofonica – ci avevano messo nell’ottica di doverci aspettare qualcosa di nuovo. E così è stato. Certo, qualcuno potrebbe (e già lo ha fatto!) rimpiangere il Luciano delle origini, quello delle melodie orecchiabili, delle chitarre spianate e delle batterie dritte, ma il lavoro dietro Made in Italy è realmente interessante e merita molto di più di un ascolto “pop”.

La cover di “Made in Italy”

Si parte con La vita facile, il manifesto dell’intero disco, un brano rockeggiante di stampo “classico” che svela la sua sorpresa nella parte finale, con l’ingresso inatteso di una tromba che da sola già preannuncia un sound completamente rinnovato, di cui la sezione di fiati sarà componente fondamentale. Presto detto. Mi chiamano tutti Riko è la carta d’identità del protagonista della nostra storia, una sorta di alter ego di Ligabue stesso. Il brano è un funky dalle sonorità seventies che racconta nei canonici quattro minuti lo spaccato di vita di Riko e anticipa i temi che saranno approfonditi nelle tracce successive: amore, lavoro, politica… la giostra è in moto! Fiati da big band e chitarre vintage per E’ venerdì, non mi rompete i coglioni, la tragicomica avventura di Riko e dell’amico Carnevale ormai adulti al Barakka, la discoteca della loro adolescenza.

Luciano Ligabue (foto Toni Thorimbert)

La vita di coppia “prosciugata” di Riko e Sara è raccontata nella struggente ballad Vittime e complici, un’amara metafora di una relazione vista come una casa dismessa (con tanto di rubinetto che perde). Meno male è il primo dei tre snodi del disco, un breve brano acustico con la voce di Ligabue (mai così profonda) in primissimo piano che introduce la spinosa tematica del lavoro, in una sorta di preludio a G come giungla, forse il pezzo più svincolato rispetto alla storia – non per nulla scelto come primo singolo – ma non per questo meno ficcante. Giro di boa della storia di Riko e del disco è Ho fatto in tempo ad avere un futuro (che non fosse soltanto per me): il titolo da film di Lina Wertmüller e l’accattivante riff di pianoforte sono gli ingredienti di questa ricetta ben composta che unisce la tradizione autorale di Ligabue ad un sound contemporaneo che strizza l’occhio alle grandi produzioni anglofone degli anni Settanta.

Luciano Ligabue (foto Jarno Iotti)
Ligabue in concerto (foto Jarno Iotti)

Riko scende in piazza ne L’occhio del ciclone, un pop-rock à la Ligabue fratello minore (solo di anagrafe, sia ben chiaro) di quel Muro del suono con cui si apriva lo scorso Mondovisione. Secondo snodo, seconda pillola acustica: è Quasi uscito, in cui un ipnotico arpeggio di chitarra acustica accompagna lo stordimento di Riko dopo gli scontri. Atmosfera perfetta. Il rock nudo di Dottoressa – che negli incisi si apre in un tripudio di fiati – scopre le carte di un Ligabue mai così ironico e intelligentemente allusivo. I miei quindici minuti – un simil reggae allegro e sbruffone – tratta, insieme ad Apperò (il terzo e ultimo snodo, ma stavolta voce e ukulele), il tema del cannibalismo giornalistico, in un j’accuse a tratti gaberiano, ma con una leggerezza inedita e piacevole. E’ il momento della title track: Made in Italy è forse il brano più riuscito dell’intero album, un tour tra le bellezze del nostro paese, che ricorda come idea la poco conosciuta Viaggi e miraggi di Francesco De Gregori. L’interrail tricolore di Riko e Sara è raccontato in un brano di ampio respiro, accompagnato da un video affascinante e coloratissimo. Un’altra realtà ha l’arduo compito di chiudere l’album: atmosfere rarefatte, coro di bambini e testo minimal per il necessario happy ending di questa storia.

Ligabue (foto Toni Thorimbert)
Ligabue (foto Toni Thorimbert)

Made in Italy è un concept album solido e ben strutturato, in cui per la prima volta il cantautore di Correggio cambia rotta e cura in prima persona arrangiamenti internazionali e contaminati. Certo, nel raccontare una storia che non è la propria rischia di venir meno il rapporto viscerale con la creazione artistica, e in effetti questa minore partecipazione tra l’autore e le sue canzoni emerge dopo i primi ascolti. Ma poco importa, in realtà, perché questo disco è un esperimento ben riuscito che ha tutte le carte in regola per poter avere un seguito. Ligabue ha portato in concerto Made in Italy in un’anteprima riservata al suo Fan Club il 27 novembre al Mandela Forum di Firenze, prima di partire per un lungo tour indoor che prenderà il via dal Palalottomatica di Roma il prossimo 3 febbraio (queste le date e le info biglietti). Buon viaggio.

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Francesco Rainero

(Revisione e impaginazione Ivan Zingariello)