Recensione: Tutti i soldi del mondo, Ridley Scott e la sua lotta dei valori

Erano i primi anni Settanta e il mondo della cronaca fu scosso da un drammatico evento, che coinvolse l’uomo ritenuto allora il più potente e ricco del globo (o dell’intera storia, come qualcuno fa ricordare): il magnate petrolifero John Paul Getty.

Nel 1973, infatti, suo nipote adolescente venne rapito a Roma da un gruppo di criminali che, per il suo rilascio, non esitarono a chiedere un riscatto multimilionario.

Una vicenda che si trova al centro di Tutti i soldi del mondo, nuovo film a firma di un Ridley Scott che, reduce dalla lavorazione del sottovalutato Alien: Covenant, trae stavolta ispirazione da un saggio a firma di John Pearson (famoso per essere il biografo ufficiale di Ian Fleming, l’autore di 007).

Un film di cui, inoltre, si era recentemente parlato molto a causa del coinvolgimento sul set dell’attore Kevin Spacey, il quale, sebbene abbia interpretato l’intero lungometraggio ricoprendo il ruolo, appunto, del magnate petrolifero, a causa degli scandali sessuali che lo hanno travolto è stato poi estromesso dal montaggio finale e sostituito da Christopher Plummer (infatti, della sua performance sotto pesante make up di invecchiamento è stato possibile assistere in un primo trailer circolato).

Un film che prende avvio dal momento in cui il giovane John Paul Getty III (Charlie Plummer, visto in The dinner) viene catturato dal gruppo di malintenzionati mentre passeggia nottetempo per la capitale italiana Roma; con la conseguenza che sua madre Gail (una bravissima Michelle Williams) si trova immediatamente catapultata in una situazione difficile, facendo di tutto nel tentativo di riuscire a liberare il proprio figlio. Mentre il marito John Paul II (Andrew Buchan) è in uno stato di completa incoscienza per via delle droghe abusate in Marocco e suo suocero, il potente petroliere Getty (un immenso Plummer), non sembra mostrare interesse a pagare il riscatto. nonostante sia le sue immense ricchezze.

Chiamato dal “grande vecchio” per collaborare all’operazione, ad aiutare la donna interviene l’agente CIA Fletcher Case (l’infaticabile Mark Wahlberg), ma la faccenda non manca di lasciar emergere quanto i soldi siano poco importanti di fronte all’amore per la propria famiglia.

Quindi, spinto dalla voglia irrefrenabile di voler parlare di una nota tragedia tutta americana ma ambientata in buona parte in terra italiana (quindi location nostrane a fare da padrone), Scott mette in piedi oltre due ore e dieci di visione con il suo solito piglio registico, farina del sacco di un mestierante di alta classe quale è, dedito a sfornare le giuste inquadrature ottimamente fotografate.

Oltre due ore e dieci che, con molta premura e una descrizione degli eventi minuziosa (script a cura del David Scarpa de Il castello e di Ultimatum alla terra remake), non inciampa in manierismi di sorta o alleggerimenti dell’accaduto, tanto che ogni personaggio viene posto sotto una lente d’ingrandimento che ne estrae la psicologia contorta nell’ambito del contesto.

Citiamo soltanto lo stesso Getty, distaccato e sicuro di sé, simbolo di un’agiata esistenza fatta di allori e ricchezze, inattaccabile da chiunque si trovi al di sotto delle sue competenze.

Un’iconica immagine su cui Scott si affida maggiormente, per analizzarla e avvicinarla al contorno meno abbiente del caso (la madre disperata Gail, gli stessi criminali/rapitori, tra cui vi sono il francese Romain Duris più i nostri Nicolas Vaporidis, Marco Leonardi e il Guglielmo Favilla visto, tra l’altro, nello zombie movie Eaters), al fine di tirar su il suo scontro di valori, materiali (i soldi) e non (l’amore per i propri cari).

Uno scontro rappresentato e raccontato con mestiere attraverso un ritmo non propriamente al cardiopalma, ma sufficientemente coinvolgente e non privo di pugni nello stomaco (si pensi alla sequenza dell’orecchio tagliato).

Certo, il risultato finale avrebbe potuto essere ancora più sorprendente, ma, in ogni caso, lo spettatore riceve lo stretto necessario per lasciarsi trasportare da una storia vera trattata sullo schermo come si deve, evitando il rischio di apparire accostabile ad una qualsiasi fiction televisiva. Ma solo perché dietro la camera abbiamo uno dei cineasti cinematografici di maggior presa di sempre (anche se la ricostruzione della Roma anni Settanta non manca di passaggi di alcuni tram di più recente fabbricazione).

Mirko Lomuscio