Recensione: Il vegetale, il precario Rovazzi

Sarà vero che Milano è l’unica locomotiva che smuove tutto il lavoro e che, per scalare la vetta, si comincia sempre dalla strada?

Ci risponde lo youtuber e cantante italiano Fabio Piccolrovazzi meglio conosciuto come il Fabio Rovazzi dei successi musicali Andiamo a comandare e Tutto molto interessante, ma non attraverso una sua nuova hit, bensì ne Il vegetale, lungometraggio cinematografico che ne segna il debutto sul grande schermo.

Lungometraggio in cui, però, non si cimenta – come ci si sarebbe potuto aspettare – in un ruolo canterino al servizio di un plot proto-musicarello, vestendo i panni di un neolaureato in cerca di occupazione che, dal capoluogo lombardo che viene sempre promosso in qualità di paradiso degli universi professionali, si ritrova scaraventato in mezzo ad una precaria realtà lavorativa rurale.

E, considerando che dietro la macchina da presa si trovi il Gennaro Nunziante cui si devono i quattro successi in fotogrammi del golden boy Checco Zalone, non è affatto difficile individuare similitudini di trama e tematiche con il Quo vado? interpretato proprio dal comico pugliese.

Comico di cui il simpatico Fabio non possiede certo il carisma da mattatore della risata, affidandosi completamente al regista che, oltre ad un coinquilino che consegna sushi a domicilio incarnato da Alessio Giannone, gli affianca un molto assente e tutt’altro che onesto padre dalle fattezze di Ninni Bruschetta ed una capricciosa e viziata sorellina in possesso di quelle della sorprendente Rosy Franzese vista nella serie televisiva Sirene.

Personaggi cui si aggiungono presto anche un romanissimo Luca Zingaretti e una insegnante dall’anima e il corpo di Paola Calliari, ovviamente destinata a far perdere testa e cuore al protagonista; man mano che, come da tradizione nunziantiana, tra speculazione edilizia, squallidi giri per ottenere finanziamenti in denaro e continue proposte di stage, a dominare sono soprattutto frecciate e denunce alla disonestà imperante nel paese degli spaghetti d’inizio terzo millennio.

Un paese in cui, se la speranza è l’ultima a morire, è, forse, anche la prima che ti fregano, tanto da spingere difficilmente a credere che nella vita vi sia sempre una ricompensa e che i risultati si ottengano con umiltà e pazienza, come viene invece osservato in questa produzione Disney.

Mentre la storica People from Ibiza di Sandy Marton fa da colonna sonora ed una esilarante apparizione di Barbara D’Urso nel ruolo di se stessa contribuisce alla sufficiente dose di risate regalata nel corso di una gradevole e non disprezzabile operazione che, però, sembra soltanto accontentarsi di segnare il debutto attoriale rovazziano senza cercare originalità e chiudendo in maniera piuttosto frettolosa.

Francesco Lomuscio