Resina: un’opera prima che mette al centro molte significative questioni

Nato nel 1980, ma con già molti documentari e due cortometraggi alle spalle, Renzo Carbonera, laureatosi con una tesi su Ken Loach all’Università di Padova, esordisce nel cinema di finzione con Resina, film intenso e significativo, in cui forma e contenuto si sposano felicemente, facendo ben sperare sul futuro del giovane regista.

La giovane violoncellista Maria (una buona Maria Roveran, già vista in Piccola patria, La foresta di ghiaccio, Questi giorni e Così sia) è delusa dallo spietato mondo della musica, così ritorna al paesino di montagna delle sue origini, una piccola enclave isolata, dove si parla ancora una lingua arcaica: il cimbro.

Senza cincischiare, Carbonera e Alessandro Bandinelli (il co-sceneggiatore) ci gettano in situazione, mostrandoci i luoghi magici, avvolti da un’impenetrabilità che li rende ancor più affascinanti, di Luserna, un meraviglioso e ancora incontaminato paese della provincia di Trento, in cui una piccolissima comunità è sull’orlo dell’estinzione, anch’essa toccata dal gelido tocco di una contemporaneità che distrugge le identità particolari in favore di una terrificante omologazione.

Il fallimento personale di Maria diviene in Resina un’inaspettata opportunità per riattivare l’essenza di un mondo che sta scomparendo. Tratto da una storia vera, il film di Carbonera, infatti, mette in scena la ricomposizione del tessuto sociale intorno alla figura di Maria, la quale, senza farsi pregare, acconsente alla richiesta del direttore del coro locale (Thierry Toscan, già visto nel bel Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti) di sostituirlo per proseguire nella conduzione del piccolo gruppo musicale.

Resina è un film sulla musica, sul cambiamento climatico e sul rapporto conflittuale che abbiamo con la bellezza. È il film di una giovane donna in un mondo di uomini. È un film che riscopre una piccola comunità di montagna, che vanta una storia millenaria, che costituisce una ricchezza di cultura e tradizioni per questo territorio e che rischia di sparire nell’oblio: i cimbri”: la musica – ci fa intendere il regista –, l’arte e la bellezza possono costituire quel fulcro intorno cui ricostruire o tenere in piedi ciò che sembrerebbe essere fatalmente destinato a essere sussunto dalla logica dell’indifferenziazione generalizzata imposta dal mercato, il cui unico scopo è quello di ridurre tutti al miserabile ruolo di consumatori.

Grazie ad alcune sublimi inquadrature che colgono esemplarmente la sospensione temporale che ammanta Luserna, lo spettatore può immergersi nel ritmo naturale di una vita ancora possibile, non dilaniata da quel folle e forsennato movimento in avanti richiesto in nome di un miope e indiscriminato aumento del profitto. In certi passaggi non possono non tornare alla mente le atmosfere del cinema di Werner Herzog o quelle del compianto maestro Ermanno Olmi, a dimostrazione di quanto lo sguardo di Carbonera abbia già raggiunto un certo grado di maturità.

Novanta minuti per un film intenso e interessante che, ancora una volta, testimonia quanto il nostro cinema possa contare su giovani e promettenti autori.

 

 

Luca Biscontini