Sergio Stivaletti si racconta: ”Il velo di Waltz”

Dopo sei anni da ‘‘I tre volti del terrore’‘, vediamo il ritorno di Sergio Stivaletti alla regia con il cortometraggio ‘‘Il velo di Waltz.” Il regista e creatore degli effetti speciali italiano ha così dato vita ad un cortometraggio horror. ”Il velo di Waltz” si presenta al pubblico come accattivante, nuovo e originale.

Jack Waltz, un produttore televisivo, si risveglia in maniera del tutto confusa su un tavolo operatorio appartenente alla clinica del chirurgo estetico Jim Sherman, suo amico personale. Scrollatosi un po’ gli effetti della droga di dosso, la sua mente comincia a rammentare. Tutto comincia dal suo rapporto col chirurgo Sherman e con l’incontro durante una festa con una donna avvenente dal nome Christine. Qui, percorre un viaggio di reminiscenza verso gli atti che, inconsapevolmente, lo hanno ricondotto e trascinato verso quel letto tramite un carnefice, da carnefice stesso a vittima.

L’intervista riassunta fatta a Sergio Stivaletti

Il velo di Waltz nasce tramite Azteca Produzioni cinematografiche (il produttore fu Andreani) tramite conoscenze dell’autore. All’inizio c’era l’ipotesi che un canale televisivo dovesse fare una serie di corti, nello specifico brevi episodi dal tema horror, che sarebbero stati poi proiettati in serata per riempire il palinsesto televisivo.

Insieme a Carlo Baldacci Carli, ebbe vita la sceneggiatura e nacque l’idea di una ragazza che ripercorreva una violenza subita; per questa ragione il film doveva essere molto violento, sia esteticamente che psicologicamente parlando. Una donna che usa la violenza su un uomo non è forse qualcosa di nuovo rispetto all’idea che si ha della donna? E’ il sesso ritenuto debole che diventa intoccabile, potente, che diviene il vero punto di forza: la figura femminile muta e diventa così peggiore della figura del cattivo. Quando non si risponde più alle proprie azioni, avviene nell’interno un esplosione che qui può essere definita una ”giusta” violenza: l’affascinante tema della vendetta.

Per quanto riguarda il cast, Riccardo Serventi Longhi, amico stretto del regista da molto tempo, venne di nuovo convocato per il ruolo di protagonista, che gli calza addosso egregiamente; è capace di interpretare la figura antagonista e di riuscire nel donare allo spettatore angoscia e pena, quando la situazione all’interno del film viene ribaltata.

Con una regia di alto livello, montato in digitale e girato in pellicola 35 mm, ”Il velo di Waltz” è un lavoro nel complesso fluido, ma non banale: non perfetto, ma intenso e spiccato.

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Anna Foglietta ne ”Il Velo di Waltz”.

La truccatrice di Stivaletti gli aveva raccontato dell’esperienza avuta con l’attrice Anna Foglietta, dicendogli quanto fosse una professionista. Alla ricerca dell’interprete per questa parte che poi a lei venne affidata, un ruolo per nulla facile, si cercò appunto una vera attrice: non una qualunque ma una con stoffa, proprio come Anna.

La sequenza in cui recita la figura femminile venne girata una sola volta. Perché? Perché l’interprete fu talmente professionale da riuscire bene nella prima performance senza aver bisogno di ripeterla ulteriormente; non si interruppe mai ricordandosi ogni battuta alla perfezione mentre l’autore restò a girare ininterrottamente, sorpreso dalle capacità recitative della donna.

Si stava girando, ma sembrava di guardarlo realmente in diretta, il film.

La scelta della colonna sonora sarebbe dovuta ricadere su Maruzio Abeni (già autore della colonna sonora de ”I tre volti del terrore”), che non poté unirsi al progetto però per impegni lavorativi. Il suo sostituto, Massimiliano Lazzaretti, fece ugualmente un ottimo lavoro e fu molto bravo a descrivere le emozioni della pellicola partendo da un carillon inquietante e al contempo candido, che nella scena funge da portavoce per gli atti che verranno mostrati.

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Il velo di Waltz.

Tramite la colonna sonora, abbiamo  la rappresentazione della morte che ruba la giovinezza, la quale piano piano, va via. Gli effetti speciali sono una degna garanzia del maestro Stivaletti, il quale riesce a rendere viva anche una ferita sul volto, donando un’esistenza limpida anche al sangue che, semplicemente, si accentua e cola.

La pazzia viene mostrata  nelle sue più alte forme, mostrando come di punto in bianco una vittima possa divenire la colpevole di bagni di sangue, di violenze psicologiche e fisiche: mostrando come la vita ci cambia da puri a macchiati.

Un atto può renderci capaci di cose che non faremmo mai… perché tutto ha una sua conseguenza.

Il finale struggente spiazza e grazie al sottofondo musicale e l’interpretazione di Riccardo Serventi Longhi, si ha forse l’apice drammatico di tutto il corto, un urlo straziante e angoscioso verso il mondo che non vuole sentire.  Così si ha la possibilità di proporre un quadro chiaro di ciò che il regista voleva realmente mostrare.

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Il velo di Waltz.

Il velo è la garza, che crolla in un buio indefinito, con il sangue onnipresente. E’ un velo che ha una storia, che la racconta e la grida.

E’ un forte simbolo ed è il significato più importante e profondo di questo cortometraggio.

Il velo che ogni giorno si ha davanti agli occhi. La superficialità che costringe le persone a cambiare distruggendo sé stessi e gli altri. Il velo è il nostro specchio riflesso, mentre si punta proprio dinanzi ai nostri occhi, oscurando quel che è ahimè, nella vita, il vero valore.

I miei ossequi a Sergio Stivaletti, a cui dedico questa breve ma accurata recensione.

Il corto:

e il Backstage del corto: