Quattordici anni dopo La casa del diavolo, che fece nel 2005 da sequel al suo La casa dei 1000 corpi, datato 2003, Rob Zombie riporta sullo schermo in 3 from hell la famigerata famiglia Firefly, a quanto pare sopravvissuta ai colpi sparatigli dalle forze dell’ordine al termine del secondo film.
Famiglia di cui, però, tra incarcerazione e inevitabile fuga rimangono l’Otis Driftwood incarnato da un Bill Moseley sempre più vicino a Charles Manson e la bella e letale Baby, cui concede per la terza volta anima e corpo Sheri Moon Zombie; in quanto, complice il fatto che l’attore Sid Haig non versasse affatto in buone condizioni di salute (è scomparso proprio nel periodo d’imminente uscita di 3 from hell), nel ruolo del suo iconico Captain Spaulding lo ritroviamo soltanto brevemente, quasi subito congedato tramite espediente narrativo della condanna a morte.
Una dipartita che Zombie tenta di rimpiazzare introducendo un personaggio fino ad oggi inedito nella saga dei cosiddetti “Reietti del diavolo”: il fratellastro Foxy, soprannominato “Lupo mannaro di mezzanotte” e dalle fattezze del Richard Brake che il regista già ha avuto modo di sfruttare in Halloween II e 31.
Personaggio che rappresenta, in fin dei conti, l’unica vera novità (oltretutto irrilevante) in questo terzo capitolo di una trilogia che, avviata in qualità di sorta di bizzarra e variopinta versione proto-videoclip del super classico Non aprite quella porta di Tobe Hooper, è poi proseguita abbracciando stilemi maggiormente accostabili ad una pellicola western tinta di splatter, abbandonando l’ambientazione notturna del capostipite in favore di una soleggiata, polverosa e desertica America.
Una scelta stilistica che ha portato il tutto a spostarsi in maniera efficace dalle strizzate d’occhio ai teen-ager, chiaramente intuibili nel capostipite, ad un affascinante oggetto cinematografico trasudante cinismo e violenza senza ricorrere ad ingredienti soprannaturali.
Un oggetto cinematografico sempre più lontano dall’horror puro per rispecchiare, invece, vicende dal sapore realistico e a base di buoni e cattivi quasi indistinguibili, con evidenti influenze provenienti dai capolavori di Sam Peckinpah.
Forte di un’atmosfera che Zombie si rivela capace di riprendere anche in questo caso, ma rendendola, purtroppo, l’unico elemento realmente positivo di 3 from hell, che ci spinge a desiderare fortemente giunga presto all’epilogo già a metà visione.
Perché, al di là della confezione tecnica resa pregevole nonostante le limitazioni di budget, non si fatica ad intuire ci si trovi dinanzi ad una stanca continuazione unicamente dettata da esigenze alimentari.
Non a caso, i fotogrammi avanzano lasciando emergere la totale mancanza di idee, e, se graditi possono di sicuro risultare gli immancabili omaggi cinefili – da Bela Lugosi e Lon Chaney in tv alla gang criminale dei Satana neri, mascherati come Santo e gli altri lottatori di catch dei trash movie messicani – e le apparizioni di volti noti del genere (abbiamo Danny Trejo, la Dee Wallace de L’ululato e un Clint Howard in versione clown), piuttosto monotona e ripetitiva appare la sequela di consuete sadiche situazioni, incluso lo sventramento di una ragazza completamente denudata.
E, mentre The wild one di Suzy Quatro e In-a-gadda-da-vida degli Iron Butterfly figurano nella colonna sonora ricca di vecchie hit, l’impressione generale è che 3 from hell raggiunga l’ora e cinquantacinque di durata (decisamente eccessiva) tramite l’abuso di ralenti che ne dilatano la notevole pochezza di contenuti.
Francesco Lomuscio
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