Seminale, archetipico, innovatore, apripista, fondante, codificatore: sono solo alcuni degli aggettivi che ho sentito accostare al capolavoro del quale, non senza un po’ di timore reverenziale, ho deciso di parlarvi oggi, 6 Donne per l’Assassino, classe 1964, del Maestro dei Maestri e Pioniere dei Generi Mario Bava. Ebbene sì, questo giallo del cineasta sanremese codificherà alcuni degli stilemi che diverranno poi col tempo classici del thrilling all’italiana e del thriller internazionale, rendendolo un cult chiave nella formazione di ogni regista di genere che si rispetti.

Una giovane modella, Isabella, che lavora presso l’atelier di alta moda della contessa Cristiana Cuomo, viene assassinata di notte nel parco della villa dove ha sede la casa di moda. Le indagini della polizia sembrano puntare verso l’amante della donna, l’antiquario Franco Scalo. La sera successiva, durante i preparativi di una sfilata, un’altra modella, Nicole, trova il diario della ragazza uccisa, scatenando il morboso interesse di tutti i presenti. Che cosa avranno da nascondere coloro che sembrano decisamente intenzionati a leggere il diario di Isabella? Prima di rivelare l’arcano molte saranno le donne che incapperanno nella lama dell’assassino, ed il gioco si rivelerà ben più contorto di quanto sembri.
Prima di questo, il maestro Bava si era già approcciato al giallo, tra un horror e l’altro, col bellissimo La Ragazza che sapeva troppo del 1963, interpretato dal grande John Saxon. Tuttavia la struttura di quel film è decisamente più tradizionale, diciamo pure hitchcockiana, mentre in 6 Donne per l’Assassino si inseriscono dei dettagli macabri e truculenti che porteranno poi al film che viene ritenuto il capostipite, per lo meno in Italia, dello slasher, Reazione a Catena, classe 1971. Questo tassello della filmografia di Bava Senior, dunque, si pone tra il passato ed il futuro, rappresentando un punto di rottura nella tradizione del giallo com’era inteso fino a quel momento e gettando le basi per la futura fioritura del genere thriller, che ancora oggi continua ad attingere a piene mani ai cliché piantati in questa seminale pellicola.

In primis viene qui codificata quella che sarà la figura dell’assassino, del killer spietato, del cinema thrilling italiano, sfuggente e coperto in modo tale da non essere identificabile, così che potrebbe tranquillamente essere un uomo o una donna. Si inserisce poi una buona quantità di sadismo nei delitti, che si compiacciono di mostrare le torture più efferate perpetrate sul corpo della povera vittima di turno. Qui Bava insiste molto, inoltre, sulla rappresentazione non realistica di ciò che stiamo guardando, con colori accesi e molto forti, che dà all’opera una sorta di sfumatura fantastica, che la relega nel mondo della favola nera e non in quello della realtà nuda e cruda. Importante al fine di questa qualità fantastica è la splendida location utilizzata come teatro principale delle riprese, la romana Villa Sciarra, immersa in un parco adesso aperto al pubblico, e purtroppo attualmente abbandonata a sé stessa e con molte parti miseramente crollate, come il meraviglioso loggiato sormontato da statue, presente nel film ma che oggi non c’è più, rimanendo solo una triste e solitaria colonna. Situata ai piedi del Gianicolo, la villa del XVII secolo non ha grosse connotazioni italiche, ponendo così il film in una sorta di altrove geografico che dà a tutta la pellicola un tocco internazionale perché, in effetti, un edificio del genere potrebbe essere collocato ovunque. Considerando che 6 Donne per l’Assassino è una coproduzione tra Italia, Francia e Germania, il tocco internazionale dato da Villa Sciarra direi che calza a pennello. Rimanendo in Germania, pare che Bava abbia attinto, per la sua pellicola, al cinema thriller tedesco, in special modo a quello tratto dai racconti di uno dei maestri della letteratura gialla e poliziesca, lo scrittore Edgar Wallace, annoverato anche tra gli sceneggiatori del mitologico King Kong del 1933. Il sadismo dei delitti viene tuttavia stemperato da una sorta di estetica pop, che rappresenta il tocco d’artista che Bava dà alla sua opera.

Tra gli sceneggiatori del film, oltre a Bava, si segnala Marcello Fondato, che con Mario aveva già lavorato ne I Tre Volti della Paura (1963), collaboratore storico di autori quali Luigi Comencini e Steno, che si prodigherà anche come regista, lasciandoci, tra gli altri, l’epocale …altrimenti ci arrabbiamo! (1974), interpretato dall’iconico duo composto da Bud Spencer e Terence Hill. La bellissima fotografia, uno dei punti di forza del film, evocativa e satura come non mai, magica ed irreale, che tende a rendere ancora più suggestive le location romane, è opera del DoP Ubaldo Terzano, il quale, oltre che con Bava, ha collaborato con nomi del calibro di Elio Petri, Dario Argento e Lucio Fulci. A lui, nel 2010, il regista Gabriele Albanesi dedicherà il suo secondo lungometraggio, l’horror psicologico Ubaldo Terzani Horror Show. L’insistenza sui colori pastello, soprattutto il rosso in tutte le sue sfumature, rende la visione del film a tratti quasi ipnotica, portandoci a sentirci parte di una sorta di quadro, di una pittura surreale, un po’ come avverrà in Profondo Rosso nella parte del Blu Bar, pellicola in cui Terzano, guarda un po’, compare come operatore. Le musiche del film sono opera di Carlo Rustichelli, compositore che ha firmato oltre 400 colonne sonore, tra cui ricordiamo diversi film di Totò, la saga cinematografica di Amici Miei, L’Uomo di Paglia (1958) e Divorzio all’Italiana (1961) di Pietro Germi, La frusta e il corpo (1963) e Operazione Paura (1966) del nostro Mario Bava.

Passando agli interpreti, il cast di 6 Donne per l’Assassino è interessante e variegato dal punto di vista delle nazionalità. La protagonista, la contessa Cristiana, è interpretata dall’attrice ungherese Eva Bartok, ribattezzata all’epoca “la risposta straniera a Sofia Loren”, che approda alla mdp di Bava dopo essere stata diretta da nomi del calibro di Robert Siodmak, Terence Fisher e Renato Polselli; quella nel thriller baviano è la sua ultima interpretazione prima di ritirarsi dalle scene, ancora nemmeno quarantenne. La sua contessa è una donna altera ma non respingente, che ha un cuore che batte per amore, e lo dimostrerà fino alla fine. Personaggio interessante e controverso, dalle molte sfumature, a cui la Bartok dona tutta la sua anima. Al suo fianco, nei panni di Massimo Morlacchi, altro pezzo grosso della casa di moda, troviamo l’attore americano Cameron Mitchell, specializzato in western, peplum e commedie, che fu diretto da Bava in ben tre pellicole: oltre a questa, Gli Invasori (1961) e I Coltelli del Vendicatore (1966). Il suo volto dai tratti molto marcati ed i suoi modi diretti e talvolta aggressivi lo portano ad essere uno dei sospettati ideali per i molteplici delitti. Tra le ragazze dell’atelier ricordiamo la bionda Peggy, interpretata dall’americana Mary Arden, che in Italia lavorò molto con Lucio Fulci e Michele Lupo, ma che ricordiamo diretta anche da Fellini e Lenzi. Marco, facente ancora parte del personale dell’atelier, è interpretato dall’attore Massimo Righi, anche lui diretto più volte da Bava ne I Tre Volti della Paura (1963) e Terrore nello Spazio (1965), il cosiddetto precursore di Alien. Per la parte tedesca ricordiamo Lea Krüger, berlinese, nel ruolo di un’altra modella, Greta; la Krüger fu poi diretta ancora da Bava nel 1974 in Cani Arrabbiati, ed appare anche in Giulietta degli Spiriti (1965) di Federico Fellini e L’Anticristo (1974) di Alberto De Martino. Nei piccoli ruoli del benzinaio e del maggiordomo ricordiamo i caratteristi italiani Enzo Cerusico e Calisto Calisti, che ritroveremo entrambi in seguito diretti da Dario Argento.

Insomma, tanti nomi interessanti dietro questo film piccolo come budget ma immenso come riuscita, che ancora oggi viene portato per bocca da tutti per essere un vero capostipite, una pietra miliare su cui poi si fonda tutto il genere thriller successivo. Addirittura l’uso magistrale delle luci e dei colori qui fatto dal grande maestro sanremese sembra essere stato di spunto per Dario Argento e Luciano Tovoli nella costruzione della fotografia super ispirata di Suspiria (1977). Tutto è stupefacente, dalla qualità delle immagini alla figura del killer che diverrà poi canonica a causa dell’enorme impatto emotivo che ha sullo spettatore. La scena nella bottega dell’antiquario è magistrale, e l’uso degli specchi distorcenti ha fatto di nuovo pensare che Bava fosse la fonte d’ispirazione principale per Dario Argento, che con gli specchi, si sa, si è divertito non poco, e spesso ha anche lui inserito botteghe di antiquariato nel suo cinema, da L’Uccello dalle piume di Cristallo (1970) a Inferno (1980). E come non ricordare, poi, a proposito di citazioni argentiane, la morte in Profondo Rosso della scrittrice Amanda Righetti nella vasca da bagno, presa pari pari da qui? Insomma, 6 Donne per l’Assassino è un capolavoro visionario dell’estro estetico del genio di Mario Bava, un esempio magistrale dell’uso voluttuoso della suspense, e per questo merita di essere visto e rivisto, per carpirne tutti i dettagli che lo hanno portato ad essere ritenuto il film più seminale del maestro insieme, ovviamente, al capostipite del gotico, La Maschera del Demonio (1960), che consacrerà ad icona horror la divina Barbara Steele, ed a quello dello slasher, il già citato Reazione a Catena. Direi, quindi, che la definizione di “Pioniere dei Generi” calzi a pennello al nostro amato e compianto Mario Bava.
https://www.imdb.com/it/title/tt0058567
Lascia un commento