Alessandro Fornaciari è un giornalista esperto di geopolitica e politica estera, con una lunga esperienza sul campo in scenari di conflitto. Ha seguito da vicino la guerra in Ucraina, raccontando gli eventi con un approccio analitico e imparziale. In questa intervista affrontiamo temi cruciali come il futuro dell’Ucraina, il ruolo degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump, la politica estera italiana e il crescente interesse per la regione artica.


Introduzione e background

Ci racconti come è nata la tua passione per la geopolitica e cosa ti ha spinto a diventare un giornalista specializzato in politica estera?

La mia passione per la geopolitica viene da lontano. Già all’età di 15 anni partecipavo a incontri e conferenze sui temi caldi dell’epoca. Dalla Siria di Assad ai fatti di Maidan, ho capito subito quale fosse la mia strada.

Sei stato inviato in Ucraina cinque volte durante la guerra. Qual è stata l’esperienza più significativa che hai vissuto sul campo? Quali sono gli aspetti del conflitto che credi siano meno compresi dall’opinione pubblica occidentale?

L’esperienza più significativa per me è stata percepire il profondo rispetto e l’ammirazione degli ucraini. Per loro, vedere un volto esterno disposto a raccontare la loro storia, anche mettendo a rischio la propria vita, è stato qualcosa di incredibilmente significativo. Questo mi ha toccato profondamente e mi ha fatto comprendere quanto sia importante dare voce a chi vive quotidianamente la tragedia della guerra.

Per quanto riguarda l’opinione pubblica occidentale, credo che troppo spesso tenda a polarizzarsi, dimenticando una realtà fondamentale: migliaia di persone stanno perdendo la vita per le decisioni di pochi. Questa prospettiva umana, il prezzo altissimo pagato da civili innocenti, rischia di perdersi nei dibattiti politici e nelle narrazioni superficiali. È un aspetto che va compreso più a fondo.


Geopolitica e conflitti internazionali

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ha promesso di porre fine alla guerra in Ucraina in tempi brevi. Alla luce delle sue dichiarazioni passate e delle attuali dinamiche geopolitiche, quali strategie pensi potrebbe adottare per raggiungere questo obiettivo?

Credo che per raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi Trump potrebbe fare pressione su Kiev affinché accetti alcune concessioni, pur cercando di evitare che queste si traducano in una sconfitta roboante sul piano strategico e politico. La chiave per Kiev, in questo senso, potrebbe risiedere nel mantenere una presenza significativa nella regione di Kursk, che rappresenterebbe una garanzia di equilibrio territoriale e una leva strategica nei negoziati con Mosca. Allo stesso tempo, Trump, per preservare la sua immagine di negoziatore efficace e risolutivo, cercherà di accelerare i tempi delle trattative.

Recentemente, Trump ha proposto di trasferire un gran numero di palestinesi dalla Striscia di Gaza a paesi vicini come Egitto e Giordania, suscitando ampie critiche e accuse di voler attuare una pulizia etnica. Quali potrebbero essere le implicazioni di una tale proposta per la stabilità del Medio Oriente?

Credo sia solo la classica “sparata” di Trump, nessuna pulizia etnica o simile. È chiaro che ci sarà un flusso migratorio esponenziale verso aree limitrofe da parte dei palestinesi, visto che la stragrande maggioranza degli edifici a Gaza è andata distrutta. Ma non si tratterà di una deportazione a causa di ingerenze estere.

La sospensione da parte dell’amministrazione Trump degli aiuti internazionali, che potrebbe influenzare regioni come Gaza, Ucraina e Sudan, ha sollevato preoccupazioni globali. Quali conseguenze prevedi per queste aree in termini di assistenza umanitaria e stabilità politica?

Non sono mai stato un fan dell’assistenzialismo, in nessuna forma. Fornire sussidi a una nazione spesso equivale a un tentativo di ripulirsi la coscienza, ma non risolve i problemi alla radice. Credo che la priorità dovrebbe essere fornire a queste nazioni le modalità e gli strumenti per costruire un sistema economico forte e autosufficiente, piuttosto che perpetuare una dipendenza dagli aiuti.

Il discorso, però, cambia quando si parla di aiuti militari, come nel caso dell’Ucraina. In situazioni di conflitto, tali supporti possono essere decisivi per garantire la difesa e la sovranità di uno Stato. In questo caso, la sospensione potrebbe avere conseguenze gravissime non solo sul campo di battaglia, ma anche sulla stabilità politica della regione, compromettendo gli equilibri internazionali.

Con Trump nuovamente presidente, come valuti il ruolo degli Stati Uniti nel conflitto israelo-palestinese? Pensi che la sua amministrazione adotterà un approccio diverso rispetto al passato?

Con Trump alla Casa Bianca, il suo obiettivo principale sarà dimostrare al mondo di essere un mediatore capace di portare la pace in una delle aree più conflittuali del pianeta. Questo potrebbe tradursi in iniziative diplomatiche mirate a raggiungere accordi simbolici che rafforzino la sua immagine internazionale.

Tuttavia, è improbabile che il suo sostegno a Israele venga ridimensionato. Continuerà a rafforzare il suo alleato storico, consolidando le politiche che favoriscono Tel Aviv.


Media, informazione e prospettive future

Hai fondato la pagina WorldwideNews, che si occupa di geopolitica. Qual è il tuo obiettivo con questo progetto e come credi che il giornalismo digitale stia cambiando il modo in cui le persone si informano su questi temi?

Con WorldwideNews il mio obiettivo è fornire informazioni che non siano influenzate dalle fazioni o dagli schieramenti che spesso dominano il dibattito geopolitico. Credo che per raggiungere questo sia fondamentale saper distinguere la verità dalle bugie, un compito che, purtroppo, non tutti sono in grado di portare a termine con rigore.

Quali sono, secondo te, i temi geopolitici emergenti su cui dovremmo concentrarci nei prossimi anni?

Il tema del futuro sarà il Circolo Polare Artico. Con il cambiamento climatico che apre progressivamente le rotte artiche, questa regione diventerà un punto strategico cruciale per il commercio globale e per l’accesso alle risorse naturali. Si stima che nel sottosuolo artico sia presente circa il 20% delle riserve mondiali di petrolio, oltre ad altre risorse minerarie fondamentali.

In questo scenario, il confronto sarà dominato da Stati Uniti, Russia e Cina, che già da ora stanno cercando di rafforzare la loro presenza e influenza nella regione.

https://www.instagram.com/fornaciari.press


Una risposta a “Alessandro Fornaciari: L’Artico, la guerra e il futuro della geopolitica”

  1. Avatar Alessandro
    Alessandro

    Ottima intervista, è stato un piacere

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