L’atteso ritorno sul grande schermo dell’estroso ed esperto attore-regista milanese Maurizio Nichetti con il road movie Amichemai, a oltre ventitré anni di distanza dall’uscita nelle sale della bizzarra commedia fantastica Honolulu baby, rivelatasi un fiasco al botteghino a dispetto dell’indubbia destrezza espressiva esibita nel sottrarre la scoperta dell’alterità insita nella tematica del viaggio dalle secche dell’enfasi di maniera, tenta di raggiungere l’idonea via d’intesa tra la leggerezza degli affreschi comici e l’avvedutezza dei film d’impegno civile.

La chiave di volta, per riuscire ad appaiare appieno il carattere d’autenticità al carattere d’ingegno creativo, consiste nel trarre linfa dal metacinema. Per mostrare cosa succede dietro le quinte, sulla falsariga di capolavori come Il bruto e la bella di Vincent Minnelli ed Effetto notte di François Truffaut, in alcuni briosi interludi.

L’intrinseco scopo congiunto al racconto dalla duplice valenza risiede nel cementare la capacità di adattamento ai nuovi diktat tecnici del sempreverde Nichetti, che nel ruolo di sé stesso sopperisce ai colpi persi nel frattempo sul versante recitativo, sostituendo i proverbiali frizzi e i lazzi d’inizio carriera con il piacere conviviale sul set. Condividendo insieme alle varie maestranze l’ampio margine d’imprevisti rispetto ai piani stabiliti in partenza. Che rendono l’altalena degli stati d’animo dovuta agli ostacoli da aggirare avventurosa ed ergo degna di nota tanto quanto l’effettiva trama. Basata, nella stesura dapprincipio su due piedi del soggetto, sulla diffidenza alimentata all’interno dei consorzi domestici dello Stivale ai danni delle badanti che accompagnano i vetusti capofamiglia, ormai annebbiati nella mente e pieni d’acciacchi fisici d’ogni sorta, al tassativo crepuscolo. Con il sospetto di averne carpito la fiducia in previsione della lettura del testamento. Lo sviluppo narrativo concepito dall’ampia sceneggiatura di ferro travalica lo scoglio dei luoghi comuni per provare a conferire ai luoghi riflessivi incontrati nel tragitto per ricondurre la badante di turno alla terra natìa la dote di riflettere lo stream of consciousness relativo al passaggio dalla diffidenza alla fiducia reciproca dei personaggi principali. Il passaggio viceversa dalla telecamera applicata in asse con la macchina da presa per potersi dirigere in veste d’interprete surreale e cartoonesco, sull’esempio del compianto Jerry Lewis, alla miriade di telefoni cellulari con il display della scena inquadrata a disposizione dell’intera troupe ispira al redivivo artista l’opportuno ricorso allo split screen. Sia per accrescere ulteriormente i confini tra immagine e immaginazione sia per riservare sottobanco una puntura di spillo alle influencer intenzionate a seguirlo step by step sino al ciak conclusivo e a tenere così sempre desta l’attenzione dei follower.

Dopo la premessa in merito alla tabella di marcia, stabilita al termine del party di buon augurio da cui l’autore incanutito ma sempre autoironico rifugge sulla scorta delle risapute gag visive e verbali, il quadro bucolico della fattoria dell’Alta Italia dove l’operosa veterinaria Anna assiste la vacca al parto dell’ennesimo vitello coglie nel segno. In virtù dell’aura fiabesca, dei disinibiti carrelli da sinistra a destra, delle azzeccate correzioni di fuoco. Che riverberano l’utopico bisogno di vederci chiaro nelle ermetiche operazioni finanziarie dell’anziano genitore assistito dall’intraprendente collaboratrice domestica d’origine turca Aysè. Coniugata l’esistenza agli sgoccioli all’imperfetto con i giusti lasciti, compreso il misterioso baldacchino del letto in cui il morituro sembra aver beneficiato ex ante d’un risveglio di primavera, l’escursione lungo i Balcani per consentire alla pur maldigesta subalterna di riabbracciare i propri cari in Turchia, preservando il prezioso regalo ricevuto in cambio della gradita devozione, dovrebbe trascinare gli spettatori in un altrove carico di significato. Invece l’interessante connubio della geografia emozionale col valore terapeutico dell’umorismo, che almeno sulla carta consente ai vincoli di sangue e di suolo d’inserire nel magico realismo la forza significante delle buffonerie sentimentali, legate in questo caso al diverso senso d’appartenenza, unito step by step dalle peripezie superate in tandem, cede spazio alla prova del nove agli stilemi delle trite e ritrite pellicole al femminile. Con il richiamo citazionistico al cult movie del genere saccheggiato senza arguzia Thelma & Louise sugli scudi. Il diario di bordo delle svenevoli youtuber giunge quindi a proposito, cementando l’egemonia dell’esplicita dichiarazione d’amore nei confronti della fabbrica dei sogni nonostante le difficoltà logistiche incontrate strada facendo per condurre in porto l’operazione sulla sospensione dell’incredulità viziata dalle idee attinte all’altrui acume. Le aspettative concernenti la possibilità d’un colpo di coda avvezzo a convertire la località bulgara in cui il fedifrago marito di Anna ha trovato riparo dai doveri coniugale ad attante narrativo, zeppo di risvolti ed echi davvero fuori degli schemi, vanno in tal modo a carte quarantotto.

Restano all’attivo i cortocircuiti faceti ed elegiaci connessi agli indovinati slow motion dei tutori dell’ordine ipnotizzati dalla sorprendente Aysè. Svelta in seguito a corrompere la seconda coppia di gendarmi con la classica bustarella. Il mosaico di situazioni dentro e fuori l’apologo sulla complicità muliebre maturata palmo a palmo procede quindi per accumulo. Aggiungendo poesia alla poesia. L’infertile caduta perciò nel mero poeticismo, confermato dall’affinità elettiva in zona Cesarini delle nemiche divenute amiche, spinge gli spettatori avvertiti a rimpiangere il mix di stoccate esilaranti ed eloquenti silenzi ad appannaggio del buon Nichetti nello scorso millennio. Sembra trascorsa un’eternità a dirla schietta da quei guizzi farseschi ed empatici che oggi lasciano la ribalta a battute assai meno calzanti e alla vana polemica sugli inesistenti meriti delle discutibili star del web. Ree di tralignare l’antico traguardo che concilia cuore e cervello, realtà e finzione, astrazione e concretezza nelle merci da consumare in fretta e furia. Alla stregua dei fast food. La prova di Angela Finocchiaro, che aderisce alle prevenzioni e agli slanci di Anna con il medesimo slancio profuso per dare anima e corpo all’arguta escort di Volere volare diretta da un Nichetti allora costantemente sul pezzo, rimane tutta da gustare. La performance della pur brava Serra Yılmaz negli scontati panni di Aysè appare al contrario assai più scolastica. Ma è l’implicito appello alla Cultura che consente ai clown malincomici di trasformarsi in munifici alfieri della bontà di cuore, in antitesi al fiele dell’indifferenza, ad avviluppare Amichemai nell’impasse dell’infausta scontatezza. Esacerbata dal rischio di provocare persino qualche deleterio sbadiglio. Formuliamo l’augurio di un pronto riscatto per l’artefice di Volere volare e Honolulu baby. Nella speranza di non dover attendere altri ventitré anni per reggerci la pancia per le sincere risate strappate da un franco tiratore della Settima Arte. Attualmente, ahinoi, con le polveri bagnate.


Una risposta a “Amichemai: il ritorno di Nichetti all’insegna del metacinema”

  1. Avatar Anna Pastore
    Anna Pastore

    Sempre bravo

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