Andrea Guglielmino, giornalista, scrittore, sceneggiatore e saggista, è una figura poliedrica nel panorama culturale italiano. Con un curriculum che spazia dalla radio al giornalismo, dai saggi ai fumetti, Andrea rappresenta un esempio di creatività inesauribile. In questa intervista, ci racconta i momenti chiave della sua carriera, il suo lavoro su “Samuel Stern” e “I Primi Cento”, e ci offre uno sguardo sul futuro.
Andrea, sei una figura poliedrica con un curriculum impressionante che spazia dal giornalismo al fumetto, dalla radio all’insegnamento. Quali sono stati i momenti chiave che hanno definito il tuo percorso professionale?
Grazie. A onor del vero va detto che ho fatto tutte queste cose in vari momenti della mia vita e non tutte insieme. Tuttavia sono certamente una persona che ama sperimentare, darsi da fare e cogliere ogni occasione che il percorso mi offre per esprimermi. Una cosa tira l’altra. Con il fumetto credo però di essere approdato alla mia vera vocazione e passione. Ho studiato infatti alla Scuola Romana dei Fumetti quando ero ragazzo, pensando di fare il disegnatore. Poi ho capito che le storie preferivo scriverle! Sono stati in questo senso fondamentali l’incontro con Paolo Di Orazio e la rivista a fumetti ‘Splatter’ (per cui scrivevo soltanto editoriali) e successivamente con Gianmarco Fumasoli e Bugs Comics, con cui ho esordito su ‘Mostri’, per poi approdare all’edicola – coronamento del mio sogno – e ‘Samuel Stern’. Per il resto della mia attività ovviamente non posso non citare ‘CinecittàNews’ per cui lavoro tutti i giorni come giornalista cinematografico e gli anni passati in radio con Roberto Sciarrone a RadioKaos Italy con la trasmissione ‘Avanti Tutta!’.
Come si intrecciano le tue esperienze di scrittore, giornalista e sceneggiatore nei tuoi progetti creativi?
È un flusso continuo. La scrittura è uno stile di vita. Dico sempre che per me perfino un appuntamento esiste se è scritto da qualche parte. Un’agenda, un cellulare… altrimenti è solo un vago ‘vediamo poi’. Devo fare la spesa? Scrivo una lista? Devo ricordarmi qualcosa? Scrivo un appunto. Vedo che molte persone invece non scrivono nulla e pensano di ricordare tutto… quasi mai è vero. Certamente vivono in maniera più leggera di me… forse sono un po’ ossessionato dall’idea di perdere quello che mi passa per la testa. Per cui la mia vita si è sempre basata su questo. Anche disegnare è lasciare un segno. Ho scritto di tutto. Canzoni, articoli di giornale, battute satiriche… mi sveglio la mattina e inizio a scrivere come il leone e la gazzella in Africa iniziano a correre. A volte restano appunti senza diventare altro. Altre volte si trasformano in storie, saggi, racconti e quant’altro. E sono un grande ottimizzatore di tempi morti. Non arrivo mai in anticipo né in ritardo, come gli stregoni ne Il signore degli Anelli. Arrivo sempre al momento giusto perché fino all’ultimo momento utile sto scrivendo qualcosa che per me è importante. Guardo pochissime serie tv, non gioco mai ai videogames, ho tagliato fuori tutte le attività ricreative che richiedano più di due ore di tempo. Quel tempo preferisco impiegarlo nella gestione di qualcosa di mio. Esco pochissimo, e dopo una proiezione stampa o un’intervista saluto tutti e me ne torno a lavorare. Ogni giorno cerco di portare avanti anche di poco tutti i progetti più impellenti. Alcune volte è dura, ma la costanza conta più della quantità. Prima o poi, so che ci metterò un punto.
Essendo di Roma e avendo lavorato in vari ambiti del panorama culturale della città, in che modo la capitale ha influenzato il tuo lavoro?
Non particolarmente, devo dire. Sono come Salgari… sogno altri mondi, pur restando radicato alla mia città. O come i grandi antropologi da tavolino che in realtà viaggiavano pochissimo. Beh, qualche viaggio di lavoro lo faccio, ogni tanto. Ma non racconto storie tipicamente romane. Una volta, però, l’ho fatto, ed è nel mio recente fumetto Garibaldi: Risorgimento, che cita da vicino i film e i fumetti de Il Corvo. In questa storia l’eroe dei due mondi risorge e da Caprera viene a vendicare un torto che si è svolto nel mio quartiere, l’Appio Tuscolano. E ho scelto di farlo perché, esattamente come James O’Barr ambienta Il Corvo a Detroit, conoscendo ogni vicolo e ogni altura su cui si arrampica Eric Draven, io volevo che fosse così anche per il mio Garibaldi. Solo che invece dei grattacieli noi abbiamo le rovine dell’Acquedotto romano. Ecco, in quel caso, Roma, o una sua parte, diventa protagonista della storia.
“Samuel Stern” e il Nuovo Fumetto
Il 31 dicembre uscirà il tuo nuovo fumetto legato a “Samuel Stern”. Puoi darci qualche anticipazione sulla trama e sui temi che hai voluto affrontare?
‘Samuel Stern’ è ormai una testata affermata, un piccolo miracolo editoriale nato da Bugs Comics in un momento storico in cui nessuno tentava l’avventura in edicola, lasciando il campo solo ai grossi nomi come Disney e Bonelli. Non ho creato il personaggio, che è un demonologo ed esorcista di Edimburgo, ma sono comunque tra gli sceneggiatori più prolifici della serie. Il mio dittico su ‘Il secondo girone’, un bordello freak nascosto ai margini della città, è molto amato dai lettori perché ne esce un’umanità decadente e poetica. Stavolta però ho scritto su soggetto dei curatori della serie, Gianmarco Fumasoli e Marco Savegnago, cercando di guglielminizzare il tutto con citazioni personali e trovando il mio ritmo narrativo, puntando tutto sullo stile. Samuel deve infiltrarsi nel carcere di Saughton per liberare dalla possessione demoniaca un prigioniero, mentre Satana, che ha preso un corpo umano, trama dall’esterno. Dio mio ci ho aggiunto una parte da dramma carcerario, un po’ alla Sorvegliato Speciale, o Le ali della libertà… l’horror e la possessione demoniaca sono sempre un tramite per raccontare gli esseri umani.
Come si inserisce questa nuova storia all’interno dell’universo narrativo di “Samuel Stern”?
L’albo si chiama ‘Ancora uno’ ed è il numero 62, parte del ciclo che abbiamo chiamato del ‘post-Apocalisse’. I disegni sono di Sara Ophelia Scalia. Dopo 12 numeri in stretta continuità, ricchi di simbolismi e molto complessi da seguire, stiamo gradualmente tornando, anche su richiesta dei nostri lettori, a una narrazione più semplice, dove le trame verticali prevalgano su quella orizzontale. Nessuno nega che sia un momento difficile per gli albi da edicola… dato soprattutto che le edicole stanno sparendo. Per sopravvivere siamo passati da una foliazione a 96 pagine a una a 64… decisamente più snella, ma devo dire che narrativamente parlando la preferisco. Mi piace la sintesi e scrivere con questo formato è stato molto stimolante, perché devi concentrarti su poche scene e renderle veramente efficaci. Abbiamo bisogno del massimo sostegno da parte dei nostri lettori, quindi chiedo a tutti di comprare l’albo e, se piace, di parlarne il più possibile in giro. Il passaparola è fondamentale!
Quali sono le sfide più grandi nello scrivere per una serie come questa, e cosa rende “Samuel Stern” un progetto unico nel panorama dei fumetti italiani?
In parte ho già risposto. Bugs Comics ha avuto il coraggio, grazie alla testardaggine di Fumasoli, di arrivare dove tutti dicevano che non si poteva, dimostrando che dietro a un buon progetto c’è spazio in edicola anche per realtà che nascono veramente solo dalla passione e dall’impegno di chi partecipa. Per questo i lettori ci hanno voluto bene, ma tutti questi cambiamenti li hanno in parte destabilizzati. Puntiamo a ritrovare con loro un dialogo diretto, con storie iconiche, memorabili e comprensibili indipendentemente l’una dall’altra. In questo caso, la sfida è stata proprio gestire l’equilibrio tra narrazione orizzontale e narrazione verticale e rendere mia una storia inserita in un contesto più ampio e creata da altre persone. Tuttavia penso di esserci riuscito, e per premiarmi, ho dato le mie fattezze a un personaggio della serie che secondo me dovrebbe tornare costantemente: Andy, il barbiere di Samuel. Visto anche che la barba e i capelli rossi sono un tratto fondamentale del personaggio.
“I Primi Cento” e il Processo Creativo
Il fumetto “I Primi Cento” ha ricevuto grande attenzione. Cosa ti ha ispirato a creare questa storia e quale messaggio speravi di trasmettere?
È una storia che avevo dentro da tempo, e ovviamente l’avevo pensata per Dylan Dog. Negli ultimi anni il personaggio ha avuto un rapporto in parte problematico e burrascoso con i suoi lettori. Il problema principale stava nella difficoltà di una parte di fandom ad accettare i tempi che cambiano e le novità. “Erano meglio i primi cento” è stato per anni un tormentone nella comunità dylaniata, intendendo i primi cento numeri della testata, curati dal creatore Tiziano Sclavi. Poi molti altri curatori si sono avvicendati cercando di portare ciascuno la propria visione, come è giusto che sia, ultima la bravissima Barbara Baraldi che è riuscita in parte a risanare questo iato. Dato che anche io sono uno di quei lettori, mi sono chiesto spesso se fossero davvero migliori questi primi cento numeri – che poi sono un luogo dell’anima che ci ricorda quando eravamo giovani, spensierati e più ingenui – o se appunto fossimo noi ad essere cambiato. Magari siamo cambiati sia noi che Dylan Dog. Ho provato a proporre la storia al curatore precedente, Roberto Recchioni, ma il momento era sbagliato, perché appunto stava terminando l’incarico. Io però avevo troppa urgenza di raccontarla ed ero sicuro che sarei stato capito anche se avessi sostituito Dylan Dog con un altro personaggio che ne fa le veci. D’altro canto in America si fa spesso. Ricordate Watchmen, dove si usavano degli alias per parlare di Batman, Superman e affini? O se vogliamo, al cinema, Birdman. Così ho creato, insieme al mio co-autore Marco Scali e al disegnatore Luciano Costarelli, un alias, Damien Donovan, che fa in tutto e per tutto le veci dell’Indagatore dell’Incubo. È biondo e somiglia a James Spader, mentre Dylan è moro e sembra Rupert Everett. Lavora a New York e non a Londra. Ha un assistente che somiglia a Roberto Benigni e non a Groucho Marx… ma non importa, perché tanto il protagonista della storia non è lui. Sono i suoi fan. E quindi siamo noi lettori, ognuno con le sue problematicità, ognuno con un motivo umanissimo per gridare di essere stato tradito da Damien Donovan, e accusarlo di essere cambiato. Non solo. Con questo espediente posso fare molto di più. Posso insinuare il dubbio – cosa che con Dylan Dog non mi sarebbe stato possibile – che i fan abbiano le loro ragioni. D’altro canto anche un personaggio dei fumetti è umano, ha diritto ai suoi difetti e alle sue debolezze… e anche a cambiare.
Quando affronti un nuovo progetto di sceneggiatura, da dove parti?
Le idee non mi mancano di certo. Anzi, ne ho troppe per il tempo e le risorse di cui dispongo. Ma ho imparato presto ad essere selettivo… sviluppo un’idea solo se è veramente originale e se ha le potenzialità per colpire immediatamente la sua fascia di pubblico. Ho pubblicato un fumetto che si chiama Garibaldi Vs. Zombies, con emmetre edizioni. Un High Concept: tutti sanno chi sia Garibaldi e tutti conoscono gli zombi. E infatti è stato un caso editoriale. Ho pubblicato un saggio chiamato ‘L’era dei bonellidi’, sempre con Bugs Comics, scritto con Francesco Fasiolo, perché non c’era nessun saggio organico che parlasse di tutti i fumetti usciti in Italia sull’onda del successo di Dylan Dog. Sui Bonelli, tanti, ma sui ‘Bonellidi’, nessuno. Se vuoi leggere queste cose, devi per forza venire da me. E lo stesso vale per ‘I Primi Cento’, che è tutt’altro che un plagio di Dylan Dog. Anzi, è un omaggio affettuoso, ma al contempo qualcosa che forse in Bonelli non avrebbero comunque scelto di fare. Che interesse avrebbero a mettere Dylan Dog contro i propri fan? Io l’ho potuto fare proprio perché non si trattava di Dylan, e se vuoi leggere un fumetto che teorizzi tutto questo, c’è solo il mio. I lettori appassionati come me mi hanno capito al volo.
Qual è il tuo metodo per sviluppare personaggi e trame?
C’è un metodo codificato per i fumettisti. Prima si sviluppa un soggetto di circa una paginetta, con inizio, sviluppo e finale della storia. Non importa quanto sia lunga la storia in sé, il soggetto deve durare una pagina e definire tutti i punti essenziali. Poi si parte con un trattamento, che estende il tutto, aggiungendo dialoghi, motivazioni dei personaggi e anche elementi che non necessariamente poi finiranno nella trama, ma sono di aiuto per lo sceneggiatore. Infine si passa alla sceneggiatura vera e propria, tavola per tavola, vignetta per vignetta. Io sono uno sceneggiatore che concede molto spazio al disegnatore. Non do mai indicazioni troppo restrittive sulle inquadrature, ad esempio, a meno che non sia veramente importante ai fini della narrazione. Mi concentro sul ritmo, sulla pulizia dei dialoghi, se ci stanno bene inserisco delle citazioni, ma non le forzo mai. A volte può essere frustrante incagliarsi su qualche passaggio, ma seguendo questo metodo, la parte più difficile è sempre la prima, quando arrivi alla sceneggiatura sai già più o meno come si svolgeranno tutti i passaggi. Altre volte, specie per le storie più action, preferisco lavorare all’americana. Do al disegnatore una descrizione di massima di quello che succede in ogni tavola e lo lascio fare, confrontandomi con lui (o lei) molto spesso grazie anche alla tecnologia che ci permette una messaggistica facile. I dialoghi li inserisco solo dopo, seguendo anche il disegno, e facendo letteralmente recitare i personaggi. A raccontarlo sembra assurdo ma vi assicuro che funziona.
Ruoli Multipli e Prospettive
Come riesci a bilanciare i tuoi molteplici ruoli di giornalista, sceneggiatore, docente e speaker?
Facendo una cosa per volta. Nella vita puoi fare tutto, ma non tutto insieme. Attualmente non sto insegnando e non faccio radio se non raramente, come ospite. Ci sono delle priorità. I fumetti sono la mia passione e il mio obiettivo ultimo. Il giornalismo è il lavoro che svolgo ormai con altrettanta passione da tanti anni ed è quello che a oggi costituisce la mia principale fonte di sostentamento. E prima ancora di entrambi ci sono la famiglia e mia figlia. Poi si va a cascata, e si prende tutto quello che viene, sempre con umiltà e gratitudine.
Andrea Guglielmino premiato all’Ostia Film Festival Italiano
C’è un aspetto del tuo lavoro che senti più vicino alla tua natura?
Penso di averti già risposto, ma nel caso non si fosse capito, mi sento un fumettista nato. Anzi, ci tengo a specificarlo, uno scrittore di fumetti.
Qual è il contributo che, secondo te, il giornalismo cinematografico offre al pubblico moderno in un’era di contenuti digitali e social media?
È una bellissima domanda. Ogni volta che scrivo un pezzo o un post, mi chiedo perché qualcuno dovrebbe trovarlo interessante. Trovo che la critica, ad esempio, si sia piegata troppo sull’opinionismo personale o sulle classiche recensioni “strutturaliste” – passami il termine – dove si parla solo di regia, fotografia, inquadrature e aspetti formali. Quando faccio informazione è facile. C’è una notizia da dare, e le regole sono quelle. Segui le cinque W e non sbagli. Ma se devo parlare di un film, io non penso che alla gente interessi la mia opinione a riguardo. Per cui le strade che uso sono due: o li faccio ridere (l’ironia è una mia arma comune) oppure gli racconto qualcosa che non sanno. In questo senso i miei studi di antropologia tornano spesso utili, perché mi permettono di collegare – come recita una vecchia battuta accademica – l’orchidea con l’aragosta. Qualche amico mi prende bonariamente in giro per i miei “post fiume” pieni di divagazioni sui social, perché dicono che non bisognerebbe mai scrivere cose troppo lunghe, che sono il regno della comunicazione veloce. Eppure, hanno il loro seguito. Evidentemente c’è un interesse, così come per i miei saggi di antropologia del cinema. Poi se c’è da fare la battuta fulminante, so fare anche quella. Non mi pongo limiti. Il mio profilo facebook è l’ennesimo strumento che ho per esprimermi.
Collaborazioni e Esperienze Passate
Hai collaborato con diverse case editrici e piattaforme nel corso della tua carriera. Quali di queste esperienze ti hanno maggiormente arricchito?
Ne ho citate già diverse, per cui voglio approfondire l’esperienza con Emmetre Edizioni, con cui abbiamo lanciato l’universo del Rishorrorgimento, partito appunto con Garibaldi Vs. Zombies e proseguito con Garibaldi Vs. Mickey, Garibaldi: Risorgimento e ora Garibaldi Vs. Frankenstein, che esce proprio in questi giorni. Emmetre è un editore piccolo ma agguerrito che lavora molto online, con i crowdfunding e le campagne social. Ho scoperto l’esistenza di gruppi neo-borbonici che non amano Garibaldi e che ci hanno attaccati senza leggere il fumetto (che, sia chiaro, è solo un fumetto d’avventura che usa Garibaldi come iconica, una specie di supereroe), ma Chiara Mognetti, fondatrice di Emmetre, ha presto convertito le critiche in pubblicità gratuita. Questo mi ha insegnato che la crisi è un’opportunità. Oggi i nostri lavori, che inizialmente erano distribuiti solo in via indipendente, vanno ufficialmente in fumetteria, su Amazon, e sono richiesti nei musei di Storia, partecipando anche a mostre importanti. Certamente un tassello fondamentale della mia carriera.
Vendicazzari Uniti, Elm Street House, CinecittàNews e molte altre realtà hanno fatto parte del tuo percorso. Ci sono episodi o aneddoti particolari che ti piace ricordare?
Grazie per aver citato i Vendicazzari Uniti!!!, un’esperienza nata per gioco, per puro e semplice “cazzeggio”, come recita il nome, sparando battute con i colleghi della critica che meno si prendevano sul serio… e con i quali onestamente mi sono sempre trovato meglio. Dato che avevo già un’attività di vignettista e sapevo usare photoshop, ne è nata una serie di vignette basate su giochi di parole e calembour che scatenavano la risata immediata facendo il giro della rete. Successivamente abbiamo messo su un sito… un grandissimo successo che mi ha insegnato la pianificazione editoriale e il rapporto con il pubblico, anche perché era un progetto aperto. Tutti potevano proporre la “vendicazzata del giorno” – Il nome viene da “Vendicatori”, come erano chiamati in Italia gli Avengers – ed entrare a far parte del gruppo. Con l’arrivo del Covid e l’insorgere di tutti i miei altri impegni, questo progetto, che era assolutamente no-profit, ho dovuto metterlo da parte. Ho provato a rilanciarlo usando l’Intelligenza Artificiale, ma ci sono ancora troppi punti oscuri e troppe limitazioni circa questa tecnologia. Non escludo comunque che possano tornare in futuro.
L’Insegnamento e il Rapporto con i Giovani
Come docente presso la LUISS, che ruolo credi abbiano le nuove generazioni nella narrazione di cinema e fumetti?
Ho avuto un paio d’anni d’esperienza di insegnamento, ed è stata un’esperienza bellissima e formativa anche per me. Penso di aver imparato tanto dai miei studenti, almeno quanto loro hanno imparato da me. Io sono uno che ama condividere, non mi tengo i “segreti del mestiere”, insomma. Inutile dire che ritengo importantissimo il ricambio generazionale, soprattutto serve formare giovani attenti e non passivi, soprattutto circa il cinema che sempre di più, nelle sue incarnazioni più pop, tende a svilupparsi sempre sulle stesse coordinate sicure, si vedano tutti i cinecomic uno uguale all’altro che hanno saturato il mercato negli scorsi anni. Il fumetto è un mondo infinitamente più piccolo, ma proprio per questo ancora più libero e potente. I giovani potrebbero usarlo facilmente per esprimersi e farsi le ossa. Bisogna offrir loro spunti di qualità.
Quali consigli daresti a un giovane che sogna di intraprendere una carriera nel tuo settore?
Il giornalismo per il cinema è un settore molto difficile in questo momento, forse consiglierei proprio di non intraprenderla, visto quanto è difficile essere pagati! Io sono stato tra gli ultimi fortunati ad avere un contratto, ma oggi si lavora solo in cambio dell’accredito per il festival o dell’invito per la proiezione stampa, non a caso sono tutte organizzate fuori dalla fascia oraria lavorativa… quasi fosse scontato che bisogna avere un secondo lavoro! Sui fumetti: la buona notizia è che realizzare fumetti costa relativamente poco. Matita, carta, inchiostro (o tavoletta grafica) e soprattutto la manodopera. Ma è nulla rispetto, ad esempio, a realizzare un film. Quindi chiedetevi: quanti fumetti comprate in un mese? Quanti sono realmente necessari? Tagliate i non necessari e investite i soldi risparmiati in un fumetto vostro. Se sceneggiate, potete pagarci un buon disegnatore. Se disegnate, potete pagarci uno sceneggiatore. Se disegnate e sceneggiate, meglio per voi. Li terrete da parte per il marketing. Così si inizia. Cinque pagine, intanto. Poi si vede. Magari in corsa trovate qualcuno che vuole pubblicarvi o finanziarvi. Ma fatevi imprenditori di voi stessi. Se non credete voi nel vostro fumetto, nessun altro lo farà.
Sguardo al Futuro
Hai già qualche progetto futuro in cantiere, magari un altro fumetto o un libro?
Uno solo? Ne ho sempre tantissimi. Per il prossimo anno sono previste già le uscite di ‘Garibaldi: Risorgimento Volume 2’ e ‘Dioverso’, scritto con Emiliano Pagani, già autore di Don Zauker, una storia irriverente e iconoclasta che rende le imprecazioni più comuni e iconiche dei personaggi in carne ed ossa, in una storia di multiverso totalmente fuori di testa. Entrambi usciranno per Emmetre. Più avanti, un saggio sulla saga di ‘Predator’, scritto a quattro mani con Gianmarco Bonelli e Guglielmo Favilla, per Weird Book, lo stesso editore de ‘I Primi Cento’. E ti sto parlando solo di quelli che hanno un editore e una pubblicazione certa. Ma nella mia testa le idee … stanno ballando A, E, I, O, U, Y! In vista del Capodanno.
Cosa sogni di realizzare nei prossimi anni che non hai ancora avuto occasione di fare?
Bella domanda… chissà, magari, prima o poi, realizzare un Dylan Dog vero e proprio. Banale, vero? Tutti i fumettisti vogliono farlo. Eppure ho degli amici che ci sono riusciti. Dopotutto non sono malaccio come fumettista, potrei anche farcela, chissà.
C’è qualcosa che non ti è mai stato chiesto in un’intervista e che ti piacerebbe condividere con i lettori di Mondospettacolo?
È stata un’intervista veramente completa, ma a questo punto facciamo 31 – mentre scrivo è il 30 gennaio e l’anno sta per finire – e lasciami raccontare del mio lavoro di saggista. Come ti dicevo, uso un approccio antropologico, perché sono laureato in Filosofia con indirizzo in antropologia culturale e storia delle religioni. Non mi considero un antropologo professionista, ci mancherebbe, ma proprio per quello che ti dicevo prima… se devo parlare di cinema, che sia qualcosa di mai fatto prima. Ho scritto tre libri: ‘Antropocinema’, ‘Star Wars – Il mito dai mille volti’ e ‘Terminator: il tempo è una macchina’, tutti per Golem Libri. Il punto centrale è il mito, che, come diceva lo storico delle religioni Angelo Brelich, cambia per adattarsi alla società che deve fondare… e se noi analizziamo i cambiamenti del mito, capiamo qualcosa anche della società che lo produce. Vi faccio un esempio: l’uso della Forza in Star Wars. Negli anni ’70 era una voce lontana, proveniente da un altro mondo: “usa la Forza, Luke!”. Certo, era l’epoca del telefono. Nella trilogia Disney Rey e Kylo si parlano attraverso la Forza a galassie di distanza… e si vedono. Tanto che lei nota che lui è a petto nudo, e gli chiede di coprirsi, perché la cosa la imbarazza. Proprio come due giovani che chiacchierano su Skype o su Streamyard! E nell’ultimo capitolo, con la Forza si possono addirittura teletrasportare gli oggetti… un servizio di pronta consegna che ci ricorda Amazon! Le storie cambiano a seconda di come cambia chi è pronto a riceverle.
Un messaggio finale per chi ti segue e per chi è appassionato di cinema, fumetti e narrazione.
Pensate sempre con la vostra testa, possibilmente in maniera laterale, non appoggiatevi sui soliti modi di dire: “Migliore di sempre”, “hype”, “cosa cazzo ho appena visto”, “tanta roba!”. Non sono vietati, ma inventatene di vostri. Createvi un vostro stile. Fate quello che nessuno ha avuto il coraggio o l’intelligenza di fare. È l’unico modo per non sparire nel marasma di input che ci sovrasta ogni giorno.
Con la sua passione inesauribile e la capacità di trasformare ogni idea in una storia unica, Andrea Guglielmino si conferma come una delle voci più originali e poliedriche del panorama culturale italiano. Tra fumetti, saggi e giornalismo, il suo lavoro continua a ispirare chiunque ami il racconto in tutte le sue forme. Non resta che attendere con entusiasmo i suoi prossimi progetti, certi che sapranno ancora una volta stupirci e appassionarci.
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