Quando un brano riesce a raccontare un luogo, a evocare emozioni autentiche e a farsi spazio tra migliaia di uscite, allora siamo di fronte a qualcosa che va oltre la semplice canzone. Lipari, il singolo che ha consacrato Andrea Licciardo con il suo primo Disco d’Oro, che è stato realizzato e consegnato dal management di Andrea Licciardo e non assegnato dalla Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), è esattamente questo: un viaggio sonoro che affonda le radici nella bellezza cruda dell’isola e nella forza dell’indipendenza artistica.

In un panorama musicale dominato da major e trend effimeri, Andrea si è distinto per coerenza, autenticità e visione. Con oltre 678.000 streaming su Spotify, un videoclip premiato e la complicità dei social media — che hanno visto personaggi come Belen Rodriguez e Ghali usare il brano — Lipari è diventato un piccolo caso discografico.

Noi di Music-Alive lo abbiamo incontrato per parlare di questo momento d’oro, ma anche di scelte coraggiose, del rapporto con la propria terra, e del futuro della musica indipendente in Italia. Quella che segue non è solo un’intervista, ma uno sguardo dentro il cuore di un artista che ha scelto di fare le cose a modo suo.

 

  1. Partiamo da Lipari: che cosa rappresenta per te questo brano, a livello personale e artistico?

“Lipari” per me è molto più di una canzone: è un frammento di anima, un ricordo che prende vita tra note e parole. A livello personale rappresenta un ritorno a me stesso, un momento in cui ho potuto fermarmi, respirare e lasciare che le emozioni parlassero senza filtri.

È nata in un periodo in cui avevo bisogno di silenzio, di mare, di staccarmi dal rumore del mondo – e Lipari mi ha dato tutto questo. Dal punto di vista artistico, è stata una vera svolta: mi ha permesso di esplorare una scrittura più intima, quasi visiva, in cui ogni suono racconta un paesaggio interiore.

Con questo brano ho voluto unire la semplicità della melodia alla profondità di un sentimento che non si può spiegare, solo vivere. In qualche modo, “Lipari” è il mio modo di dire grazie a un luogo che mi ha guarito.

  1. Hai conquistato un Disco d’Oro da artista indipendente, un risultato per pochi. Cosa ti ha insegnato questo percorso, e che difficoltà hai affrontato fuori dai circuiti tradizionali?

Conquistare un Disco d’Oro da artista indipendente è stato un traguardo che mi ha insegnato il valore della perseveranza e la forza della libertà creativa. Senza il supporto di una major, ogni passo è stato frutto di impegno e determinazione: dalla produzione alla promozione, tutto è stato realizzato con risorse limitate ma con una visione chiara.

Ho imparato a fidarmi del mio istinto, anche quando il mercato sembrava muoversi in tutt’altra direzione. Le difficoltà non sono mancate: dalla scarsa visibilità nei media tradizionali, alla diffidenza di alcuni addetti ai lavori, fino alla pressione economica costante. Ma proprio queste sfide hanno reso ogni conquista ancora più autentica.

Questo percorso mi ha fatto crescere, non solo come artista ma anche come persona. Oggi so quanto valore abbia ogni ascolto, ogni condivisione, ogni emozione che riesco a trasmettere a chi mi segue.

  1. Il videoclip di Lipari è un omaggio visivo potente alla tua terra. Quanto contano per te le radici e come influenzano la tua musica?

Le radici sono il cuore pulsante della mia musica, il terreno fertile da cui nasce ogni mia ispirazione. Lipari, con i suoi paesaggi unici, il mare e la sua storia millenaria, per me è molto più di un luogo: è un’identità che porto dentro, e che si riflette in ogni nota e in ogni parola che scrivo.

Nel videoclip ho voluto rendere omaggio a questa terra, perché è lì che affondano le mie emozioni più profonde, i ricordi e i sogni. Le radici mi danno forza e autenticità, mi ricordano chi sono e da dove vengo, e allo stesso tempo mi spingono a raccontare storie universali con un linguaggio personale.

Senza quel legame profondo con la mia terra, la mia musica perderebbe una parte essenziale della sua anima.

  1. Molti artisti inseguono le mode per “funzionare”. Tu invece hai scelto autenticità e identità. Quanto è stato rischioso restare fedele a te stesso?

Rimanere fedele a se stessi in un mondo in cui le mode dettano legge è una sfida enorme, quasi un atto di coraggio. Molti scelgono la strada più facile, quella di adattarsi ai trend del momento per ottenere visibilità e successo immediato. Io, invece, ho scelto di non seguire questa corrente effimera.

Ho deciso di mantenere la mia autenticità, di coltivare un’identità unica, anche quando questo significava rischiare di restare nell’ombra, perdere occasioni o essere frainteso. È stato un percorso fatto di dubbi, sacrifici e momenti di solitudine, ma proprio questa coerenza mi ha dato una forza interiore che va ben oltre il successo superficiale.

Rischiare di non “funzionare” secondo le regole del mercato per proteggere la mia voce è stata forse la scelta più difficile, ma anche la più vera.

  1. Cosa significa oggi “essere indipendenti” nella musica, in un’epoca dove tutto sembra essere determinato dagli algoritmi?

Oggi “essere indipendenti” nella musica va ben oltre il semplice fatto di autoprodursi o non avere un’etichetta discografica alle spalle. In un’epoca dominata dagli algoritmi delle piattaforme di streaming e dai social media, l’indipendenza significa riuscire a mantenere il controllo creativo e preservare la propria identità artistica, senza farsi schiacciare dalle logiche imposte dal mercato digitale.

Vuol dire costruire un rapporto diretto e autentico con il proprio pubblico, scegliendo liberamente quando, come e cosa pubblicare, invece di inseguire ciecamente i trend suggeriti dalle metriche. È una sfida continua, un equilibrio delicato tra espressione personale e necessità di visibilità, in cui l’artista indipendente deve diventare anche imprenditore, stratega e storyteller—senza mai perdere la propria voce.

In sintesi, è un equilibrio fragile ma straordinariamente potente, che unisce libertà creativa e adattamento consapevole al mondo digitale.

 

 

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