Antropophagus II: Joe D’Amato revisited

Se il titolo non lascia certo spazio ad equivoci, provvede immediatamente l’apertura a base di feto destinato a fare una brutta fine a suggerirci che Antropophagus II intenda essere il sequel di quel riconosciuto cult dello splatter che, firmato nel 1980 dal mitico Aristide Massaccesi che usava spesso lo pseudonimo Joe D’Amato, vide protagonisti la futura scrittrice Margaret Mazzantini e, al loro esordio, il figlio d’arte Saverio Vallone e una Serena Grandi pre-Tinto Brass.

Cult dello splatter cui, diciotto anni prima del remake-omaggio tedesco Anthropophagous 2000, diretto nel 1999 da Andreas Schnaas, lo stesso Massaccesi fornì uno pseudo-sequel tramite Rosso sangue, in cui il George Eastman alias Luigi Montefiori che aveva incarnato il mostruoso divora-umani del film precedente tornò nei panni di un nuovo massacratore, privato, però, della componente antropofagica.

Componente che ritroviamo ora, invece, nella creatura dietro i cui connotati è celato il volto dell’attore Alberto Buccolini, interessata unicamente a fare piazza pulita delle giovani Jessica Pizzi, Giuditta Niccoli, Chiara De Cristofaro, Diletta Maria D’Ascanio, Shaen Barletta, Alessandra Pellegrino e Valentina Capuano, studentesse universitarie lasciatesi convincere dalla docente Monica Carpanese a vivere un avventuroso week-end in un bunker antiatomico dove acquisire informazioni utili alle loro tesi.

Perché, a differenza del capostipite, ambientato in pieno giorno e con il sole spesso splendente, Antropophagus II – in parte a causa degli obblighi dettati dal primo lockdown dell’emergenza da Coronavirus, in parte per fornire un’operazione che non fosse l’ennesimo copia e incolla – sceglie di svolgersi quasi esclusivamente in un claustrofobico e cupo interno.

Ed è qui che l’esile script a cura di Lorenzo De Luca – il cui curriculum spazia da Jonathan degli orsi di Enzo G. Castellari a Natale sul Nilo di Neri Parenti – provvede a far susseguire lentamente la fantasiosa mattanza, tipica di ogni slasher movie che si rispetti.

Una mattanza che, tra occhi strappati a mani nude, mozzamenti di lingue e scuoiamenti che lasciano intravedere echi provenienti dal Leatherface della saga Non aprite quella porta, non concede quasi nulla all’immaginazione, complici gli eccellenti effetti speciali di trucco ad opera di David Bracci. Consentendo all’operazione di rivelare quello spirito di pura exploitation gore in fotogrammi che in Italia, se escludiamo le molte produzioni amatoriali o pseudo-tali circolanti in festival o nel mercato dell’home video, sembra essere rimasto relegato agli anni Settanta e Ottanta, epoca d’oro, appunto, della celluloide di genere sfornata da Massaccesi e colleghi.

Epoca da cui, tra l’altro, proviene il Giovanni Paolucci che è produttore di Antropophagus II; impreziosito da un look fortemente internazionale dovuto sia all’ottima fotografia a cura del regista stesso Dario Germani, già autore del buon thriller Lettera H, che al contributo della bella colonna sonora firmata da Simone Pastore.

Una volta tanto, poi, le interpreti non sono soltanto belle e, anche se il doppiaggio e alcuni passaggi della sceneggiatura avrebbero magari meritato maggiore attenzione, ci troviamo dinanzi ad un prodotto fortunatamente lontano dal rassicurante provincialismo della Settima arte tricolore del XXI secolo e orgogliosamente legato a quella capacità di osare a suon di visivi pugni allo stomaco che in passato ci ha fatti conoscere dai cineasti d’oltreoceano (Eli Roth e Quentin Tarantino su tutti)… fino ad un risvolto a sorpresa e ad un ultimo colpo di scena posto nei titoli di coda.

 

 

Francesco Lomuscio