Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: l’estasi di Vincent Van Gogh

At Eternity’s Gate è l’ultimo di una lunga serie di biopic sulla vita del celebre pittore olandese Vincent Van Gogh, firmato Julian Schnabel.

Partendo dal momento in cui l’artista ha stretto la sua forte amicizia con il collega Paul Gauguin, At Eternity’s Gate ci mostra un Van Gogh sofferente, incompreso, che vive un eterno conflitto interiore e che riesce a sentirsi se stesso solo nel momento in cui si trova da solo, immerso nella natura più incontaminata, accingendosi a dipingere un altro dei suoi quadri.

Inutile dire che – considerata anche la parallela carriera da pittore dello stesso Julian Schnabel – il lungometraggio (probabilmente una delle opere più personali e necessarie per l’autore stesso insieme a Basquiat, del 1996) vanta una cura dell’immagine e della fotografia come poche volte capita di vedere sul grande schermo. I dipinti di Vincent Van Gogh vengono, così, ricreati da una macchina da presa che, tuttavia, risulta essere a tratti troppo traballante. Ingiustificatamente traballante. Facendo, sovente, perdere di impatto visivo alle citate immagini, ma soffermandosi sapientemente su un primissimo piano del protagonista che, in tutto e per tutto, sta a ricordarci il suo stesso Autoritratto con orecchio bendato (datato 1889).

Non ha paura dei silenzi, Julian Schnabel. Non li teme e, al contrario, tende a esasperarli fino all’estremo, fino al massimo del consentito, accompagnando le immagini di un Van Gogh in estasi nella natura, solo con un misurato commento musicale firmato Tatiana Lisovskaya, al fine di far sì che lo spettatore stesso diventi parte di quell’estasi quasi mistica vissuta dal protagonista. Ma, in fin dei conti, è davvero necessaria una messa in scena così estrema? O tali scelte registiche denotano soltanto una pericolosa mancanza di idee da parte del regista?

Malgrado le suggestive immagini, malgrado i buoni intenti da parte dell’autore, At Eternity’s Gate risulta, alla fine, un’opera che non riesce ad esprimere fino in fondo tutto il proprio potenziale. Come se, negli scorsi anni, tutto fosse già stato detto in merito.

L’immagine che si ha, dunque, è quella di un regista non del tutto a proprio agio, che non sa come concludere un discorso ormai aperto e che, di fronte a un tema sì importante, si sente alquanto spaesato. Peccato, perché, di fatto, di spunti interessanti (soprattutto dal punto di vista estetico) ce ne erano eccome.
Ingenuo e maldestro, At Eternity’s Gate vanta, tuttavia, una straordinaria prova attoriale da parte del sempre ottimo Willem Dafoe nel ruolo del protagonista.

 

 

Marina Pavido