Abbiamo visto “Autoritratto” di Davide Enia al Teatro Gobetti e siamo rimasti colpiti dalla bravura e dall’intensità del monologo. Enia riesce a coniugare l’intimità con una riflessione collettiva, affrontando il tema di Cosa Nostra attraverso un viaggio di autoanalisi, utilizzando il linguaggio teatrale tipico della sua Palermo. Gli elementi come il corpo, il canto, il dialetto, il pupo e la recitazione si intrecciano in una narrazione che si presenta non solo come una tragedia, ma anche come un’importante orazione civile e un confronto diretto con lo Stato, oltre a porre una serie di interrogativi a Dio.

La performance affronta un caso atroce, quello del rapimento e dell’omicidio di Giuseppe di Matteo, un bambino innocente il cui rapimento ha segnato profondamente la coscienza sociale. La sua cattura, durata 778 giorni, e la disumana fine subita sono raccontate in modo straziante, portando il pubblico a riflettere sull’apparizione del male e sul sacro sotto la sua forma più oscura.

Con “Autoritratto,” Enia non solo scava nel profondo della realtà mafiosa, ma la presenta anche come uno specchio della vita familiare e delle dinamiche sociali, mostrando come la mafia possa influenzare le decisioni e le relazioni, oltre al modo in cui si interagisce con la religione. Ci ha impressionato la sua capacità di rivelare una «nevrosi collettiva» e di incoraggiarci a confrontarci con le verità più scomode della nostra società.

È stata un’esperienza davvero coinvolgente che ci ha lasciato tanti spunti di riflessione. 


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