BACK IN BLACK: IL LATO OSCURO DI KAREN BLACK NEGLI HORROR DI DAN CURTIS

Se nella memoria cinematografica collettiva sarà ricordata sempre ( e soprattutto ) per il ruolo della prostituta nel cult movie  Easy Rider ( 1969 ) di Dennis Hooper, o di Rayette, la fidanzata un po’ svampita di Jack Nicholson nel capolavoro di Bob Rafelson Cinque Pezzi Facili ( Five Easy Pieces, 1970 ), la mitica attrice americana Karen Black, scomparsa purtroppo l’8 agosto 2013 all’età di 74 dopo una lunga malattia, è riuscita a ritagliarsi – parallelamente alla sua figura di attrice “contro” della cinematografia americana degli anni ’70 – un piccolo posto nel cuore degli appassionati del cinema horror, grazie soprattutto a due pellicole interpretate tra il 1975 e il 1976 per la regia dell’americano Dan Curtis, in un sodalizio breve ma riuscito. Sarà stato forse per il suo fascino ambiguo, a tratti inquietante, accentuato da un leggero strabismo, che la Black è riuscita ad eccellere anche in questo genere.

Il primo è Trilogia del Terrore ( Trilogy of Terror, 1975 ), film per la televisione prodotto e diretto da Dan Curtis per la ABC Television americana, e composto da tre episodi tratti da altrettanti racconti del celebre romanziere Richard Matheson ( che sceneggia anche gli episodi del film ), incentrati su diverse figure femminili, e con Karen Black quale protagonista assoluta di tutti i segmenti. Nel primo episodio, “Julie”, è una professoressa universitaria sgraziata e bruttina che presa di mira da un suo studente ne diventa l’amante, fino a quando questi non rivela le sue reali intenzioni tentando di ridicolizzarla e “passarla” agli amici. Ma, alla fine, la donna si vendica uccidendolo, rivelandosi in realtà una sorta di fattucchiera in attesa del “prossimo spasimante”. Nel secondo episodio, “Millicent & Therese”, la Black si sdoppia interpretando il ruolo di due sorelle l’una l’opposto dell’altra, una, sfiorita e sgradevole zitella, l’altra una sorta di lolita con minigonna e folta chioma bionda. Entrambe si odiano, ma quando una riesce ad uccidere l’altra il loro medico si trova davanti un’inquietante verità: entrambe erano la stessa persona, combattuta in una sorta di sdoppiamento della personalità. Nel terzo ed ultimo episodio, “Amelia”, l’attrice interpreta il ruolo di una donna che, per fare un regalo al fidanzato, acquista un orrido feticcio di legno raffigurante un guerriero Zuni che, se privato della collanina che gli cinge il torace, può liberare lo spirito maligno che alberga in lui. Questo purtroppo avviene, e Amelia viene letteralmente braccata ed aggredita tra le mura del suo appartamento dall’orribile pupazzo, fino a quando riesce a liberarsene bruciandolo nel forno. Ma lo spirito si libera e si reincarna in lei…

In poco più di un’ora ( trattandosi di un film per la televisione ) Dan Curtis riesce a sintetizzare lo spirito dei racconti di Matheson – l’imprevisto e l’ignoto che irrompono nella quotidianità – e a valorizzare l’interpretazione di Karen Black, che passa con credibilità e disinvoltura da un ruolo all’altro dimostrando doti camaleontiche. E se nei primi due episodi rimaniamo su territori tutto sommato realistici, sostenuti da una trama sostanzialmente “gialla” ( in “Julie” la Black è una sorta di mantide subdola e occhialuta che sacrifica i suoi giovani amanti, mentre “Millicent & Therese” ha un intreccio e una risoluzione degli eventi abbastanza prevedibile ), è per il terzo episodio “Amelia” – che sposta l’asse della narrazione verso l’horror puro – che il film si lascia ricordare, e per il quale ha assunto lo status di piccolo Cult. La claustrofobica lotta domestica tra la donna ed il feticcio africano è risolta con un’abile dosaggio della suspense e abilità tecnica, con carrellate della cinepresa e un ritmo sostenuto ( a differenza della relativa lentezza dei primi due episodi ). Ciliegina sulla torta il colpo di scena finale, dove, nell’ultima inquadratura, una Karen Black posseduta sfoggia un sorriso zannuto da far rabbrividire. Chi lo vide in Tv all’epoca ( compreso il sottoscritto ) non l’ha dimenticato facilmente.

Di tutt’altro tenore il successivo Ballata Macabra ( Burnt Offerings, 1976 ), lungometraggio cinematografico diretto sempre da Dan Curtis. Protagonisti sono i membri della famiglia Rolf, e cioè il capofamiglia Ben ( Oliver Reed ), la moglia Marian ( Karen Black ), il figlio dodicenne ( Lee Montgomery ), e la zia del ragazzo ( Bette Davis ), che in cerca di una casa per le vacanze estive, trovano una stupenda villa immersa nel verde con tanto di piscina e un enorme parco. L’occasione è unica dal momento che gli strani proprietari, in cambio di un affitto assai modesto, chiedono solo che i Rolf si prendano cura della casa e della loro mamma, un’anziana che vive solitaria in una stanza dell’ultimo piano. Ben sospetta che dietro a tutto questo ci sia qualcosa di poco chiaro, ma l’entusiasmo di Marian lo convince ad accettare. Passano le settimane, e mentre Marian sembra subire l’influenza della casa al punto da esserne quasi succube, Ben ed il resto della famiglia subiscono la nefasta influenza della magione attraverso una serie di eventi misteriosi ed inspiegabili che quasi li portano alla pazzìa. E proprio il giorno che finalmente decidono di andare via per sempre da quel luogo maledetto, vengono sterminati uno ad uno dallo “spirito” che alberga nella casa, bisognosa di vite umane per mantenere vivo il suo bellissimo aspetto…

Tratto da un romanzo di Robert Marasco, Ballata Macabra si inserisce perfettamente nel fortunato filone delle “case infestate”, seppure con delle ambiguità di fondo – non del tutto spiegate – che lo rendono ancora più inquietante. La casa è infatti rappresentata come un vero e proprio “organismo” vivente, che deperisce, cambia aspetto ( pelle ), e che ha bisogno di nutrirsi ( attraverso la linfa vitale degli umani con il loro inconsapevole sacrificio ) per mantenersi sempre viva attraverso gli anni ( o addirittura i secoli ). Resta da chiedersi chi – o cosa – sia la persona, l’anziana ( mai mostrata nel corso del film ) chiusa nella stanza di sopra che alla fine vediamo – nella sequenza shock che chiude la pellicola – mostrarsi con le sembianze di una Karen Black invecchiata e diabolica, ormai definitivamente posseduta dalla casa e i suoi fantasmi, spingendola ad uccidere marito e figlio, in attesa dei prossimi, ignari inquilini. L’ambiguità, il mistero, l’inconoscibile, sono gli ingredienti che fanno la differenza in questo genere di film, che Curtis, in questo caso, dirige con il consueto stile lento e misurato, senza strafare in effettacci o cose del genere, ma puntando tutto sull’atmosfera e su un cast di prim’ordine che, oltre a Karen Black, comprende il grande e compianto attore britannico Oliver Reed, un’ormai anziana Bette Davis, e un’insolito Burgess Meredith nei panni del “padrone di casa”. Cinema d’altri tempi per brividi sopraffini.

Norberto Fedele