Noi parliamo sempre di bello che qui il bello è di casa… ma è anche di casa l’estetica e quel ragionamento sempre puntuale su quanto sia importante l’uno o l’altro aspetto. Bande Rumorose in A1 è un moniker che accompagna il suono e l’avventura di Matteo Bosco e Valeria Molina: “Gli inquilini del sottoscala” è un esordio che significa anche snellire i suoni alla ricerca di forme nude, di allegorie, di narrazioni sempre in cerca di vie di fuga dalla banalità. È un disco che si annida dentro le piccole cose…

Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. Ma andiamo oltre l’estetica:
per voi che significa per davvero questa parola?
La “bellezza” è una forma di emozione pura, non ha un “prima”, non ha un “dopo”, non si colloca in un contesto causale e nemmeno temporale. Esiste una piccola, piccolissima feritoia dentro di noi, se “qualcosa” si insinua là dentro, si verifica un evento nell’anima, qualcosa che non dura a lungo ma di cui ci ricorderemo per sempre: quel “qualcosa” è la bellezza.
Sottolineo che non si tratta di un percorso, di un ragionamento. Ci sono molte cose “belle” nell’arte, ma non tutte l’arte porta con sé la bellezza.

Bellezza: le Bande Rumorose in A1 come e dove la cercano? E quando
sanno d’averla trovata?
Noi la cerchiamo nelle persone, indubbiamente. Non stiamo dicendo che la “bellezza” sia presente solo lì, ma è lì che noi la cerchiamo, forse perché sono le persone a incuriosirci, anche per una ragione del tutto egoistica: i gesti, i dolori e le vite degli altri contengono sicuramente degli aspetti presente anche nelle nostre vite. È più facile affrontare un “problema” se non è, almeno nell’immediato, un tuo problema, ma è altrettanto importante capire che quello stesso problema può far parte di ogni esistenza, compresa la tua.
Come detto nella risposta precedente, non tutta l’arte porta con sé la “bellezza” e noi speriamo di essere riusciti a “cristallizzarne” una piccola parte, almeno in un verso o in un’immagine, ne “Gli inquilini del sottoscala”. Questo ce lo diranno le persone che ascolteranno il disco, magari qualcuno ci dirà che è un bel disco, magari una o due persone ci diranno che nel disco c’è un po’ di “bellezza”.

La bellezza dentro questo disco penso si annidi dentro le picco le
cose. Cose quotidiane, cose di semplicità ma che lasciamo da parte con
troppa “normalità”. Vero o sono fuori pista?
Certo, lo confermo: si confonde la “normalità” con la “banalità”, la “quotidianità” con la “scontatezza” e lo si fa per pigrizia. Lasciare da parte quel tipo di semplicità, significa far finta che la “vita” non esista, significa far finta che non siamo noi a doverci occupare delle cose della vita, è un modo terrificante di non assumersi la responsabilità di quello che si pensa e, di conseguenza, di come si agisce. È in quella quotidianità che ci si pone il problema (problema di tutti): è giusto o è sbagliato, ma non è il caso di entrare nel mondo della “morale”, anche perché non ne ho né presunzione, né competenza.

Che poi, restando sempre sul tema, ho come l’impressione che tutto il
disco nasca da una chiacchierata sul quotidiano. Ha senso?
Certo, e credo sia, se non “normale”, naturale: è proprio chiacchierando che nascono le idee, dal confronto, dallo scambio. Mi piace molto parlare con le persone e mi piace ancora di più quando, a seguito di una di queste chiacchierate, dico o penso: “questa cosa non l’avevo pensata” oppure: “da questo punto di vista non l’avevo mai considerato” o ancora: “questo non lo conoscevo”. A partire da queste intuizioni si sviluppano le idee, le ricerche e, soprattutto, la fantasia e la ricerca delle singole parole.

La sintesi anche dentro la copertina. Senza fronzoli: come a dire che
ormai siamo immersi in una società fatta solo di fronzoli?
La copertina voleva essere un omaggio al capolavoro di Herzog, Nosferatu (1979). In particolare richiama la celeberrima sena della peste, in cui gli abitanti, ormai rassegnati, banchettano elegantemente tra i ratti: quando tutto è perduto tanto vale concludere con stile o forse, semplicemente, ricordare di quando si era felici, nel momento in cui è scaduto il tempo per esserlo ancora. La copertina de “Gli inquilini del sottoscala” è una riproduzione “goffa” e quasi macchiettistica dei quella scena: non ci sono prospettive apocalittiche, dalla “peste” ci si salva, con l’ironia, con l’attenzione e, soprattutto, con la bellezza.


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