Ci sono canzoni che non ti cercano, non ti inseguono. Stanno lì, in silenzio, e aspettano che sia tu a trovarle. Body Count di Filippo Poderini è una di quelle. Quando l’ascolti per la prima volta non ti urla in faccia, non si mette in mostra. Ti sfiora. E se sei nel momento giusto – se hai due minuti di respiro tra un caos e l’altro – ti colpisce in pieno.

Body Count – Filippo Poderini

È il quarto brano estratto dal suo primo album, e l’ultimo a essere nato in studio. Ma non sembra un “pezzo conclusivo”: è, piuttosto, un punto di partenza. Come se Filippo, nel registrarlo, avesse messo un punto fermo solo per poter iniziare a raccontare sul serio.

La produzione è raffinata, curata insieme a SADI. I synth anni ’80, tra Juno e DX7, non sono lì per nostalgia estetica: sono una cornice perfetta per la malinconia che attraversa tutto il brano. Quella malinconia calma, che non ti butta giù ma ti costringe a stare in silenzio con te stesso.

Quello che più colpisce, però, è l’onestà. Non ci sono slogan né frasi fatte, ma riflessioni vere, buttate giù in una notte come tante – la notte del 31 dicembre – mentre il mondo si dà alla festa e lui torna a casa da solo. Sereno, dice. Ma anche pieno di domande.

“Body Count”, dice Filippo, non è un conto delle conquiste, ma dei suoi vecchi sé, delle versioni di sé stesso che ha lasciato andare per diventare chi è ora. È un’idea potente. Forse anche un po’ dolorosa, se ci pensi bene. Ma è vera. E chiunque abbia vissuto un po’, anche solo abbastanza da guardarsi indietro, può capirla al volo.

Non tutto è chiaro nel testo, e va bene così. Non tutto deve esserlo. C’è un amico che torna nei pensieri, una rabbia trattenuta nel ritornello, una zona franca nel bridge dove ci si può parlare senza farsi male. E c’è quel senso di stanchezza lucida che molti conoscono, quella sensazione di essere sopravvissuti a qualcosa, anche se non sai bene a cosa.

Filippo non vuole spiegare tutto, e lo rispetto. Anzi, lo apprezzo. Body Count funziona proprio perché non ti prende per mano: ti lascia spazio per sentire, per capire, o semplicemente per stare lì, in ascolto.

Non è una canzone da classifica. È una canzone da ritorni a casa, da notti in cui sei più pensiero che corpo. Una canzone che non ha fretta. Ma che arriva, quando sei pronto.


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