Tra i lungometraggi in gara al FiPiLi Horror Festival 2022 troviamo quello del regista friulano Dario Bagatin, che sembra intenzionato a fare buona compagnia ad altri suoi forse più noti conterranei quali Lorenzo Bianchini e Paolo Del Fiol, e che ha vinto il premio al Miglior Lungo nella sezione Horror of the Web, oltre ad essersi meritato la menzione speciale “per il tentativo originale di avvicinare il registro realistico alla dimensione fantastica ed all’estetica del B – Movie”. Il film, Boneless, è una continua sorpresa, e si nota come il regista si diverta un mondo a disorientare gli spettatori, facendo credere loro più volte di star guardando una certa tipologia di sottogenere e poi virando bruscamente in un’altra, creando un senso di spiazzamento che alla fine non può che risultare piacevole e certamente piuttosto originale. Nonostante si tratti di una produzione a bassissimo budget, completamente autofinanziata dallo stesso Bagatin, tuttavia Boneless non nasconde affatto una certa ambizione, come dovrebbe essere sempre quando ci si imbarca in un progetto del genere. Il risultato è un film imperfetto e con diverse pecche, ma assolutamente ben riuscito, curioso, capace anche di far sussultare, con un buon cast ed effetti speciali artigianali che colgono nel segno, soprattutto se si pensa a quanto poco budget ci fosse a disposizione. Boneless è per me l’ulteriore riprova dell’assioma, in cui io credo fermamente, che per fare un buon film di genere servano più il cuore e la passione che i soldi, ed il fatto che sia stato selezionato tra gli unici quattro lungometraggi in gara al prestigioso FiPiLi non può che darmi ragione!
Le danze si aprono con un giovane tenuto in ostaggio da una donna armata che lo minaccia pesantemente con una pistola. Non appena ella si gira però l’uomo si libera, la immobilizza e la uccide, riuscendo così a scappare. Il focus si sposta poi su una coppia in auto, che sta parlando di un film. I due si fermano all’autogrill a mettere benzina e lì vengono avvicinati dal giovane visto all’inizio, che dice loro di chiamarsi Paolo e di avere bisogno di un passaggio fino a Venezia, dove anch’essi sono diretti. Dopo un’iniziale titubanza da parte della coppia, Paolo riesce ad ottenere il passaggio richiesto offrendosi di pagare il pieno. Durante il viaggio l’uomo, evidentemente ricercato dalla polizia, chiede al conducente dell’auto, Neville, di cambiare strada, spaventato dai numerosi posti di blocco, e di passare da una strada in mezzo al bosco che non è nemmeno segnata sulle mappe. Mentre Tania non sembra turbata dal’insolito passeggero, il suo compagno pare invece non fidarsi, e così mentre guida in concitazione investe un animale. Paolo, che si dice membro di un club di criptozoologi, identifica lo strano essere investito come un chupacabras, e, convinto che sia morto, decide di caricarlo in auto per venderlo a qualche università in cambio di un bel gruzzoletto. Ma l’incontro con lo strano essere cambierà definitivamente l’andamento della serata ed anche le vite dei tre protagonisti, che dopo di lui avranno modo di conoscere molte altre creature insolite…
Boneless è, come vi dicevo, un film spiazzante. All’inizio sembra prendere il sentiero della spy story e del giallo poliziesco, poi vira verso il thriller on the road, alla Hitcher per intendersi, per poi sfiorare i territori del beast movie ed infine ancorarsi saldamente al fanta-horror. In questo variegato percorso interessanti sono le scelte prese dal regista sia nella conduzione dell’attore principale, Francesco Roder, che interpreta Paolo, sia nella realizzazione delle creature che si incontreranno man mano che l’auto si addentra solitaria nel folto della foresta. Infatti all’inizio Paolo sembra la vittima, poi sembra invece trasformarsi nell’inquietante villain della situazione, ed è molto bravo l’attore italo-messicano Francesco Roder a caratterizzare questo personaggio dalle mille sfaccettature e dalle espressioni sempre sublimate da un velo di ambiguità. Presto però ci si accorgerà come lui stesso nulla possa contro la situazione contorta e paradossale in cui tutti e tre si ritroveranno dopo aver investito quello strano essere, dagli aculei simili a quelli dell’istrice, che viene identificato come il mitologico chupacabras, creatura avvolta nella leggenda che sembrerebbe dissanguare capre o altri animali domestici per nutrirsi del loro sangue. Pare che questo essere spaventoso abbia origini portoricane, e viene descritto in molti modi, ma il principale lo vede come una creatura con braccia e gambe molto esili ed una serie di aculei allineati dalla testa fino al dorso, con il viso senza naso o orecchie. Qui, forse anche per nascondere il basso budget a disposizione, l’essere sconosciuto viene sempre mostrato avvolto nelle tenebre, ma garantisco che quello che si vede e si lascia intendere è di forte impatto, e mi ha addirittura fatto venire in mente, in scala più ridotta ovviamente, l’orrida creatura protagonista del bellissimo Il patto dei Lupi di Christophe Gans (2001). Dopo l’incontro col supposto chupacabras i tre poveri malcapitati si troveranno ad affrontare un essere pensante e parlante, realizzato in maniera ineccepibile e molto d’impatto, Bannon, che sembra un incrocio tra un demone e un alieno. Bagatin ci svela che per la realizzazione di questo oscuro e temibile figuro, disegnato, progettato e realizzato, come il chupacabras, da lui stesso (chapeau!), si è ispirato sia agli alieni del film Indipendence Day di Roland Emmerich (1996) sia al terrificante Balrog che abita le miniere di Moria ne Il Signore degli Anelli di Peter Jackson (2001), con un pizzico di Alien che non fa mai male. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è di una forza ed un’efficacia sorprendenti.
Quello che mi è piaciuto molto di questo lavoro, peraltro, da notare, opera prima di Bagatin, è un uso mai scontato o banale dei dialoghi, che spesso, in molte produzioni indipendenti, fanno decisamente acqua da tutte le parti. Qui invece anche le frasi che sembrano più stupide sono in realtà funzionali a ciò che segue; ricordo, ad esempio, la bellissima sequenza in cui Neville e Paolo discutono di cibo e il conducente continua a sottolineare di essere vegano, con tono decisamente sprezzante verso chi mangia carne. Dopo l’impatto con quello che scopriranno poi essere il cosiddetto chupacabras Paolo azzarderà l’ipotesi possa trattarsi di un negro che non hanno visto nel buio, e Neville ne approfitta per tacciarlo di razzismo a causa dell’uso di tale termine, tuttavia non si scompone più di tanto. Quando Tania suggerisce invece l’ipotesi che possa trattarsi di un cane Neville si dispera continuando a sottolineare “Ma io sono vegano!!!”, tra gli insulti di razzismo di Paolo, che gli fa giustamente notare come lo colpisca di più l’idea di aver ucciso un cane piuttosto che un essere umano di colore, a suggerire come spesso si giochi con le parole ma nella sostanza si possa essere molto più razzisti di chi magari non sta a soppesare i termini. Critica al vetriolo nemmeno tanto velata ai cliché e alle apparenze sterili di facciata, che ho apprezzato particolarmente.
La fotografia sgranata di Francesco Orrù ci riporta ai classici della fantascienza di una volta, quando si usavano immagini volutamente disturbate a suggerire interferenze ed anomalie nel nostro mondo. Il cast, poi, risulta assolutamente all’altezza, dimostrando un’accuratezza nella ricerca degli attori non comune nel cinema indipendente italiano. Nel fantastico ruolo di Bannon, di cui non voglio svelarvi nulla per non rovinarvi la sorpresa, troviamo l’attore inglese David White, mentre in quello, altrettanto emblematico, del dott. Kirk (ogni riferimento è puramente casuale ;-)), l’attore romano Paolo Fagiolo, già visto ed apprezzato lo scorso anno nella pellicola di Lorenzo Bianchini L’Angelo dei Muri, e nel 2014 ne Il ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores. Su tutti spicca sicuramente Francesco Roder, la cui interpretazione sfaccettata di Paolo è veramente di alta qualità: riesce a farci credere di essere vittima, carnefice, e poi di nuovo vittima e di nuovo carnefice, senza mai, tuttavia, togliersi l’aria spavalda che lo contraddistingue, se non durante il primo incontro con Bannon, che avrebbe spiazzato chiunque, suppongo. Di madre messicana e padre italiano, Roder aveva già bazzicato l’indipendente italiano partecipando a due lavori del regista Federico Scargiali, anch’egli friulano: Through Your Lips, episodio dell’antologico 17 a Mezzanotte (2013), e Fuck You Immortality (2019). Col volto segnato da una serie di tagli, che lo rendono, a dire il vero, poco rassicurante, Paolo saprà, alla fine, conquistare il cuore e la fiducia non solo della bella di turno, Tania, interpretata dall’attrice Erika Alberti, ma anche degli spettatori. Una piccola e simpatica curiosità riguarda proprio la Alberti: durante le riprese si scopre che la giovane attrice è allergica al lattice, e quindi il trucco che ad un certo punto il suo personaggio deve sfoggiare non poteva esserle applicato; fortunatamente la fonica, Vittoria Malignati, si è offerta spontaneamente di sottoporsi a tale trucco e girare lei stessa quelle scene in cui era richiesto, così che troviamo due interpreti del personaggio di Tania a seconda della situazione.
Le location del film sono pochissime, ma il buio e l’accuratezza registica permettono di ingannare lo spettatore. Le riprese sono state tutte concentrate in un arco di 4-5 km, e la maggior parte si sono svolte nel giardino di casa del regista, in una zona del Friuli Venezia – Giulia prossima al confine col Veneto, dove è stato allestito il campo base militare con alcune tende prestate nientemeno che dagli Alpini; le scene del bosco sono girate vicino casa di Bagatin e quelle all’interno del capannone nel suo posto di lavoro. Gli esterni della pompa di benzina sono stati ripresi alla stazione di servizio di un amico, mentre l’interno è il bar ristorante dove la troupe consumava i pasti durante le riprese! Quando si dice uscio e bottega! Comunque, massima resa con il minimo sforzo, posso assicurare! Persino sulle comparse Bagatin riesce ad economizzare: ne usa pochissime, e spesso i soldati, con tute bianche e maschere antigas, sono interpretati dagli stessi attori protagonisti. Addirittura l’aiuto regista e produttore esecutivo, Amerigo P. Neri, è un amico ed ex collega di accademia di Bagatin, rincontrato dopo vari anni proprio durante un’edizione del FiPiLi.
Altro punto di forza del film sono gli splendidi effetti speciali old school, con pochissimo uso di CGI ed eliminando completamente il grees screen a favore di un proiettore. I mostri in costume sono stati realizzati dallo studio marchigiano Cordivani FX, mentre per le scene in stop motion è stato contattato un tecnico americano, Ron Cole, che negli Anni Novanta aveva realizzato molti film con questa tecnica. Il fatto che Bagatin sia legato al bel Cinema degli anni passati è evidenziato anche dalle continue citazioni a mostri sacri quali Bava, Romero, Corman, Carpenter e Verhoeven, con qualche rimando anche all’animazione giapponese.
Concludo dunque affermando che con tanto cuore, una solida cultura cinematografica, un’ottima formazione tecnica ed una squadra affiatata e valida Bagatin ci dimostra come si possa realizzare un buon film pur senza avere a disposizione milioni di euro e nomi altisonanti. Mi auguro, quindi, di poter vedere presto un altro film di questo promettente quanto interessante artista friulano.
Ilaria Monfardini
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