Se, a partire dalla fortunata trilogia Millennium di Stieg Larsson la Svezia ha visto nascere una fittissima corrente letteraria (e, di conseguenza, anche cinematografica) incentrata in maniera esclusiva sul genere thriller, risulta assai nuovo un lungometraggio che, partendo dal noir, arriva addirittura agli stilemi del fantastico.
Così, all’interno della sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2018 è stato presentato Border – Creature di confine, secondo lungometraggio per la regia dell’iraniano naturalizzato svedese Ali Abbasi (il primo fu Shelley, del 2016), nonché trasposizione cinematografica del racconto Gräns di John Ajvide Lindqvist (noto per il best seller Lasciami entrare).
La storia portata in scena è, a dir poco, bizzarra: Tina (Eva Melander) – dagli insoliti tratti somatici – lavora come impiegata alla dogana ed è nota per il suo sviluppatissimo olfatto, che le permette anche di individuare nell’uomo emozioni come la paura e il senso di colpa. Nel momento in cui la donna incontra il misterioso Vore (Eero Milonoff), piuttosto somigliante a lei, scopre molto di sé e delle sue misteriose origini.
Volendo prescindere da ogni qualsivoglia genere cinematografico, questo insolito Border – Creature di confine può essere sommariamente descritto come un film sull’importanza di essere se stessi e sulla ricerca della propria identità.
Al fine di raccontare ciò per immagini, Abbasi opta per una messa in scena tipica del cinema scandinavo, con colori prevalentemente freddi, fortemente virati in blu e personaggi apparentemente statici e poco espressivi – proprio secondo la tecnica dello straniamento brechtiano – che lontanamente stanno addirittura a ricordare i lavori di Roy Andersson.
Complessivamente riuscito, con un andamento volutamente lento e, a tratti, contemplativo, Border – Creature di confine è, di fatto, un prodotto respingente e magnetico allo stesso tempo, capace di trasmettere allo spettatore sentimenti altalenanti durante tutta la visione. E, probabilmente, le iniziali intenzioni di Ali Abbasi volevano essere proprio queste.
Marina Pavido
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