borderlife
Borderlife

Borderlife – la nostra vita dall’altra parte è l’adattamento teatrale di Francesca Merloni e Nicoletta Robello, tratto del romanzo omonimo di Dorit Rabinyan, pubblicato in Italia nel 2016 da Longanesi ma paradossalmente censurato in Israele, in quanto considerato “minaccia alla sua identità”.

Lo spettacolo, diretto da Nicoletta Robello, era in scena in un’unica data al Teatro Bellini di Napoli l’8 febbraio scorso, con Francesca Merloni, interprete dell’israeliana Liat, e l’attore di origine russa, ma naturalizzato italiano, Pavel Zelinskiy nei panni del palestinese Hilmi. Nel cast figura anche il gruppo musicale pugliese folk dei Radicanto.

Borderlife, il romanzo censurato in patria

Si fa davvero fatica a immaginare come possa un’opera artistico letteraria minacciare l’identità di una nazione. La questione riporta alla mente la censura e il bando di libri di epoca medievale o assolutista, tipicamente da Ancien Regime, eppure nel XXI secolo, e in una democrazia consolidata come quella israeliana, ciò accade ancora.

Sono davvero pochi i momenti “politici” affrontati dai due protagonisti sul palco: significativi ma sporadici, evidentemente capaci di spaventare una cultura sopravvissuta a secoli, anzi millenni di diaspora e tragedie immani. Una storia d’amore difficilmente dovrebbe far paura, anche perché quella di Liat e Hilmi è di una tenerezza struggente, non a caso ispirata al dramma di William Shakespeare Romeo e Giulietta, esplicitamente citato in alcuni passaggi.

Borderlife, una versione moderna di Romeo e Giulietta

La versione moderna del capolavoro del Bardo da Verona si sposta su due continenti, sospesa come è tra New York e la Palestina. I due innamorati si trovano nella Grande Mela, ancora ferita dagli attentati dell’11 settembre del 2001 (due anni dopo si svolge la vicenda), al punto tale da suscitare sospetti e paranoia islamofoba in un cittadino comune alla vista di Liat che – da sola in un bar -scrive una lettera dalla sinistra verso la destra.

Liat e Hilmi in Borderlife

Liat e Hilmi si incontrano all’Aquarium e trascorrono un autunno e l’inverno freddo e gelido insieme, nonostante le diffidenze iniziali e soprattutto quelle della famiglia di Liat, ex militare israeliana alle prese con un lavoro da traduttrice negli States. Hilmi è un giovane artista palestinese dagli occhi dolci e grandi, color cannella, illuminato da un sorriso infantile che spezza il cuore.

Vive a Brooklyn e nei suoi quadri c’è sempre un bimbo che dorme e che sogna il mare, lo stesso che scorgeva, quando era da ragazzo, dal IX piano di un palazzo di Ramallah. Mare in cui non sa nuotare purtroppo, ma che la lega a Liat come quel sole levantino mediorientale, cocente al pari del conflitto che infiamma i due popoli da 80 anni.

Due popoli, due stati e una linea verde

Due popoli, due stati, due cuori e un appartamento in tal caso: non sempre d’accordo sulle soluzioni della convivenza israelo-palestinese, ma sinceramente appassionati l’uno nei confronti dell’altra. Due anime solitarie nel grande caos metropolitano che tentano di tracciare una linea verde durante una discussione, la stessa degli accordi del ’49. Inutilmente, perché l’amore non ha confine.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner
Verificato da MonsterInsights