Brave ragazze: donne… in cerca di guai!

Pare sia ispirato ad una incredibile storia vera consumatasi nella provincia francese degli anni Ottanta Brave ragazze, seconda prova dietro la macchina da presa per l’attrice Michela Andreozzi, a due anni da Nove lune e mezza, del 2017.

Incredibile storia vera che, trasferita in fotogrammi, sostituisce l’ambientazione originale con Gaeta, rendendone protagoniste una Ambra Angiolini ragazza madre con due figli da mantenere e, ovviamente, nessun lavoro stabile, una Serena Rossi vittima di un marito violento e profondamente devota alla Vergine e, infine, due sorelle di indole opposta che, interpretate da Ilenia Pastorelli e da una Silvia D’Amico balbuziente, sognano un futuro migliore lontano da dove vivono.

Quattro figure femminili in crisi che, decise a cambiare il corso delle loro esistenze, arrivano a travestirsi da uomini per svaligiare la banca del loro paese e dare inizio ad una serie di azioni spericolate.

Infatti, man mano che si chiedono come mai non finisca la sfiga, visto che tutto, compreso l’amore, ha sempre un termine, nel corso della oltre ora e quaranta di visione non manca neppure un inseguimento automobilistico, seppur inscenato in una maniera che ci ricorda sempre più quanto siano lontani i bei tempi di poliziotti sprint quali Maurizio Merli e Franco Gasparri e dei loro registi Umberto Lenzi e Stelvio Massi.

Del resto, come avviene per buona parte del cinema italiano di questa prima metà del XXI secolo, c’è decisamente poco (o niente) da esaltarsi dinanzi a Brave ragazze, comprendente nel cast anche Max Tortora nei panni del sacerdote Don Backy (sic!) e Luca Argentero in quelli del commissario Gianni Morandi (sic!), destinati ad alimentare coi loro nomi un’ironia da cabaret teatrale vecchia maniera che non fa più ridere nessuno.

Come pure il gioco dei dialetti (con tanto della stessa Andreozzi in un piccolo ruolo fornita di accento veneto); mentre a richiamare il decennio in cui spopolarono i Duran Duran provvedono scenografie tempestate di mangiacassette, televisori a tubo catodico e telefoni a disco (ma anche una locandina del verdoniano Borotalco che però, erroneamente non è quella di allora!) e, tanto per rimanere nell’ambito delle odierne tematiche trite e ritrite da schermo (piccolo e grande) tricolore, non è assente neppure l’omosessualità femminile.

E, investiti da aria di Girl power e movimento #MeToo che hanno ormai finito per rivelarsi soltanto armi a doppio taglio per donne in cerca di credibilità e rispetto da parte della società, ci si annoia non poco, con la situazione che non fa che peggiorare quando un risvolto tragico viene inutilmente tirato in ballo nell’evidente tentativo di conferire un tocco di originalità.

Il resto lo fa una banalissima scelta musicale, spaziante da Storie di tutti i giorni di Riccardo Fogli a Whatever you want degli Status Quo, passando per una rilettura della colonna sonora del telefilm Happy days.

 

 

Francesco Lomuscio