Cafarnao – Caos e miracoli di Nadine Labaki (Caramel) è stato presentato all’edizione 2018 del Festival di Cannes, dove ha vinto il premio della giuria. La cineasta e attrice libanese, giunta alla sua terza regia, ci porta dentro la realtà delle baraccopoli del Libano attraverso gli occhi di un bambino di strada.
Sarebbe fin troppo facile bollare il lungometraggio come un film “furbo”, ovvero come uno dei tanti che ci raccontano la povertà, in quanto riesce in pieno a coinvolgere sia lo spettatore che il suo senso di colpa.
Beirut come Rio, o Johannesburg con le sue baraccopoli, con il mondo sempre più diviso tra pochi ricchi e tanti, davvero tanti poveri. La storia inizia in tribunale, dove il giovane Zain è stato arrestato per aver pugnalato un’altra persona. L’avvocato, interpretato dalla stessa Nadine Labaki, spera di citare i genitori del piccolo: la madre Souad (Kawthar Al Haddad) e il padre Selim (Fadi Kamel Youssef), che non sono in grado di dargli alcun sostegno economico e di affetto.
Dal momento della fuga iniziano una serie di incontri all’interno di un quadro di povertà disarmante che accompagnano lo spettatore in una lenta discesa all’inferno. Un film che necessita di una grande scorta di fazzoletti; mentre coloro che in modo più “cinico” guardano il film dal punto cinematografico non possono non apprezzare tutto il lavoro effettueto dalla regista insieme al reparto montaggio, riuscendo a passare da oltre quattrocento ore di girato alle due dell’opera.
In conclusione una bellissima opera dinanzi a cui i più cinici diranno che, come al solito, il film sulla gente povera funziona per vincere i premi. Ma è bene riflettere sul fatto che i poveri rappresentati in Cafarnao – Caos e miracoli sono veri e sono stati presi dalla strada.
Il protagonista, che ha sfoggiato il suo piccolo smoking a Cannes mentre riceveva i flash dei fotografi da tutto il mondo, continua a chiedersi perché i suoi amici debbano vivere ancora in fatiscenti baracche, mentre lui, grazie all’aiuto della regista, ha potuto avere una nuova vita in Norvegia insieme ai propri genitori, imparando a leggere e a scrivere (cosa che non sapeva fare all’epoca delle riprese).
Se la povertà, come dice spesso Papa Francesco, ha la sua bellezza, possiamo considerare il dilm di Nadine Labaki “la grande bellezza” cinematografica della povertà.
Roberto Leofrigio
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