“Cavallo Pazzo”: i Nativi americani, la storia, un disco

Parliamo di un disco che di estetica e di bellezza hanno la sottile presunzione della semplicità. Parliamo di un esordio già maturo sul nascere, di un suono che sa di folk e di pop già deciso sin dalle prime battute, di un disco lungo 10 inediti che non pagano pegno di ombre e fantasmi, ne di soluzioni già note per quanto la classica canzone italiana ha quel suo modo ormai inflazionato di esistere. Parliamo di Ivan Francesco Ballerini e di questo “Cavallo Pazzo”, disco pubblicato dalla RadiciMusic in cui il cantautore toscano, con la bellezza della spontaneità e di quel ricamo lirico per niente banale ma neanche spocchioso di distanze culturali, ci racconta la vita e le guerre dei Nativi Americani prendendo derive personali sul propio vissuto e su quello delle persone che ama. Non esiste una regola ne un confine preciso tra la storia e l’invenzione. Tutto fa parte di un unico scopo di bellezza… spirituale prima ed estetica poi. Eppure ci piace indagare su questo confine e ci piace pensare che ogni cosa sia pesata con estrema attenzione…

Noi spesso parliamo di bellezza e non solo di quella sfacciata da vedere. Dicci: per te cosa significa la bellezza?
Che bella domanda… direi fondamentale. Un artista, che sia musicista, pittore, scultore o scrittore, cerca sempre di esprimere bellezza, che in sintesi io definirei “amore”, in tutte le sue forme.
Amore per la vita, amore per la donna amata, amore per i nostri figli, amore verso un amico del cuore.
Quindi da chimico, quale sono, oltre che musicista mi voglio esprimere con una equazione: Bellezza = amore.

Quanto conta la bellezza nella realizzazione di una canzone?
Altra domanda bellissima… la cui risposta è complessa e per nulla scontata. La bellezza in una canzone è fondamentale. Per raggiungere questo risultato, quindi un brano bello, bisogna a mio avviso avere intanto una cosa importante da comunicare… uno stato d’animo, una cosa che ci ha emozionato o ferito, la perdita di una persona cara o di un amore… poi si deve avere una profonda padronanza linguistica.
Se non si conosce bene la lingua in cui si compone è un grosso problema, perché la lingua, assieme alla musica, sono le due cose fondamentali su cui si poggia una canzone. De Andrè per esempio riusciva, ogni volta che scriveva una canzone, a scrivere una poesia. Non è un caso che sia finito sui libri di storia.

Un disco d’esordio per quanto non sia un esordio in musica per te. Oggi arriva “Cavallo Pazzo”. Per te, da cantautore, è una nuova dimensione? La definitiva o sei in rivoluzione continua?
Cavallo pazzo… solo a pensarci è già nostalgia… perché purtroppo fa già parte del passato, fa già parte dei ricordi. Sono in evoluzione continua, e sto attualmente lavorando su un nuovo progetto, molto ambizioso, di 10/12 inediti, in cui tratto argomenti di vario tipo. Anche da un punto di vista musicale siamo su tutto un altro genere. Al mio fianco, mi avvalgo sempre della collaborazione del musicista Alberto Checcacci, che riesce sempre a capire esattamente ciò che io desidero esprimere con una determinata canzone. Penso sarà un album che farà parlare, perché è molto autentico, molto personale e mi rappresenta appieno.

Un suono d’autore molto popolare. Eppure non sono poche le incursioni che il rock ha fatto nelle tue scritture o sbaglio?
No è corretto. Cavallo Pazzo è un album a cui ho dato molto peso a ciò che stavo scrivendo. Sono venute fuori canzoni, che pur trattando argomenti delicati, come in “Preghiera Navajo” o “Mio fratello Coda Chiazzata”, hanno mantenuto una linea melodica molto dolce… è un album molto rilassante… e anche il nuovo lavoro, resta abbastanza fedele a questo stile melodico. Tuttavia in brani come “Ragazza sioux” o “Gufo Grazioso”, Alberto ha dato sfogo al suo lato rock, inserendo chitarre elettriche davvero emozionanti, aggressive ma sempre molto eleganti. Il lato rock si sente anche nel brano dolcissimo “il canto di mia figlia”, scritto pensando a mia figlia Eleonora, dove Alberto sul finale ha stampato un vero capolavoro… tanto di cappello verso un musicista così bravo.

Non hai mai pensato di usare strumenti della tradizione dei nativi americani?
Bellissima domanda… certo, ci abbiamo pensato. Tuttavia dovete pensare che Cavallo Pazzo è un album interamente fatto da me e da Alberto Checcacci. Un lavoro a due… non ci siamo avvalsi di altri musicisti. Alberto, musicista e arrangiatore, ha suonato di tutto: chitarre acustiche ed elettriche, mandolini, batterie, ecc, ecc. Diciamo che ci abbiamo pensato ma non abbiamo avuto il tempo.

Oggi viviamo completamente immersi nell’estetica… nell’apparenza delle cose. La stessa apparenza che fa dimenticare grandi momenti della storia come quello dei nativi americani… sei d’accordo?
Ho voluto scrivere un album interamente dedicato ai nativi Americani proprio per questo, per ridare voce, anche se solo per un attimo, a popoli e civiltà bellissime, rase al suolo dagli europei, in cerca di terre da sfruttare. So benissimo che è un album retrò, da cantautore anni settanta, e questo mi piace molto. Penso che se un album come questo fosse stato scritto da un cantautore come Francesco de Gregori, sarebbe stato un successo Nazionale. Penso che se Francesco ascoltasse questi brani mi verrebbe a cercare, perché sembrano davvero scritti per lui. Comunque non bisogna mai dimenticare gli accadimenti passati, perché senza la conoscenza di questi fatti, senza la conoscenza della storia, saremmo senza identità e questo è molto, molto pericoloso. Questo penso.