CINEMA ORIENTALE: “BARE ESSENCE OF LIFE” LA RECENSIONE DI ANNAMARIA SCALI

Il mio interesse per il Giappone è ormai consolidato da tempo, non soltanto per il richiamo ad una cultura completamente diversa dalla mia, ma anche e soprattutto per la differente prospettiva e l’irraggiungibile sentimento che gli asiatici riescono a far indossare alla vita e alla morte. La positiva invidia che nutro è probabilmente una sincera forma di ammirazione.

Bare Essence of Life (Urutora mirakaru rabu sutori, 2009), vede alla regia Satoko Yokohama e come protagonista, direi fondamentale, lo straordinario Ken’ichi Matsuyama, il quale nasce come modello, ma cattura la mia attenzione per la magistrale interpretazione di L in Death Note, film tratto dall’omonimo manga, firmato Takeshi Obata.

In Bare Essence of Life, Matsuyama è Jojin, un contadino venticinquenne che trascorre le sue giornate tra il lavoro dei campi con la nonna ed un’illogica, ma ineguagliabile, spontaneità. La sua vita programmata, scandita da orologi e calendari, viene interrotta da un evento che inizia a cambiare la sua mente e lo aiuta ad avvicinarsi alla giovane Machiko (interpretata da Kumiko Aso), insegnante d’asilo trasferitasi ad Aomori dopo la morte del fidanzato. La storia potrebbe risultare scontata, se non fosse per i fantasmi che aleggiano dentro gli animi dei protagonisti, per i quali ciò che sembra ovvio comincia a creare domande e persino la morte si traveste d’amore, anzi, per usare il filo conduttore del film: si “evolve”  e partecipa alla vita, anziché bloccarla; non a caso la scena finale è da molti interpretata secondo uno schema ciclico, in cui tutto si ricrea. Bare Essence mi ha commosso per la sua semplicità, specie in alcune sequenze di dialogo e nella personalità del protagonista, la quale, per quanto si cerchi di scavare, rimane un mistero, circondata da una purezza difficile sia da imitare, sia da contenere.

Ho visto il film in lingua originale (sottotitolato in inglese), cosa che mi ha fatto gradire ancora di più i toni, i silenzi ed il modo pacato e singolare della recitazione. È un film che fa sorridere e allo stesso tempo sussurra un leggero grado di inquietudine, perfetto con la sua deliziosa colonna sonora. Memorabile la scena tra Jojin e il defunto Kaname.

La frase: “Voglio solo diventare il tuo qualcuno speciale”.

Annamaria Scale