C’mon C’mon: Joaquin Phoenix dialoga con i bambini

Diretto da Mike Mills e presentato in anteprima alla sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, C’mon C’mon è una garbata storia dedicata al dialogo con i bambini.

Un bianco nero vecchio stile per raccontare la storia di un intervistatore radiofonico molto solitario che si ritrova a badare al figlio della sorella, la quale si deve occupare del marito affetto da disturbi mentali.

Una storia piena di imprevisti e intrecci familiari per narrare in modo gentile e pacato un dialogo tra generazioni, dando voce questa volta a chi di solito non ne ha mai : i bambini. Un film confezionato con professionalità cui Joaquin Phoenix contribuisce a dare la giusta risonanza tramite la sua interpretazione. Stiamo comunque parlando di quel cinema indipendente tanto caro al Sundance. Tutto nel lungometraggio è ben studiato, forse anche troppo. Il bianco e nero, la musica, l’atmosfera, i bambini, in particolare il giovanissimo Woody Norman, che a volte ruba la scena perfino al navigato Phoenix. Insomma, C’mon C’mon è un film “perfettino”, per usare un vezzeggiativo, che, però, mostra i suoi limiti proprio nella scelta quasi documentaristica, del suo protagonista, di viaggiare per tutto il territorio americano con lo scopo di intervistare i più giovani di ogni estrazione sociale sul loro futuro.

Viene quasi da pensare con ironia che il viaggio andava effettuato in paese più remoti e ben più disagiati rispetto agli Stati Uniti. In realtà, sembra che all’esile sceneggiatura interessi solo la carica emotiva per sedurre le spettatrici ricorrendo agli occhi di un bambino uniti agli occhioni di Phoenix. Il classico film telefonato e costruito a dovere per soddisfare il pubblico “colto”, come già accennato, attraverso la giusta carica emotiva, con l’aggiunta del bianco nero che fa tanto elaborato impegnato. In verità, però, i migliori film della storia del cinema sono in bianco e nero per precise scelte stilistiche. Quest’ultimo, quindi, non è il caso di C’mon C’mon, che alla fine risulta essere semplicemente quel tipo di prodotto definito dallo spettatore medio “carino”. Vorremo scrivere di più in negativo, ma almeno al regista vanno riconosciuti l’impegno profuso e la scelta astuta del protagonista attira-pubblico. Lo attendiamo alle prese con altre prove e, per ora, archiviamo questa tra quelle strane che facilmente dimenticheremo.

 

 

Roberto Leofrigio