Cocainorso: la Banks e la bestia

Prima ancora che una didascalia ci avvisi del fatto che il film a cui stiamo assistendo è basato su fatti veri, è una gag in volo ad aprire Cocainorso, che segna il ritorno dietro la macchina da presa per l’attrice Elizabeth Banks, a quattro anni dal Charlie’s angels del 2019.

Del resto, immersa nella Georgia del 1985, la oltre ora e mezza di visione prende le mosse da un fatto realmente accaduto proprio allora, quando un orso bruno ingerì un carico di cocaina perduto da un corriere della droga in un incidente aereo.

Ma, se nella realtà il povero mammifero morì, nel lungometraggio in questione finisce per cominciare ad aggirarsi nella foresta in cerca di altra polverina bianca e di fauna umana da sgranocchiare.

Fauna umana qui rappresentata da poliziotti, criminali, turisti e adolescenti tra i quali troviamo la Keri Russell di Star wars – L’ascesa di Skywalker, l’O’Shea Jackson Jr. di Straight outta compton, l’Alden Ehrenreich di Solo: A star wars story e il compianto Ray Liotta nella sua ultima apparizione (non a caso, il lungometraggio è dedicato a lui).

Quindi, siamo nell’ambito di un titolo che si inserisce in quella branchia del filone eco-vengeance (costituito da opere incentrate su animali assassini) comprendente, tra gli altri, il riuscito Grizzly – L’orso che uccide di William Girdler e dimenticabilissimo Claws di Richard Bansbach e Robert E. Pearson.

Anche se, riservando in particolar modo la sua prima parte alla presentazione dei personaggi, pur non mancando di splatter a suon di arti mozzati, interiora in bella vista e materia cerebrale schizzante Cocainorso intende in maniera evidente non prendersi mai troppo sul serio per collocarsi nell’ambito della dark comedy. E, mentre annovera tra i suoi migliori momenti quello dell’arrampicamento sugli alberi, dispensa anche una folle corsa in ambulanza e una situazione finale tra le cascate trasudante un tenore da avventura destinata al pubblico dei ragazzi.

Un dettaglio, quest’ultimo, che non può fare a meno di testimoniare ulteriormente l’indecisione da parte della Banks sulla strada da imboccare, in quanto l’operazione, sebbene guardabile, spinge sul pedale dell’horror per quanto riguarda le immagini violente, ma, al contempo, cerca di rimanere nei binari del prodotto mirato alla risata.

Evitando esagerazioni demenziali che, magari, avrebbero invece giovato a Cocainorso, di conseguenza costruito su un ritmo narrativo perennemente incerto e approdante, oltretutto, ad un epilogo eccessivamente aperto e difficilmente appagante per i fan di questa tipologia di racconti in fotogrammi.

 

 

Francesco Lomuscio