CON LA NONA SINFONIA, FINISCE SINFONICA 3.0

Con la Nona Sinfonia (in re minore op.125) di Beethoven, si è conclusa ieri Sinfonica 3.0, la stagione concertistica 2015 dell’Orchestra Sinfonica Rossini, l’orchestra della Provincia di Pesaro e Urbino (sedi a Pesaro e Fano).

Com’é noto, la Nona sinfonia è considerata uno dei più grandi capolavori del Compositore tedesco (Bonn, 1770- Vienna, 1827), oltre che  la più grandiosa composizione musicale mai scritta.

Difficile trovare un finale più intrigante, anche se particolarmente impegnativo per tutti gli elementi dell’orchestra. Sul podio il direttore principale Daniele Agiman (l’OSR collabora stabilmente con Massimo Quarta in veste di direttore stabile, Roberto Molinelli quale direttore per l’innovazione e Noris Borgogelli, neo direttore artistico).

Sul palco si è esibito anche il Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini (M°Mirca Rosciani) e quattro straordinari solisti: Marina Bucciarelli (soprano), Clara Calanna (mezzosoprano), Masahiro Shimba (tenore), Enrico Marabelli (basso).

E’ interessante la storia di questa sinfonia commissionata nel 1817 dalla

Società Filarmonica di Londra: fu compiuta tra l’autunno del 1822 ed il febbraio 1824 (data di completamento dell’autografo). L’autore era completamente sordo (lo era fin dal 1819).

La prima rappresentazione avvenne il 7 maggio 1824 presso il Theater am Kärntnertor di Vienna. Fu la prima apparizione sul palco del compositore dopo 12 anni: la sala era gremita di un pubblico entusiasta ed un gran numero di musicisti.

La première coinvolse la più grande orchestra mai riunita dal Compositore: richiese gli sforzi combinati della Kärntnertor house orchestra e della Società musicale di Vienna Gesellschaft der Musikfreunde).

Le parti per soprano e contralto furono interpretate rispettivamente da Henriette Sontag e Caroline Unger, entrambe ingaggiate personalmente dal Musicista. Henriette aveva all’epoca diciott’anni e Caroline poco più (ventuno) anche se non era una neofita: già nel 1821 si era guadagnata ottime critiche dopo la sua apparizione nel Tancredi di Rossini. Dopo essersi esibita a Vienna, divenne famosa in Italia e Parigi: Donizetti e Bellini scrissero ruoli specifici per la sua voce.

La performance fu ufficialmente diretta da Michael Umlauf, Maestro di cappella del Teatro ma lo stesso Beethoven volle condividere il palco con lui. Due anni prima, Umlauf aveva assistito al tentativo -da parte del Compositore -di dirigere la prova generale di Fidelio : un autentico disastro!

Per l’occasione, quindi, Umlauf istruì cantanti e musicisti affinché ignorassero il Maestro che voltava le pagine della partitura e batteva il tempo per un’ orchestra che non poteva udire.

Sulla serata ha un’opinione completamente diversa il violinista Joseph Böhm: “Beethoven diresse il pezzo lui stesso; cioè, si trovava davanti al leggio e gesticolava furiosamente. A volte si alzava, altre si stringeva fino al suolo, si muoveva come se volesse suonare tutti gli strumenti da sé e cantare per conto dell’intero coro. Tutti i musicisti prestavano attenzione soltanto al suo ritmo mentre suonavano”.

Tutti concordano sul fatto che fu un grande successo. Il pubblico accolse il Maestro con il massimo rispetto e deferenza, ascoltò la sua opera con grande attenzione e scoppiò in applausi scroscianti anche durante le varie sezioni. Per cinque volte lo acclamò con una standing ovation. Furono lanciati in aria fazzoletti e cappelli mentre mani e braccia si muovevano da una parte all’altra, di modo che l’autore -che non riusciva a sentire gli applausi- potesse almeno vedere i gesti di ovazione.

Divisa in 4 movimenti, l’opera dura 70 minuti. La parte corale include brani dell’ode An die Freude (Inno alla Gioia) di Friedrich Schiller, collocata nel quarto e ultimo movimento (i primi tre tempi sono esclusivamente sinfonici). Nell’ode, la gioia è intesa non come semplice spensieratezza o allegria, ma come risultato a cui l’uomo giunge verso la fratellanza, seguendo un percorso graduale e liberandosi dal male, dall’odio e dalla cattiveria.

Durante la divisione della Germania, l’Inno è stato utilizzato dalla  Squadra Unificata Tedesca durante i Giochi Olimpici svoltisi tra il 1956 e il 1968.

La versione strumentale (senza coro) è stata  adottata nel 1972 come Inno europeo dal Consiglio d’Europa e successivamente dalla Comunità Europea (ora Unione Europea)  nel 1985.

Dal 1974 al 1979 é stato anche l’inno della Repubblica di Rhodesia durante il  governo segregazionista di Ian Douglas Smith con il testo Rise, O Voice of Rhodesia“.

Forse non tutti sanno, però, che é stata  utilizzata nel calcio, nel cinema e che compare anche nella letteratura.

Sotto il profilo calcistico, dal 2005  il coro del quarto movimento é utilizzato come inno ufficiale della Copa Libertadores (l’omologa della Champions League europea), mentre dal settembre 2014 una versione strumentale (riarrangiata di un frammento del quarto movimento) é divenuta  sigla di apertura e chiusura delle partite di qualificazione al Campionato Europeo di Calcio 2016 e del Russia 2018, oltre che delle trasmissioni ad esse correlate.

Il cinema vi ha attinto largamente: figura infatti nella colonna sonora di  Arancia meccanica di Stanley Kubrik (1971), Armata immortale di Bernard Rose (1994), Io e Beethoven di Agnieszka Holland (2006), Lezione ventuno di Alessandro Baricco (2008), Departures di Yojiro Takita (2008), Whatever Works di Woody Allen (2009), Warrior di Gavin O’Connor  (2011) e L’era glaciale 4 di Steve Martino e Mike Thurmeier (2012).

La sinfonia n. 9 figura anche nella letteratura:  è citata in un famoso brano del romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, in cui Mitija (uno dei personaggi principali) afferma: Vedo che la Nona sinfonia non è possibile, intendendo dire di non credere ad una fratellanza universale tra gli uomini.

Per completare la serata, l’OSR ha suonato La mia Città, inno scritto dal musicista Riz Ortolani e dedicato a Pesaro, la sua città natale. L’inno ha aperto il  concerto di Capodanno tenutosi il 1° gennaio scorso ed ha chiuso l’edizione 2015 di Sinfonica 3.0. Decisamente una bella serata, lungamente applaudita dal pubblico.

Un grazie sincero all’Orchestra, all’impegno del suo Presidente Saul Salucci e del direttore generale Bruno Maronna  che hanno curato, organizzato e gestito una bella stagione concertistica (ahimé, troppo breve!) assicurandole un successo puntuale e meritato.

Paola Cecchini