Queste sono le interviste che ci piacciono. Da cui prendere spunto, riflessioni, segnarci un libro sul taccuino e aprirci ad un vedere altro che non sia quello abitudinario delle nostre percezioni prevedibili a priori. Ustioni, lineari, dunque innocue al momento, forse… certamente dolore nel tempo in cui seminano quella che la vita chiama esperienza. Gianluca D’Ingecco in arte D.In.Ge.Cc.O. ci regala un viaggio eversivo e lisergico dentro questo “Linear Burns”, eccentricità elegante e raffinata dove si mescolano suoni digitali provenienti da radici fusion, jazz, house e qualche recondito tempo passato di dancefloor. Spesso è il tempo lento a segnare il passo di un disco che ha per visioni le metamorfosi del sentire… e qui, dentro richiami di nobile bellezza, ci si perde a voler dare sempre una chiave di lettura a queste che sono scritture altre della scena creativa di questo nostro bel paese…
Noi parliamo spesso di bellezza… partiamo da qui, non da quella sfacciata da mostrare in copertina. Per Gianluca D’Ingecco cos’è la bellezza?
Da appassionato di filosofia e lettore infaticabile di testi filosofici anche di autori contemporanei, ti posso dire che tra di essi, su questo tema, è il pensiero di James Hillman quello che più mi ha colpito.
J.Hillman (filosofo e psicoanalista statunitense), riportando in vita un immaginario fatto di archètipi, caratteristico della sua filosofia, partendo proprio dal pensiero degli antichi greci, arriva alla conclusione che la bellezza è intrinseca ed essenziale all’anima. La bellezza quindi appare ovunque appaia l’anima. La bellezza è il modo in cui gli Dei (e qui parliamo, appunto, di archètipi) toccano i nostri sensi, è il tocco di Afrodite (Dea della bellezza per gli antichi greci) che unisce la percezione dei particolari in un unicum, legame estetico tra il cuore e i sensi. Secondo Hillman l’estetica non a caso, deriva dal greco “Aesthesis”, la cui radice significa “l’assumere” nel senso di prendere a cuore, interiorizzare e significa anche “l’inspirare”, nel senso di sentirsi appagati, quel “rimanere senza fiato”. Il pensiero del cuore, per Hillman, vivifica il mondo e la vita stessa, quindi la bellezza è una necessità per il mondo, non è un attributo. Il sorriso di Afrodite è una gioia che è per sempre e che quindi è in grado di essere eterna e di sconfigge la morte.
Questa bellissima ed affascinante teoria, che ho cercato di riassumere, a grosse linee, è espressa nel bellissimo libro dal titolo “L’anima del mondo e il pensiero del cuore” (in Italia ed. Garzanti 1993 poi Adelphi 2020).
Ecco io mi ritrovo molto in questa idea di “bellezza”. Quando qualcosa ci tocca nel profondo, quando ci fa “apparire l’anima”, quando una rappresentazione esterna si connette con qualcosa che è dentro di noi, ci connette con il cuore e viene toccata dal sorriso di Afrodite, che unifica i particolari per mostrarci le connessioni del tutto, allora ci troviamo di fronte alla bellezza. Anche nell’arte è così ed in particolare nella musica, che lo stesso Aristotele definiva la più nobile delle arti perché arriva diretta all’anima senza intermediazione alcuna. Se una concatenazione di suoni ti tocca nel profondo e ti fa emozionare, ti tocca l’anima ed è in quel momento che si manifesta la bellezza.
Per permettere però ad Afrodite di mostrare il suo sorriso, è necessario non essere chiusi ma essere ricettivi, aperti qual tanto per cui si è in grado di riceverla questa bellezza. Sono convinto che ognuno di noi ha una propria sensibilità, sviluppatasi e modificatasi anche nel tempo, la quale determina il grado di apertura e ricezione alla bellezza. L’intelletto, di certo, ha anch’esso un ruolo nel determinare il livello della capacità di percezione della bellezza, perché comunica direttamente con il cuore e con la memoria, con l’esperienza, anch’essa fondamentale in questo senso. In fondo, la bellezza, non è altro che il mezzo attraverso il quale ogni essere pensante percepisce la vita, entra nella vita, si sente vivo, comprende a fondo il proprio attaccamento all’esistenza così come quello di tutte le cose.
Al tuo percorso artistico associo tantissimo il viaggio, la scoperta di altro… un po’ come nel messaggio di “Foreign Doors”… che sia li annidata la bellezza?
Il tema del viaggio è imprescindibile dalla ricerca della bellezza. Mi riferisco sia al viaggio in senso fisico, reale, che al viaggio interiore o immaginario. È, infatti, proprio attraverso il viaggio che, ognuno di noi, può trovare la bellezza così come suggerivi tu nella domanda. Ma qui torniamo a quello che dicevo prima. Il viaggio va voluto, cercato, desiderato e bisogna prepararsi al viaggio. Oggigiorno, ma possiamo dire ormai da diverso tempo, il sistema che abbiamo costruito ci costringe ad una vita sempre più sedentaria in senso sia fisico che mentale, fatta di routine, di dinamiche che si ripetono sempre uguali, di problematiche che ci assorbono tempo e spazi, che ci impediscono di fermarci un attimo a riflettere su cos’è realmente la nostra vita, su dove stiamo andando e perchè. La civiltà dei consumi ci ha fatto regredire ad uno stato di incoscienza che ci ricorda molto le dinamiche del film “Matrix”, dove tutti vivevano una vita da dormienti, una vita programmata e decisa da qualcun altro. Tutto ciò che è trascendente, che è stimolo alla riflessione su temi alti e filosofici quali, appunto, il senso stesso della nostra esistenza temporale, viene considerato come superfluo, come disturbante, come inutile. Questo stato di cose ci porterà, col tempo, a svalutare, sempre di più, l’importanza del nostro lato spirituale, della cultura, della conoscenza che ci aiuta a farlo emergere, dell’arte, che ci aiuta ad apprezzarlo e quindi, di conseguenza, del grande dono della bellezza.
Oggi il senso del possesso prevale sul valore di tutte le cose. I modelli di riferimento che ci vengono proposti dal sistema che abbiamo costruito, sono prettamente materiali e sempre più irraggiungibili. Modelli che creano frustrazioni in chi non ha gli strumenti per poter nemmeno immaginare di raggiungerli. Possedere un’automobile di lusso, fidanzarsi con una ragazza dal fisico perfetto come quello di una modella, i soldi, che possono tutto, unico mezzo attraverso il quale si può realizzare la propria affermazione sociale, la libertà e la felicità, tutto questo sta creando generazioni di ragazzi frustrati che non riescono a vedere davanti una via alternativa, un diverso modello da dare all’esistenza perché i riferimenti che hanno sempre avuto, non sono altro che quelli che non potranno mai raggiungere e quindi sono, al tempo stesso, la causa della loro principale angoscia esistenziale che spesso sfocia in una totale indifferenza verso tutto ciò che li circonda, compreso il prossimo. Gli atti di violenza insensata e brutale, che sono stati troppo spesso oggetto di molti fatti di cronaca, anche recenti, sono figli di questo vuoto esistenziale.
Ecco perché dobbiamo cercare di veicolare nel sistema, una scala di modelli di riferimento alternativi, capaci di far tornare la gente ad interrogarsi, fondamentalmente, sul senso stesso della propria vita.
L’elemento di rottura, contro questo stato di cose è appunto, metaforicamente, rappresentato dal viaggio. L’idea che è possibile muoversi, cambiare, tornare a pensare al senso delle cose che stiamo facendo, cercando dentro noi stessi, riprendendo il viaggio verso la ricerca di noi stessi.
In questo senso, le porte straniere di “Foreign Doors”, sono appunto quelle porte che, durante la nostra esistenza, dobbiamo necessariamente aprire ed attraversare, soprattutto se ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non va. Rappresentano sia quelle porte che dobbiamo aprire per affrontare un cambiamento necessario, sia quelle porte che dobbiamo aprire per affrontare quegli elementi negativi della nostra esistenza che non volevamo vedere ed accettare e che tenevamo al chiuso nella speranza che, non vedendoli, cessassero di esistere.
Ma il viaggio è anche la metafora dell’apertura verso il mondo, della scoperta di “altro” come dicevi tu; è la curiosità di conoscere il prossimo, culture diverse, pensieri diversi, soprattutto il prossimo che soffre e che è in difficoltà, anche se si trova a centinaia di km da noi, di ascoltarne i lamenti, le esigenze, di comprenderne i problemi. Chiudersi alla conoscenza di ciò che è diverso da noi non può che portarci ad un mondo sempre più caratterizzato dai fanatismi, dalle disuguaglianze e dall’ingiustizia. Di fronte a questo, all’indifferenza verso il prossimo, all’emarginazione delle differenze e delle diversità, non c’è bellezza che si possa palesare.
Il mondo digitale che ti porti dentro… mai pensato che potesse essere acustico, dentro oggetti quotidiani? Penso sempre a Franco Fais, che cercava il suono nella pietra…
La possibilità di cambiare i suoni, di costruirli addirittura, di crearli, di modificare, timbro, intensità, profondità al suono, è una delle caratteristiche rivoluzionarie portate dalla musica elettronica e digitale. La tecnologia ha introdotto il cambiamento più significativo nella storia della creazione di strumenti generatori di suoni, dall’epoca dell’invenzione del pianoforte. Ha inoltre permesso, per la prima volta nella storia dell’umanità, di rivoluzionare completamente la modalità di fruizione della musica da parte dell’uomo con l’invenzione della musica reiterata. La possibilità di incidere la musica, in un vinile, in un nastro e poi in tutte le forme audio oggi possibili (cd, mp3, ecc) ha cambiato proprio l’approccio dell’essere umano con la musica stessa. Oggi posso ascoltare il “Don Giovanni” di Mozart, ovunque, in qualunque posto, in qualsiasi momento, senza portarmi dietro un’intera orchestra, tenore e soprano compresi. Forse noi non ce ne rendiamo conto, perché siamo cresciuti nell’epoca della musica reiterata, ma prima del 20 secolo, l’unica possibilità concreta che si aveva per ascoltare musica classica o l’opera lirica, era andare ad ascoltarla dal vivo, nei teatri, ed era una cosa che si potevano permettere in pochi. C’era una grande discriminazione tra la musica dei ricchi e quella dei poveri, perlopiù fruitori di musica popolare, nel senso di folcloristica o strimpellata da suonatori di strada o suonata in teatri di serie b in modo approssimativo. La musica reiterata è stata una delle più importanti rivoluzioni democratiche dovute alla tecnologia. Ha cambiato la storia del costume ed ha reso la musica uno strumento potentissimo di comunicazione proprio perché universale e fruibile da tutti. La radio, la televisione ed oggi internet hanno sempre di più ampliato la possibilità di ascoltare la musica, senza limiti o confini tanto che non riusciamo ad immaginare più, un momento, della storia contemporanea, che non abbia la sua colonna sonora. Pensiamo al movimento beat e al ’68 ad esempio, al rock e a quello che ha rappresentato, divenendo il simbolo dell’emancipazione dei giovani dalle rigide regole borghesi dei genitori dagli anni 50 ad andare avanti.
La musica reiterata ha anche cambiato il modo di evocare sensazioni nella musica. Registrazioni di suoni della natura, di rumori di strada, sono stati utilizzati da musicisti colti e pop. Penso al precursore Maderna e al suo “Musica su due dimensioni” (anno 1958, in cui vengono utilizzati dei nastri magnetici stereofonici insieme al flauto ed a elementi classici), o a “St. Pepper” dei Beatles volendo citare uno dei capolavori rivoluzionari della pop music.
La nascita dei sintetizzatori segna, invece, un altro passaggio epocale, ovvero il passaggio alla creazione vera e propria di suoni, generati da una macchina. Ed è, appunto, una nuova rivoluzione per la musica. Oggi si possono creare suoni di ogni tipo attraverso la tecnologia. Anche suoni che si avvicinano molto agli strumenti acustici o comunque in grado di evocarne le suggestioni.
Ho fatto questa premessa per arrivare a dire che ogni strumento è figlio della propria epoca e la rappresenta. Alla base di tutto però c’è sempre la creatività dell’uomo che usa gli strumenti che il suo tempo gli mette a disposizione. Alcune suggestioni generate dagli strumenti elettronici non avrebbero, di certo, lo stesso impatto emotivo se pensati in versione acustica, ma questo non vuol dire che non possano funzionare lo stesso, trasferendo un altro tipo di immaginario all’ascoltatore. Percuotere dei bidoni metallici non traduce, in qualche modo, il beat di una batteria elettronica? Era solo un esempio già sperimentato da tempo(penso ai primi Depeche Mode e all’industrial o a Les Tambours du Bronx). Ritmica, armonia, melodia di una composizione di musica elettronica, possono sicuramente essere rappresentati in forma acustica, cambiando però aspetto, in qualche modo, estetica. La natura, in fondo, raccoglie in se tutti i suoni del mondo e non sarebbe impossibile sostituire i suoni generati da una macchina con altri, esistenti in natura, che ne evochino le analoghe suggestioni. Di sicuro il risultato sarebbe qualcosa di diverso ma non per questo meno accattivante agli orecchi di un ascoltatore, come suggestivi sono i suoni generati dalle Pietre Sonore di Pinuccio Sciola, magistralmente e poeticamente raccontate nella rappresentazione visiva di Franco Fais.
Natura contro industrializzazione. Secondo te chi vince?
La lotta è sempre impari perché vince sempre la natura che al massimo distrugge e rigenera. Siamo convinti di essere onnipotenti ed indispensabili ma la natura ha vissuto prima di noi e senza di noi e continuerà ad esistere quando l’uomo non ci sarà più. Quello che dobbiamo comprendere è che, questa nostra caratteristica di spingerci sempre oltre il limite e di sentirci onnipotenti, può portare a grandi conquiste come a grandi catastrofi. Io ho comunque sempre creduto nell’armonia tra industrializzazione e natura, tra progresso e miglioramento delle condizioni di vita sul nostro pianeta e ci credo ancora. Dipenderà dai governanti del mondo occidentale, dalla sensibilizzazione che la comunità mondiale avrà per certe tematiche e da come riusciremo a costruire un nuovo modello economico, perché il mercato, ha dimostrato, che non riesce a regolarsi da solo e che oggi c’è bisogno di un’economia più sostenibile che sia capace di tutelare e proteggere la natura ed il mondo in cui viviamo. Sono fiducioso in tal senso perché molto si sta già muovendo verso questa direzione e perché sono soprattutto i giovani i più sensibili verso certi temi. Io credo che attualmente si stanno gettando le basi per un grande cambiamento verso un sistema economico più sostenibile. Le grandi industrie ed in generale i grandi attori del sistema economico, hanno capito che l’investimento verso politiche di economia sostenibile e anche attenta al benessere delle risorse umane, dei lavoratori, alla lunga paga, anche da un punto di vista economico. E necessario dare corpo ad una “new economy” che abbandoni l’idea del profitto come ultimo e unico obiettivo ma che sia volta ad eliminare le disuguaglianze sociali creando un sistema più a misura d’uomo, più attento ai temi ambientali e alla redistribuzione equa delle risorse.
Quello che mi preoccupa è questo momento storico di transizione, perché quando un sistema socio economico è in crisi e in procinto di cambiare, ci sono sempre forze reazionarie che tentano l’ultimo colpo di coda cercando di approfittare di un tessuto sociale fragile e duramente provato, facendo leva sulle necessità e le paure della gente che non riesce ancora a percepire il beneficio di un cambiamento ancora in fieri. E non c’è da biasimarla. Oggi le povertà sono aumentate come le disuguaglianze e le ansie di intere fasce della popolazione mondiale. La pandemia ha creato una nuova onda di recessione che però può essere combattuta e rilanciare il sistema, nel suo complesso, verso una nuova fase di rinascita. Per fare questo è necessaria l’autorevolezza delle grandi democrazie. Gli Stati Uniti D’America e l’Europa in primis. Sono loro che devono guidare questo processo ma con molta attenzione nel cercare di dare risposte concrete a quella popolazione che sta subendo sulla pelle gli effetti di una recessione che va avanti ormai da troppi anni. E l’Europa, soprattutto, dovrà essere lungimirante e flessibile, distruggere quel cappotto di austerità che si era cucita addosso negli ultimi anni e che l’hanno resa così distante dai cittadini e seguire la strada delle solidarietà. Solidarietà verso le fasce più deboli del proprio tessuto sociale, appunto, i giovani in primis, che sono stati e continueranno ad essere i primi a subire gli effetti del procrastinarsi di questa crisi economica. Se l’Europa non comprenderà che oggi, più che mai, è necessario dare forza a politiche solidali, sarà condannata al suicidio.
Lnear Burns”… come dire che ustionarsi è automatico, come lineare, come dovuto?
Si è un po’ questa l’idea. Durante un percorso di vita alcune esperienze, positive o negative che siano, lasciano tracce, ti segnano in modo indelebile. Alcune di queste ferite, invece, le assimili e allora divengono parte di te, del tuo modo di essere, di pensare, di fare. Sono, appunto, ustioni lineari, nel senso che pur essendosi impresse nella pelle, o in senso figurato nell’anima, lo hanno fatto con criterio, arricchendo l’immagine che hai di te, in un certo senso formando l’immagine del tuo divenire. Spesso, quando si è in continuo movimento, quando si sente la necessità di una propria evoluzione (per dirla con le parole di Franco Battiato in “segnali di vita”), è inevitabile che si subiscano ferite, che ci si scotti, che ci si trovi spesso di fronte a qualcosa che necessariamente ti cambia, cambia il tuo modo di vedere le cose, il rapporto con gli altri, il rapporto con la tua esistenza, con Dio, per chi è credente. Fa parte della ricerca di se stessi, sopportare le fasi del cambiamento. Perché ogni cambiamento viene preceduto da un lutto, ovvero dall’abbandono di una parte di te stesso e questo processo, inevitabilmente, ti segna. Ma dato che questo cambiamento l’hai voluto, l’hai fatto in modo consapevole e volontario, ti segna in modo lineare, coerentemente con il cammino che hai deciso di fare e con le scelte che hai preso.
“Linear Burns” è un lavoro che ha voluto cogliere quest’aspetto della mia evoluzione interiore ed artistica. Un lavoro che contiene tutta una serie di suggestioni, musicali e non, che mi hanno cambiato o hanno segnato il mio percorso. Suggestioni anche ironiche, positive, critiche e mai disinteressate al divenire del mondo, così come lo vedo io, oggi.
È un lavoro molto intimista, per certi versi, ma con la luce sempre accesa verso l’osservazione di quello che ci circonda, delle dinamiche dei comportamenti delle persone, della società in cui viviamo e tutto questo ho cercato di tradurlo in un immaginario sonoro e musicale che nasce nel tentativo di evocare luoghi esotici e lontani, reali e interiori, altri prettamente urbani ed altri puramente immaginari. Rappresenta un quadro d’insieme delle impressioni e suggestioni di tutti i posti che ho visitato con il corpo, con l’anima e con l’immaginazione.
A chiudere torniamo a parlare di bellezza in senso estetico: colta e nostalgica la citazione di “Shining” nel video. Perché?
Ho sempre adorato quel film, per la cura della fotografia, i colori, le atmosfere, la sorprendente capacità di coinvolgere e scioccare. Malgrado il film abbia più di 40 anni, è un film che è invecchiato benissimo, anzi, come tutte le opere d’arte, non è invecchiato affatto, rimane li, immobile e senza tempo, a farsi ammirare. Nel video di “Foreign Doors”, ho voluto richiamare quelle atmosfere perché quel modo di fare cinema, fatto di evocazioni per immagini, rispecchia molto il mio modo di fare musica, per carità, con tutti i distinguo del caso perché, nel caso di Kubrick, parliamo di un grande di tutti i tempi che sarà ricordato come il Michelangelo Bonarroti del cinema.
Comunque, come dicevo, quel modo di evocare situazioni e stati d’animo attraverso le immagini, i silenzi, gli sguardi, gli arredi, la minima cura dei particolari, lo vedo molto attinente al mio modo di fare musica che vuole essere, per sua natura, evocativa.
Nel video ci sono diversi personaggi che ho ritenuto perfetti per l’idea che avevo di tradurre in immagini alcune suggestioni, un po’ retrò nel suo ricordare atmosfere di altri tempi, malinconiche e a tratti decisamente noir.
Nello specifico: La nobildonna così raffinata che sembra però totalmente assente rispetto al mondo che la circonda, quasi vivesse una vita a parte, nell’indifferenza di tutto ciò che le accade intorno. Ha attenzioni solo per il suo piccolo barboncino e quando il giovane cameriere cerca di accarezzarlo in ascensore, con l’idea di fare un gesto gentile, anche forse per uscire dall’imbarazzo di quel momento così silenzioso, riceve un gesto di diniego quasi ieratico che non può che ferirlo, umanamente parlando, segnando un’invalicabile distanza, quasi insopportabile, tra i due mondi e i due ceti sociali. E allora si concretizza l’idea omicida del giovane servitore in livrea che, un po’ come il Joker di Todd Phillips, chiede solo di essere notato, perché anche lui esiste e non è una comparsa nel palcoscenico della vita. Rimane vittima, anche lui, della società dell’immagine e delle apparenze dove ciò che più conta è riuscire ad essere visti dal agli, essere notati dagli altri.
Tuttavia il giovane non aveva fatto i conti con le leggi karmiche: un vecchio detto popolare dice che se fai del male agli altri, poi, quello stesso male, ti tornerà indietro con gli interessi.
E così, le azioni del giovane cameriere omicida, col suo ghigno folle, avrebbero dovuto, prima o poi, trovare un castigo, come se fosse nell’ordine universale delle cose.
E qui arriviamo alla palese citazione di Kubrick: La scelta surreale del richiamo esplicito di quella che, forse, è una delle scene più terrificanti e memorabili di Shining, rappresenta questo castigo, inquietante, imponderabile, imprevedibile, soprannaturale, ma anche ricco di una raffinatezza estetica affascinante. La fine che farà il giovane omicida si può solo immaginare ma non lascia presagire, affatto, nulla di buono; sappiamo che non si salverà da una punizione terrificante…di una punizione sovrannaturale…e l’allegro “zompettare” delle gemelline, nel finale, per i corridoi del grande hotel, accompagnato da una tradizionale filastrocca per bambini, fa intuire che, grazie a quel castigo, è stato ritrovato l’equilibrio nel naturale ordine delle cose.
È l’ironia dark dell’estetica di Shining. Il finale coinvolge lo spettatore e gli fa pensare, con un ghigno di soddisfazione simile a quello del giovane cameriere omicida di “Foreign Doors” o del Jack Nicholson della foto di gruppo all’Overlook Hotel del 1921: beh, se l’è meritato!
Sono felice che tu abbia ritenuto questa citazione colta e nostalgica, un giudizio che inquadra un po’ anche il pezzo in questione.
È tutta una questione di estetica, in fondo e della sensibilità di che è in grado di apprezzarla.
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