DeaR – Out of Africa

DeaR (alias Davide Riccio) noto conoscitore di musica, anima pulsante della webzine Kult Underground, pubblica il 31.12.2021 il nuovo album “Out of Africa”. Da dove nasce questo disco e come mai la scelta di farlo uscire l’ultimo giorno dell’anno?

¡Hola! Il disco nasce a casa mia, composto e registrato tra aprile e giugno del 2021, durante un lungo periodo di malattia e il suo temporaneo superamento. Quindi è stato come un punto, un possibile ultimo mio lavoro e… “what’s done is done”, quel che è fatto è fatto. Ho provato a guardarmi indietro, coi miei 40 anni di musica sotterranea a cercarne le radici più personali, così da riprendere in mano il presente, con più coraggio e lucidità. E forse, in quel momento disperato, anche e ancora un qualche futuro. La musica è stata più importante che mai per me in quel momento. L’Africa, che è alle radici di tutta l’umanità e, attraverso gli afroamericani, di buona parte della musica moderna, è stato un buon pretesto per voltarmi a guardare indietro: go back and get it! come dice il Sankofa: torna indietro e, con tutto il cuore, riprenditi il passato e ciò che hai dimenticato. E questo anche per tornare alle radici stesse della musica in generale. Naturalmente è un simbolo che nasce dal movimento panafricanista. Ma questo è un aspetto che mi interessa meno, poiché per altro il panafricanismo (come canto in “I am from Babylon”) non lo credo un progetto possibile. Il simbolo del sankofa è un uccello con la testa rivolta all’indietro mentre sta per prendere un uovo dalla sua schiena. Una variante del simbolo, anch’esso rappresentato sulla copertina, è l’adinkra ed è simile al cuore. L’uccello è stato stilizzato da una pennellata dell’artista Leonardo Di Lella come uno ensō, soggetto della calligrafia giapponese zen che simboleggia l’illuminazione, l’universo assoluto, l’infinito, il tutto e il niente. Mentre componevo e registravo “Out of Africa”, a giugno del ’21, usciva il mio doppio cd “New Roaring Twenties / Human Decision required” con la New Model Label, che vi invito ad ascoltare su Spotify ecc. Volevo che “Out of Africa” uscisse entro il 2021 e Music Force c’è riuscita. Che sia successo proprio il 31 dicembre è stata una bella conclusione a un anno molto travagliato, sicuramente intenso. Ma anche l’inizio di un altro anno e chissà? Una sorta di Giano “bifronte” tra passato e futuro.

Questo non è un disco, ma una grand’opera… è azzeccata come definizione?

Tutti i miei lavori sono una mia più nascosta ricerca della Grande Opera, un itinerario alchemico e iniziatico, un bisogno di metamorfosi personale, però non solo spirituale. Sono lieto che tu vi abbia intravisto questo aspetto, il più celato dei diversi strati di cui è composto “Out of Africa”. La simbologia alchemica mi ossessiona fin da ragazzo, da quando cioè lessi Rimbaud. Quindi la risposta è: non posso affermare che sia la Grande Opera, ma un continuare a cercarla. E l’uovo del sankofa qui potrebbe anche essere l’uovo filosofale, o l’uovo orfico, l’uovo come microcosmo che contiene il macrocosmo. E l’uccello una fenice. Lo ensō un uroboro. E l’Africa il mito cosmogonico, la Grande Madre. Cercare, cambiare, rinascere…

Ritmi africani, reggae, ma anche musica alternative nelle 19 tracce che uniscono “Out of Africa”, di che genere parliamo nello specifico? O di un insieme di più generi?

Country blues con la slide, tribal e highlife, folk ed elettronica, ambient e rock, habanera, reggae o trip hop (questi alcuni dei generi in “Out of Africa”), i generi musicali sono ingredienti (forme, colori ecc.) come altri nella composizione e nell’arrangiamento e non mi precludo mai a priori di provare a fare qualcosa anche usando generi musicali che penso non essermi congeniali o che non mi sono mai piaciuti particolarmente, come per esempio il reggae. Ho però bisogno di esplorare i diversi linguaggi della musica e di vedermici attraverso, per capirli meglio e forse conoscere anche qualcosa in più di me stesso che mi resterebbe sconosciuto se usassi sempre gli stessi ingredienti o elementi. Un esempio è il brano conclusivo “In the beginning (A pigmy prayer)”, realizzato con la sintesi granulare, una tecnica mai esplorata prima ma che ho sentito il bisogno di conoscere meglio un giorno che ho intervistato l’artista Chris Yan a proposito di un suo lavoro tutto basato appunto sulla sintesi granulare. E così, per altro, intervistarlo meglio.

Hai nel sangue la Madre Africa, oppure è un omaggio a quella terra?

Tutti abbiamo nel sangue la Madre Africa, come dimostrato dall’albero fitogenetico profondo dell’Eva mitocondriale, che visse appunto in Africa. Il titolo non riguarda il romanzo di Karen Blixen, né il film che ne ricavò Sidney Pollack. O magari c’entra anche, per una certa Africa fascinosa e romantica vista dagli europei di un tempo, specialmente dagli inglesi, così come per una certa Arabia o Africa sahariana (“Far are the shades of Arabia” è l’Arabia di Wordsworth, di Paul Bowles, di Walter De La Mare o di Thomas Edward Lawrence). Il titolo “Out of Africa” si riferisce invece all’ipotesi paleoantropologica che riguarda la prima migrazione umana verso altre parti della Terra avvenuta tra 1 e 2 milioni di anni fa. Una diaspora eterna, quella umana, non solo quella africana. Dovremmo ricordarcene, tra sempre nuovi padroni e sempre nuovi schiavi. In un outtake del disco per hang drum, tolto per una parte di violoncello che non arrivava, dal titolo “Life after life”, cantavo per esempio della diaspora italiana, quando gli italiani andarono alla “Merica” su piroscafi, nella sostanza non poi dissimili dalle navi negriere. Un brano nel quale raccontavo la storia di mio nonno emigrato a Philadelphia nel 1910, di mia nonna che sposò per procura e che lo raggiunse in America nel ’16; del trattamento orrendo che venne a lui riservato a Ellis Island (erano gli anni di test e visite mediche umilianti, e delle teorie eugenetiche, quelle di Goddard e Therman, che anticiparono quelle naziste…). È un omaggio a tutte le diaspore, al disperato bisogno di tutta l’umanità di disperdersi per vivere e sopravvivere. E a un ritrovarci in fondo al viaggio.

La scaletta si srotola attraverso brani più ritmati, altri più intimisti e attraverso degli intermezzi musicali. È una tua caratteristica, oppure è un modus operandi adottato per questo disco?

I miei dischi sono sempre molto vari al loro interno. Direi che è così sempre, ma non è un modus operandi. Nel senso che non è ricercato, voluto, ma neanche è casuale o altro. Semplicemente ogni pezzo è per me libero di esprimersi come meglio sta capitando in quel momento. Non mi interessa ricondurre tutto a uno stesso suono, a uno stesso stile eccetera. Ho sempre voluto mantenere questa libertà assoluta di fare cose sempre diverse. Né mi interessa ricondurre il tutto a una qualche omogeneità. Sono io che devo imparare qualcosa di nuovo dal mio pezzo musicale, non il contrario.In un’eventuale proposta live, che tipo di scaletta proporresti?

Non faccio più concerti dagli anni ’80, con una breve ripresa nel ’99. Al ripetere le mie cose dal vivo preferisco l’attività compositiva e di registrazione, dedicarmi sempre a nuovi progetti. Lo showbiz non mi interessa. Voglio mantenere la mia totale libertà di fare o non fare. Nella vita ho dovuto svolgere tutt’altro lavoro per vivere ed eccomi qui, sconosciuto da sempre o, forse, il più conosciuto degli sconosciuti. Magari potrei essere un caso a sé, qualcuno che c’è sempre stato senza esserci. Qualcosa da studiare un giorno, una sorta di personaggio “ucronico”. Per altro mettere insieme una band alla mia età non è proprio così semplice. Il mio polistrumentismo nasce e si evolve proprio per poter realizzare in tempi ragionevoli la mia musica, non potendo aspettare le disponibilità e i tempi di questo o di quello. Quanto alla scaletta, tra cose edite e soprattutto ancora inedite, ho un fondo di oltre 600 composizioni. Sicuramente cercherei di ripescare molto tra le musiche che non sono riuscito ancora a pubblicare. Cercherei di dare loro un’occasione.

Se tu avessi l’opportunità di collaborare con un nome noto della musica, chi sceglieresti?

Io collaborerei con chiunque, così come ho fatto finora. Beh, quasi chiunque. E tra le ultime collaborazioni ringrazio qui molto Vittorio Nistri e i Deadburger per avermi invitato a cantare insieme a Simone Tilli, Cinzia La Fauci e Lalli in “Blu quasi trasparente”, brano che chiude il loro ultimo bellissimo album “La chiamata” del 2019. Poi, certo, David Sylvian, Brian Eno, Kate Bush…? Bowie purtroppo se n’è andato, e certo sarebbe stato il primo della lista.

Un Cd stampato (ed è già un bella notizia), una grafica minimale, ma adatta per immergersi totalmente nel tuo mondo musicale, un’etichetta che ti segue, possiamo definire la strada giusta per continuare a fare musica nel mondo artistico di oggi?

Non so quale sia la strada giusta. La mia, già stretta e tortuosa da sempre, ora è anche piuttosto avanzata. Come giornalista, attraverso le ormai innumerevoli interviste che realizzo per la e-zine Kult Underground di Marco Giorgini, sono vent’anni che cerco di conoscere e di promuovere disinteressatamente la buona musica, italiana e non, possibilmente stampata (escludo da sempre quella soltanto “liquida”). E se ne fa ancora tanta, di buona musica. Poi non so; non ho ancora capito perché le cose in questo paese debbano andare sempre così male e sempre di più, e non solo per la musica.

 Qual è il brano più “DeaR” dell’album?

Oh, proprio non saprei! Ciò che non è abbastanza “DeaR” in genere non lo pubblico. O non ancora. Tempo di rivederlo. Poi non so neanche cosa sia DeaR o cosa non lo sia. In genere provo a mettere tutto di me dentro ogni cosa che faccio, meglio se riuscendo ad “andarmi” oltre, a non essere più il mio solito “io” con la mia limitata e limitante singolarità, a raggiungere una qualche più interessante e toccante pluralità o altrità.

 Contatti, progetti e dove vi si può trovare

 Dopo un ultimo libro di poesia (visuale e concreta, “Poi Sia”) e un romanzo (La banca dei reincarnati) continuo a lavorare sui miei libri. Tra breve uscirà una biografia su Davide Riccio o David Rizzio, l’omonimo torinese, musicista, compositore e segretario di Maria Stuarda, che morì a Edimburgo pugnalato 57 volte davanti alla sua amata regina. Un libro sul quale ho lavorato per 27 anni, scoprendo una trentina di sue composizioni, e di cui non esisteva ancora una biografia dedicata. Il libro verrà pubblicato dal comune di Moretta e ci sarà un evento e forse anche una mostra al castello che fu dell’ambasciatore che portò con sé Davide in Scozia. Ho anche già nuovi brani per un paio di dischi, di cui uno di collaborazioni. E ho appena terminata una suite strumentale di 45 minuti dedicata alla mia città (“Mon Turin”). Spero di continuare…

Questi i link utili per “Out of Africa”. Grazie e à suivre…

http://www.musicforce.it/catalogo-produzioni/2770-dear-out-of-africa

https://www.rockit.it/DeaRTorino/album/out-of-africa/56031

https://open.spotify.com/album/0Ad9D3yCvUJc1EJEuZ3jhK

https://www.amazon.it/gp/product/B09M45NFX1