Debora Pagano è un’artista che si muove con disinvoltura tra mondi diversi, senza mai perdere la propria identità. Nel 2014 consegue il diploma di laurea in “Nuove tecnologie dell’arte” con indirizzo “Sound design” e, successivamente, prende un master in “Diritto d’autore, della proprietà intellettuale e dell’innovazione” (2024). Cantante, scrittrice, compositrice, visual artist e creativa a 360 gradi, il suo lavoro si nutre di contaminazioni tra musica, immagini e concetti profondi. Con una voce che riesce a trasmettere emozioni intense, Debora sta costruendo un percorso personale potente ed autentico.

Debora, hai un background che unisce canto, visual art e comunicazione. Come convivono questi mondi nel tuo processo creativo?
Devo essere onesta, non so descrivere questa convivenza. Sicuramente io sono molte cose in una cosa sola, ma essendolo da sempre non saprei spiegare questa condizione. Sono comunque convinta che tutte le arti e i processi creativi siano interconnessi e si nutrano tra di loro, permettendomi di dare il massimo in ogni settore del campo artistico.

Il tuo stile musicale è molto personale. Quali sono le influenze che ti hanno formato?
Questa è una domanda difficilissima, sulla quale potrei scrivere un libro. Cerco di rispondere in ordine cronologico, partendo dall’estero e poi arrivando all’Italia. La musica di base che mi ha formato è sicuramente la classica di Bach e Beethoven, che mi hanno portata a suonare il pianoforte fin da bambina. Nel canto, “I Will Always Love You” di Whitney Houston è una delle prime canzoni che ho imparato da piccola e lei mi ha avvicinato al mondo “pop”, ma anche alla black music, e da lì subito Michael Jackson, poi in adolescenza David Bowie e, indubbiamente, i Tokio Hotel, ma anche Prince, Pink, Miley Cyrus e i Depeche Mode, molto vario.
Passando al panorama italiano, invece, fin da bambina gli ascolti erano molto particolari e i tre che ho ascoltato e apprezzato da subito sono Battiato, Modugno e Lucio Dalla e Fabrizio De André. Crescendo e potendo comprare anche i primi dischi, sono stata fortemente influenzata dai Bluvertigo e, di conseguenza, da Morgan in quanto solista. Allo stesso tempo, in età “consapevole”, ho acquisito un legame particolare con la musica di Luigi Tenco. Parlando di altre influenze, potrei citare qualsiasi cosa, dagli Sugarfree a Brian Eno. Diciamo che sono aperta e interessata a tutto ed è difficilissimo dare pochi nomi, ce ne sarebbero centinaia. Motivo per cui, forse, il mio stesso stile è così identificativo: è una contaminazione di molte realtà sonore e visive.
Nel 2022 esce “Donna Titanio”, una canzone che nasce in seguito ad un delicato intervento chirurgico che hai subito per una scoliosi invalidante. Questa esperienza ti ha creato un trauma o ti ha resa più forte?
Senza ombra di dubbio mi ha resa più forte, poiché dopo l’intervento ho potuto vedere il mio corpo e percepirlo come una persona “normale”. Allo stesso tempo, non portavo solo i segni delle cicatrici dell’intervento, ma quelli di una vita di sacrifici e disagio, in cui non potevo fare le stesse cose dei miei coetanei o essere percepita allo stesso modo. Quindi il trauma c’era e c’è ancora, anche se ha cambiato forma. Risvegliarsi in un corpo diverso e imparare a fare tutto da zero dopo una certa età è complesso, così come è un orgoglio esserci riuscita nonostante tutto. Tirando le somme, sono più forte grazie al mio trauma e quindi ci tengo a portarlo con me con la stessa consapevolezza delle mie cicatrici. “Donna Titanio” è il mio stesso alter ego, una rinascita nella quale ancora oggi sto reimparando a vivere. La canzone stessa è molto edulcorata. Spero di avere il modo, un giorno, di raccontare bene questa storia per essere utile a chi vive traumi di questo tipo. Indubbiamente non augurerei questa esperienza a nessuno, allo stesso tempo ringrazio Dio dell’opportunità che ho avuto nel superarla, poiché tutto accade per un motivo.
Nel 2023 esce il singolo “Ora paga” che contiene inserti vocali di Morgan. Qual è stato il processo creativo dietro questa canzone così intensa e personale?
“Ora paga” nasce proprio dal mio nome e cognome, dalle ultime tre e dalle prime quattro lettere che compongono il mio nome e cognome. Ho sempre amato i giochi di parole (come dico nella canzone stessa) e ho avuto un nome che mi ha consentito di farlo. La cosa è nata semplicemente da lì. E quando si parla di giochi di parole, e specialmente di abilità nell’usarle, non posso non pensare a quanto io abbia potuto imparare da Morgan. La canzone partiva anche da dialoghi o riflessioni di questo genere e mi è sembrato naturale inserirli nel brano, poiché danno un contesto al tutto e rendono la canzone meno autoreferenziale. Penso sia la canzone che mi rappresenta di più in assoluto e che è nata dalla sera alla mattina, come fosse stata sempre dentro di me.

Oggi più che mai molti cantanti, soprattutto emergenti, si trovano intrappolati in un sistema che li sfrutta più di quanto li protegga. Cosa ne pensi a riguardo, cosa sta accadendo?
Su questo potrei scrivere un manuale, cosa che mi chiedono anche in molti. Sono stata vittima di questo stesso meccanismo e ho pensato di dovermici piegare per “emergere”, ma studiandolo e vivendolo in prima persona o attraverso altri colleghi, ho capito quanto invece sia importante sovvertirlo. Infatti, per questo ho scelto di approfondire i miei studi e specializzarmi in diritto d’autore e della proprietà intellettuale, proprio perché ero stanca di vedere e subire mancanza di rispetto verso chi lavora tanto e non viene preso in considerazione. Ma, ad oggi, per la popolarità si farebbe di tutto. Ho imparato a distinguere chi vuole la fama e chi vuole il successo, e per ottenerlo, in primis, devi essere consapevole dei tuoi diritti, di quello che firmi, di quello che cedi, di quello che ottieni e quello che perdi e dei compromessi che non valgono minimamente la pena per un minuto di gloria come meteora, rispetto ad una vita di soddisfazioni meno eclatanti, ma consapevoli. Io non sono più disposta a modificare me stessa per essere accettata dal sistema, ma voglio essere apprezzata e valorizzata in quanto me stessa. È quello per cui lotto e in cui credo e che consiglio agli emergenti. Del resto, si può fingere per una vita di essere qualcun altro solo per l’approvazione del pubblico? Penso sia un ricatto morale troppo grande con il quale convivere.

Tra le tue passioni c’è anche l’arte figurativa, pittura e disegno. Nelle tue opere parti da un’emozione, da un’immagine o da un messaggio preciso?
Anche questo è difficile da spiegare. Solitamente mi sento guidata da un impulso e un’ispirazione, quasi come fossi pilotata, ma alla base di tutto c’è sempre un concetto o un messaggio che deve veicolare dalle mie opere. Sono il modo più veloce e d’impatto per dire quello che, a volte, le parole non possono esprimere. Viviamo in un mondo di immagini e suggestioni ed è molto più efficace far trapelare un concetto attraverso un disegno che puoi guardare in un secondo. Una canzone richiede già almeno tre minuti, ed è un tipo di immediatezza e comunicazione che potrebbe non arrivare nel modo giusto o abbastanza immediato. Che poi, dietro ad un’illustrazione, ci siano comunque dieci ore di lavoro come ad una canzone è un altro discorso, ma è un modo di comunicare più esplicito, dietro al quale posso creare ciò che provo e mostrarlo così come lo vedo io.

Quand’è nato il tuo impulso per la scrittura poetica? C’è un testo al quale sei particolarmente legata?
Da sempre, penso che prima ancora di quelle che io credevo canzoni fossero poesie. Ho sempre scritto e letto tanta poetica e penso che ogni canzone lo sia. È stato un puro caso che mi abbiano chiesto di fare raccolte poetiche, perché io pensavo fossero solo future canzoni o canzoni che non avevano ancora la musica giusta. Non credo che saprei sceglierne uno, ma sicuramente sono molto affezionata a “La tangibilità dei suoi danni” oppure “Come l’acqua per l’airone” e “Canzone per chi resta”, quantomeno di quelle già pubbliche (e che non sono diventate canzoni). Mi riservo ancora parecchie pagine nel cassetto da far leggere al momento opportuno.

Hai mai avuto paura della tua sensibilità? Come hai imparato a viverla come forza?
Paura, per me, no. La sensibilità, purtroppo e per fortuna, è un canale aperto alla sofferenza. Ho paura che la mia sensibilità possa veicolare paura negli altri, che credono di dovermi “tutelare”, ma io non ho paura nel senso stretto del termine, anzi. Penso che, per quanto sia un cliché, senza aprirsi anche all’oscurità più profonda e senza aver attraversato le difficoltà, non si possa fare arte in modo totalmente onesto. Bisogna fare i conti con i propri fantasmi ed essere veicolo per chi non riuscirebbe ad esprimere lo stesso concetto, ma che lo vive. L’arte esiste per questo, gli artisti esistono grazie alla propria sensibilità e a quella di chi gli dà modo di esprimerla e che, allo stesso tempo, ha la possibilità di immedesimarsi e sublimare.

Qual è la tua idea di bellezza e come si riflette nel tuo modo di fare arte?
La bellezza è un canone estetico oggettivo, se penso alle proporzioni auree piuttosto che alle simmetrie, ma allo stesso tempo la bellezza è immensa rispetto all’interiorità di ogni singolo individuo e come sceglie di mostrarsi. La mia idea di bellezza è questa: avere il coraggio di essere se stessi a prescindere dall’apparenza. Il senso del gusto è invece tutt’altra storia, ma del resto il gusto è soggettivo e culturale. Amo ciò che è sofisticato visivamente e musicalmente, ma anche il grottesco e lo stravagante. Non ho la pretesa che ciò che piace a me debba per forza essere bello per tutti, e ho capito anche che l’arte, a volte, va “abbellita” per far arrivare il messaggio giusto e poi chi vuole può rimanere in superficie, mentre chi comprende può addentrarsi nel particolare.

Qual è il tuo rapporto con il tempo? Lo percepisci come un alleato, un limite o un mistero?
Per alcune questioni fisiche e biologiche, sicuramente è un limite. Nel lavoro stesso lo è, poiché spesso la vita vissuta ha molti più anni di quelli reali (come nel mio caso), ma hai anche più responsabilità e consapevolezza e devi rispettare alcuni standard. Così come è un limite per il settore lavorativo, per il quale si è “fuori target” perché conta più il fenomeno dell’esperienza. Quindi alleato solo in caso in cui l’esperienza e il tempo ripagheranno il modo in cui l’hai speso. Non è un mistero e non ne ho paura. Penso che ci si possa sentire in qualsiasi tempo e in qualsiasi modo e che, nonostante tutto, il tempo sia un dono, dal secondo al minuto all’ora e così via. Il tempo non toglie, ma aggiunge sempre.

Il tuo look racconta storie visive potenti. Ti senti più vicina alla figura dell’artista, della performer o di una narratrice visiva?
Non saprei identificarmi in nulla. “Artista” mi va bene perché è un po’ tutto e un po’ niente e quindi mi dà la possibilità di poter essere me stessa in tutto quello che amo fare e che so esprimere. Indubbiamente, questo comporta anche un aspetto performativo che deve aiutare a canalizzare l’espressione artistica, altrimenti sarebbe puramente caotico. Io sono particolarmente organizzata e centrata in quello che voglio mostrare o che ritengo superfluo. Sulla mia immagine lascio che ognuno scelga di vedermi come vuole, tanto in ogni caso ognuno guarda a modo suo e si fa un’idea, e non ha senso imporsi. Cerco di essere fedele a me stessa in divenire, non ho limiti in questo e sono sempre aperta al cambiamento. Etichettarmi sarebbe una contraddizione al mio stesso essere.

Su YouTube è in arrivo “Podcasto”, un progetto nato da te e Naike Rivelli. Di cosa si tratta, cosa ci dobbiamo aspettare?
Questa è certamente una delle cose più belle che mi siano capitate in questi ultimi anni e anche nella vita. Per puro caso, quando le cose arrivano in modo inaspettato, portano entusiasmo e voglia di rimettersi in gioco, e Naike è stata il regalo di quest’anno. Il progetto è nato semplicemente parlando e conoscendoci, prima virtualmente, poi al telefono e poi dal vivo. Riscontrandoci anche su fronti opposti di idee, abbiamo sempre avuto un punto d’incontro e da lì lei ha avuto l’idea: “Perché le nostre conversazioni devono rimanere solo nostre?”. E abbiamo pensato ad un podcast e, senza budget e senza chiedere niente a nessuno, ci siamo lanciate in questo viaggio. Il nome è nato proprio dalla contraddizione stessa della ribellione che, a tutti i costi, oggi vuole essere trasgressiva, e di conseguenza noi saremo “caste”, poiché ormai è questa la vera ribellione. Ci saranno grandissime novità e spero che la nostra idea genuina possa arrivare a tutti. Intanto, io la ringrazio perché mi sto riaprendo al mondo e ho trovato un’amica e un’alleata con cui farlo. Noi puntiamo sul “senza censura e senza paura” e ci auguriamo possa essere un nuovo slogan per chiunque vorrà seguirci in questo percorso.
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