Editoriale di Alessandro Cunsolo, Direttore di Mondospettacolo
Cari lettori di Mondospettacolo,
oggi, 25 marzo 2025, mentre il sole primaverile cerca di scaldare un mondo sempre più freddo di giudizi, Gérard Depardieu è tornato a occupare le prime pagine. Ieri, al tribunale penale di Parigi, è iniziato il processo che lo vede accusato di violenze sessuali su due donne, avvenute – si dice – nel 2021 sul set di Les Volets Verts. Il gigante del cinema francese, 76 anni e un’aura che un tempo riempiva gli schermi, si è presentato in aula, negando tutto. “Finalmente parlerà”, ha detto il suo avvocato Jérémie Assous. Ma cosa resta da dire quando il sipario è già mezzo calato?

Da direttore di questa testata, che vive di luci e ombre dello spettacolo, non posso fare a meno di guardare al caso Depardieu con un misto di fascinazione e sconcerto. Parliamo di un uomo che ha dato vita a Cyrano, che ha cantato in italiano con la voce roca di un poeta maledetto in Una pura formalità di Tornatore, che ha fatto ridere e commuovere milioni di persone. Oggi, però, il suo nome non evoca più il talento, ma un’aula di tribunale, accuse pesanti e un #MeToo francese che non fa prigionieri.

Le due donne parlano di “contatti fisici inappropriati” e molestie sul set. Depardieu, dal canto suo, respinge tutto: “Mai abusato di una donna”, ha scritto su Le Figaro lo scorso ottobre. E mentre il video promesso da Quarta Repubblica potrebbe chiarire se ha davvero “strattonato” o solo “sfiorato” – come nel caso della giornalista di Prodi – qui non si tratta solo di fatti. Si tratta di simboli. Depardieu è diventato il volto di un’era che il politicamente corretto vuole archiviare: quella dell’attore bigger-than-life, esuberante, a volte eccessivo, che viveva fuori dalle righe senza chiedere permesso.

Ma attenzione: non sto difendendo l’indifendibile. Se le accuse fossero provate, non ci sarebbe talento che tenga – la legge è legge, e il rispetto pure. Quello che mi lascia perplesso è il circo mediatico che si è scatenato. Da una parte, le denunce – una decina in totale, tra cui quella di Charlotte Arnould per stupro nel 2020 – dipingono un uomo predatore. Dall’altra, c’è chi grida al complotto, alla gogna pubblica, alla fine di un’icona sacrificata sull’altare di un puritanesimo che non ammette sfumature. E in mezzo? La verità, che come sempre nello spettacolo è la prima a perdersi tra i riflettori.
Pensateci: Depardieu non è solo un accusato, è un trofeo. Il #MeToo ha bisogno di teste che rotolano, e la sua – con quel passato di provocazioni, la cittadinanza russa, le frasi al vetriolo – è perfetta da esibire. Ma non vi sembra strano che un uomo così, dopo decenni di carriera, venga improvvisamente travolto da un’onda che sembra più tsunami che giustizia? Io non dico che sia innocente – non sta a me deciderlo – ma che il copione di questa tragedia sembri scritto troppo bene per essere casuale.

E poi c’è il pubblico, noi, che guardiamo. Alcuni con le pietre in mano, altri con la nostalgia di un Asterix che non tornerà. Io, da amante del cinema, mi chiedo: cosa resta dello spettacolo quando i suoi protagonisti vengono ridotti a caricature? Depardieu sarà anche caduto, ma forse è lo specchio di un’industria che sta perdendo la sua anima, tra censure, processi mediatici e favole Disney senza più nani né principi.
Voi che ne pensate? È un mostro da condannare o un capro espiatorio di un’epoca che non sa più ridere di sé stessa? Scrivetecelo, perché qui a Mondospettacolo il palco è aperto, e la verità – come il talento – non si giudica con un tweet.
Con un occhio critico e un pensiero ribelle,
Alessandro Cunsolo
Direttore di Mondospettacolo
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