La performance targata Il Segno del Comando del 21 Agosto 2021 al Trasimeno Prog Festival (rassegna musicale di prestigio nella Rocca Medievale di Castiglione del Lago in Umbria), che ha visto tra gli altri avvicendarsi anche il mitico Banco del Mutuo Soccorso e i Metamorfosi, è stata una delle più apprezzate della scorsa estate nell’ambito del prog/rock nostrano.
La band genovese composta dal mastermind Diego Banchero al basso, Davide Bruzzi, alle chitarre e tastiere, Roberto Lucanato, chitarre, Riccardo Morello, vocals, Beppe Menozzi tastiere e Fernando Cherchi, batteria, attiva dal 1995 e in questi anni alternando periodi di attività ad altri di momentaneo break, è riuscita a costruirsi una solida reputazione tra gli appassionati di progressive rock, grazie anche ad album ben riusciti e ricchi di impulsi creativi come Il Volto Verde (2013) e il più recente L’Incanto dello Zero (2018). Abbiamo intervistato Diego Banchero per farci raccontare qualcosa di più della sua band e le emozioni provate grazie alla partecipazione al Trasimeno Prog Festival.
Lo scorso 21 Agosto siete stati ospiti al prestigioso Trasimeno Prog Festival nella Rocca Medioevale di Castiglione del Lago. Come stai affrontando il ritorno on stage dopo la pandemia?
Lo scorso 10 Luglio abbiamo partecipato ad un festival a Genova (Abracadabra Metal Fest) e abbiamo vissuto questo evento con grande felicità.
Siamo entusiasti di aver suonato al Trasimeno, che oggi è uno dei festival prog più prestigiosi d’Italia e devo ammettere di essere molto onorato di aver potuto condividere la scena proprio con i Metamorfosi del mio amico Fabio Moresco! La prossima data sarà a Firenze l’11 Settembre al This is not the End Festival. Dopodichè pianificheremo le date dei mesi successivi. Per il resto, sto cercando di riprendere le attività con tutti i progetti che si sono interrotti a causa dei lockdown. Fare pianificazioni a lungo termine non è ancora del tutto possibile, ma sto già procedendo in più direzioni.
Voi curate molto le vostre merchandising in particolare con le belle t -shirts dalle stampe originali. Avete per caso riscontrato che il vostro pubblico è particolarmente interessato all’aspetto visuale?
Il nostro pubblico ama ancora molto l’oggetto fisico e questa è una grande fortuna per noi. Sia i dischi, sia tutto il resto del merch sono particolarmente apprezzati. Le t-shirts, ad esempio, sono diventate anch’esse pezzi da collezione per i nostri amatissimi fans che sono sempre molto contenti di trovare qualcosa di nuovo al banchetto. Col tempo abbiamo sempre più assunto un approccio che cerca di spaziare nell’arte a 360° collaborando con grafici (come Paolo Puppo), pittori (come Danilo Capua) e altri artisti che si occupano di aspetti visuali. Ultimamente abbiamo iniziato a produrre anche qualche gioiello artigianale in serie limitatissima (con l’aiuto creativo di una bravissima artista che si chiama Diwali). Abbiamo anche pubblicato un libro (scritto da Cristian Raimondi) in allegato all’album L’Incanto dello Zero. Il mio sogno sarebbe trovare un filmmaker con cui poter avviare una collaborazione anche su territori cinematografici, mentre sull’orizzonte scultoreo ci saranno presto alcune sorprese che al momento non posso svelare.
Qual è il pezzo che ti piace di più suonare quando fai il warm up?
Non ho un brano preciso. In genere provo sempre dai brani del repertorio che sono maggiormente utili alla band per verificare gli aspetti salienti che vanno testati prima del concerto. Suono in diversi progetti e per ognuno ci sono quasi sempre dei titoli prestabiliti per il sound check.
Quali sono, a tuo parere, le tre qualità che rendono un bassista speciale?
La prima caratteristica è il senso del tempo, ovvero dev’essere molto ritmico (non scomodo termini come swing e groove per non entrare in questioni fondamentali, ma di difficile interpretazione); la seconda è avere una buona conoscenza armonica (perché ovviamente il basso ha un ruolo fondamentale in tal senso); la terza è avere gusto, senso melodico e contrappuntistico (questa caratteristica influisce sulla scelta di note e sul ruolo che è in grado di ritagliarsi all’interno di una band). Bisogna, a mio avviso, cercare di essere musicisti a tutto tondo che suonano il basso. Nel tempo si sono visti molti musicisti limitati ad un ruolo totalmente gregario ed altri che, per contro, hanno fatto cose mirabolanti, ma hanno dimenticato di avere tra le mani un basso anziché uno strumento completamente solistico. Ogni musicista, poi, ha bisogno di curare la propria “voce strumentale”. Io per anni sono stato molto più un compositore che un bassista, ma ultimamente mi sto concedendo, di nuovo, il piacere di curare lo studio dello strumento.
Ti ricordi ancora il tuo primo basso?
Il mio primo basso lo presi in prestito da mio cugino Angelo (il primo bassista che mi diede qualche rudimento per approcciare lo strumento). Si trattava di un Hofner degli anni Sessanta (la versione con la cassa armonica piatta, diversa da quella diventata famosa grazie a Paul McCartney). Successivamente acquistai un Fender Squier Precision Bass che non ho più da molto tempo.
Sei un autodidatta o hai preso lezioni di musica?
Dopo un primo periodo da autodidatta ho studiato per qualche tempo con un insegnante che si chiama Gino Bianco e, successivamente, mi sono iscritto alla Scuola Jazz Quarto di Genova, che ho frequentato per diversi anni studiando anche musica d’insieme, teoria, solfeggio e composizione (i miei insegnanti di strumento sono stati Piero Leveratto ed Aldo Zunino che sono due prestigiosi contrabbassisti internazionali). Ho anche fatto diversi seminari di musica d’insieme (con Jimmy Cobb, Bobby Durham, Albert “Tootie” Heat, Nat Adderley, Clark Terry, ecc…) e di strumento (Ray Brown, Walter Booker, Pierre Bousseguet, ecc…). Per un periodo ho anche studiato e suonato il contrabbasso.
Come ti sei ritrovato a suonare il basso ne Il Segno del Comando?
Dopo il periodo jazz che ho descritto poco sopra, ho deciso di tornare a fare qualcosa vicino al prog (anni prima avevo militato in due progetti dark-metal con venature progressive i cui nomi erano Zess e Malombra). Mi mancava l’esperienza discografica e amavo particolarmente la musica da colonna sonora di band come i Goblin. Così nel 1995, con alcuni amici, ho dato vita al progetto e ho mantenuto fino ad oggi anche il ruolo di compositore principale della parte musicale (e dal 2013 anche di quella lirica).
Pensi che tu e Fernando Cherchi facciate un bel team?
Io e Fernando siamo molto affiatati e suoniamo assieme da diversi anni. Ci troviamo molto bene e vedo che in tanti apprezzano il nostro lavoro. Noi siamo contenti dell’approccio che abbiamo sviluppato nel corso del tempo nei nostri progetti, poi ovviamente penso che il giudizio finale sulla nostra efficacia sia da lasciare a chi ci ascolta.
La tua band si identifica pienamente nel genere rock progressive, ma tu personalmente hai mai suonato anche altri generi o eventualmente ti piacerebbe?
Posso dire di avere suonato quasi tutti i generi di musica nel corso degli anni. Mi piace molto variare e, oltre all’attività con Il Segno del Comando, non rinuncio a mettermi in gioco in ospitate o collaborazioni parallele.
Se non avessi scelto il basso, che altro strumento avresti voluto suonare?
Le tue domande sono sempre molto belle e mi spingono a fare delle riflessioni non facili. Anche in questo caso una risposta non è cosi immediata. Uno strumento che, negli anni, mi sono spesso ripromesso di studiare nella mia prossima vita è la tromba. Inoltre, mi piacciono molto anche le percussioni.
Susanna Marinelli
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