Disponibile su RaiPlay Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni, con Monica Vitti

Disponibile su RaiPlay Il mistero di Oberwald, un film del 1981 per la tv, il quindicesimo lungometraggio diretto da Michelangelo Antonioni. Seconda e ultima collaborazione con Luciano Tovoli. Primo film realizzato in elettronico con sistema TV e poi riversato su pellicola. Tratto dall’opera teatrale L’aquila a due teste di Jean Cocteau, sceneggiato da Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra, con la fotografia di Luciano Tovoli, il montaggio di Michelangelo Antonioni e Francesco Grandoni, le scenografie di Misha Scandella, i costumi di Vittoria Guaita e le musiche di Guido Turchi, Il mistero di Oberwald è interpretato da Monica Vitti, Franco Branciaroli, Luigi Di Berti, Paolo Bonacelli, Elisabetta Pozzi.

Trama
Una giovane regina è rimasta vedova il giorno delle nozze e da quel giorno vive appartata, cambiando spesso dimora e mostrandosi con il volto coperto da un velo nero. Sebastian, un giovane poeta anarchico, si introduce nell’appartamento della regina per sopprimerla. La somiglianza tra l’attentatore e il re morto è impressionante.

Così Antonioni si espresse sul suo film: “Si intitola Il mistero di Oberwald ed è tratto da un dramma di Jean Cocteau, basato sua volta, alla lontana, sulla storia di Luigi di Baviera e su quella dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria. Cocteau le ha mescolate insieme inventando di sana pianta una terza storia. Perché questa scelta? Non è una scelta, è un caso. Si può anche fare dell’ironia su questo e dire che il “mistero” sta nel perché io abbia fatto questo film. È la prima volta infatti che mi cimento con un dramma a fosche tinte e l’impatto è stato tutt’altro che morbido. Diciamo che ho fatto del mio meglio per attutire l’urto. Prima di tutto ho svincolato la vicenda da ogni legame storico spostandola nel tempo. I costumi lo testimoniano. Siamo nel 1903, in un regno non identificato. In secondo luogo ho apportato delle modifiche al dialogo. Con l’aiuto di Tonino Guerra l’ho scorciato e asciugato dall’enfasi di cui Cocteau l’aveva imbottito. Mi sono tenuto insomma di fronte a questa materia in una posizione di distaccato rispetto, cercando al tempo stesso di evitare che la mia natura di regista venisse annientata. Spero che qualche eco di questa natura qua e là si faccia sentire. Non voglio difendere Cocteau, che considero uno scrittore geniale, estroso, ma limitato e lontano dal gusto letterario moderno. Eppure una certa aria di attualità percorre tutto questo suo dramma. Ovvio che cercassi di puntualizzarla, soprattutto adottando una terminologia che vagamente evocasse le tristi cronache dei nostri giorni”.

Strano vedere Antonioni affrontare un tema così drammaturgicamente carico, tratto da un testo teatrale di Cocteau, rielaborato insieme a Tonino Guerra. Strano nel senso che un sentimentalismo romantico così forte non è nel nostro immaginario accostarlo ad Antonioni, ma qui il regista ha voluto fare un salto ben studiato affrontando un tema inusuale, per immergersi poi tranquillamente in una tecnologia all’avanguardia, che gli ha permesso la tanto bramata sperimentazione in cui a più riprese si è dedicato: una per tutte quella fatta con mezzi pratici in Deserto Rosso.

La storia è stata sfrondata e ripulita da vecchiumi e gusti artefatti, un togliere che è più che produttivo, dando in mano ad attori efficaci e, a sorpresa per noi spettatori, fuori da ogni prevedibilità, come nel caso di Monica Vitti. Il regista aveva bisogno di una sicurezza interpretativa forte, dato che i mezzi a disposizione erano innovativi e gli permettevano di fare cinema da un punto di vista molto diverso, e infatti gli interpreti si sono sentiti un po’ disorientati non avendo davanti a loro l’autore che stava creando. Un’idea di cinema legata alle immagini, alle luci del fantastico, con Tovoli che si affianca alla regia in maniera sublime; non è solo questione di piccole luci, ombre e colori, come qualche critico ha voluto far notate, sminuendo tutta l’operazione.

Certamente per godersi bene lo spettacolo bisogna averlo visto al cinema o in dvd e a distanza di tempo si possono godere ancora i piccoli miracoli di un certo ingegno visivo, che aiutano ad arricchire la storia raccontata, la quale si giova anche delle numerose accortezze tecniche: luci che inquadrano stati d’animo, immagini riflesse nei vetri, costumi e scene valorizzati da colori efficaci e così via. La storia in sé è attraversato da un romanticismo mai melenso, ma accuratamente riadattato e interpretato in maniera opportuna, se si esclude la presenza della pur brava, altre volte, Elisabetta Pozzi.

 

 

Luca Biscontini