Disponibile su RaiPlay Pietà, un film del 2012 diretto da Kim Ki-duk, presentato alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicato il Leone d’oro. Il titolo si riferisce La Pietà di Michelangelo e narra il misterioso rapporto che intercorre tra un uomo brutale, che lavora per gli usurai, e una donna di mezza età che sostiene di essere sua madre, mescolando simbolismo cristiano a contenuti sessuali. In Italia il film è uscito nelle sale il 14 settembre 2012 ed è stato trasmesso in prima tv da Rai Movie nella serata del 24 Ottobre 2015. Con Lee Jeong-jin, Jo Min-soo, Kim Jae-Rok, Jin Yong-Ok, Eunjin Kang.
Trama
Kang-do lavora per uno spietato strozzino. Il suo compito è quello di recuperare le somme dovute dai pagatori insolventi e per farlo ricorre a metodi più che violenti, dimostrando di non provare pietà per alcuno. Cresciuto senza famiglia e abituato alla solitudine, un giorno riceve la visita di una misteriosa donna di mezza età che gli rivela di essere sua madre. Nonostante non ricordi niente di lei, Kang-do con il passare dei giorni comincia a manifestare delle prime forme di affetto nei suoi confronti fino a quando non scopre il terribile e triste segreto che lei si porta appresso.
Dopo una lunga pausa di riflessione (la spiazzante, dolorosissima parentesi di Arirang, una specie di video-confessione con la quale il regista si è messo impudicamente a nudo), Pietà (Leone d’oro alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia con qualche strascico polemico) è il titolo con cui Kim Ki-duk è tornato clamorosamente al cinema a soggetto, con una tragica vicenda che ha come tema centrale quello della vendetta. Il titolo potrebbe sembrare quasi un ossimoro se si considera la brutale durezza del racconto, ma alla fine, proprio per la densità sfaccettata delle situazioni, si conferma invece la maniera migliore per connotare l’opera e definire il senso del suo spietato atto d’accusa: non c’è spazio per la pietà e la nostra società contemporanea – e quella coreana in particolare – è qui per confermarlo.
Un’altra parabola che medita sul drammatico destino a cui sono condannati i protagonisti in un mondo che sembra definito e circoscritto soprattutto dalla reciprocità del dolore e dominato dalla violenza e dal denaro. “I protagonisti – sono parole del regista – rappresentano la mia visione del mondo in un periodo specifico e in una vicenda in movimento. La loro diversità, che si acquisisce nel corso della narrazione, dipende dai cambiamenti che subisce il mio sguardo via via che vengono esplicitati i differenti conflitti e si palesano con il loro volto”. Ancora una volta implacabile nel suo incedere, il film potrebbe sembrare persino disturbante in più di un tratto per qualcuno (compresa la terribile conclusione), ma, probabilmente, per Kim Ki-duk era l’unica maniera (o quella strettamente necessaria) per far comprendere l’abisso sull’orlo del quale tutti siamo appollaiati in bilico.
Ed è così allora che l’Eros (qui visto più come amore materno che come atto carnale) finisce per intrecciarsi inesorabilmente a Thanatos (da intendersi anche come morte metaforica dell’anima, oltre che fisica), un dittico spesso indistricabile che si trasforma in un quadro doloroso della vita, proprio come è doloroso il senso di pietà di una madre nei confronti del figlio sofferente. Un rimando specifico al peccato di abbandono che deve essere espiato con la dedizione succube della schiavitù e dell’osservanza, che ha il suo riscontro nel conflitto fra natura, libertà e costrizione, sul quale vengono costruiti i legami (non solo quelli di sangue) e l’oltraggio dello stupro.
Felicissimo ritorno, dunque, il suo dopo tre anni di silenzio e di inattività e la parentesi più strettamente intimista e autobiografica degli ultimi film (non solo Arirang, ma anche Amen): di nuovo fuori dalla rarefazione di quell’alveo quasi monastico in cui si era rifugiato (decisione evidentemente sofferta, ma necessaria, e forse davvero l’unica possibile per “depurarsi” e rigenerarsi), Kim Ki-duk torna a confrontarsi con la realtà per ritrovarsi di nuovo immerso in un universo sempre più corrotto, dove il denaro sembra davvero essere l’unica logica vincente per esistenze stimolate e corrotte dalla voglia di arricchirsi a ogni costo, senza guardare in faccia nulla e nessuno.
Luca Biscontini
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